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Il Verde emise in risposta un monosillabo che irritò il canadese. Il caporale richiuse il tettuccio e urlò dall’altoparlante: — Vi dichiaro in arresto per violazione dello spazio aereo e del suolo del Canada Britannico. Scendete e arrendetevi. Non cercate di decollare.

L’auto dei Verdi decollò immediatamente e superò il confine internazionale, dopo di che se ne andò. Il che poteva essere esattamente ciò che era nelle intenzioni del canadese. Io restai molto immobile, perché adesso quelli avevano il tempo di concentrarsi su di me.

Sono giunta alla conclusione certa che il mio compagno d’avventura mi abbia ripagata per il biglietto di fuga che gli avevo offerto. Nessuno venne a cercarmi. Lui di certo mi aveva vista svanire fra gli alberi, ma è improbabile che i canadesi mi avessero vista. Senz’altro il foro nella barriera aveva fatto scattare gli allarmi delle stazioni di polizia sui due lati del confine. Qualunque esperto d’elettronica poteva installare un apparecchio del genere, un apparecchio capace persino di individuare al millimetro il punto sabotato; di conseguenza, il mio piano prevedeva di fare tutto in fretta.

Ma contare il numero di corpi caldi che passavano in un foro era tutto un altro problema elettronico; non che fosse impossibile, ma forse qualcuno aveva ritenuto che non fosse il caso di spendere troppo. In ogni caso, il mio compagno sconosciuto non mi tradì; nessuno venne a cercarmi. Dopo un po’, da un’auto canadese scese una squadra di addetti alle riparazioni. Li vidi raccogliere la cintura con gli attrezzi di cui mi ero liberata nei pressi della barriera. Dopo la loro partenza, arrivò un secondo gruppo sul lato dell’Impero; ispezionarono la riparazione e se ne andarono.

Meditai un attimo sulle cinture porta-attrezzi. Ripensandoci non mi pareva di averne vista una sul mio leale prigioniero quando si era arreso. Conclusi che per infilarsi nel foro aveva dovuto liberarsi della cintura: il buco era quasi troppo stretto persino per Friday; per lui doveva essere stato microscopico.

Ricostruzione: i canadesi hanno visto una cintura, dalla loro parte; i Verdi ne hanno vista un’altra, dalla loro parte. Nessuno dei due gruppi aveva motivo di presumere che dal buco fosse passato più di un fuggitivo; almeno finché il mio ex prigioniero stava zitto.

Un gesto molto cortese da parte sua, direi. Certi maschi ce l’avrebbero avuta con me per il colpetto che avevo dovuto assestargli.

Restai fra gli alberi fino al buio, tredici tediose ore. Non volevo essere vista da nessuno finché non avessi raggiunto Janet (e, con un po’ di fortuna, Ian); un immigrato illegale non va in cerca di pubblicità. Fu una giornata lunga, ma nella fase centrale del mio addestramento il guru del controllo mentale mi aveva insegnato a tenere testa a fame, sete e noia quando è necessario e a restare calma, sveglia e attenta. Mi incamminai a sera fonda. Conoscevo il terreno com’è possibile conoscerlo dalle carte geografiche, carte che avevo studiato con la massima cura un paio di settimane addietro in casa di Janet. Il problema che avevo di fronte non era né complesso né difficile: percorrere a piedi centodieci chilometri circa entro l’alba, senza farmi individuare.

La rotta era semplice. Dovevo spostarmi leggermente a est per raggiungere da Lancaster nell’Impero La Rochelle nel Canada Britannico, al porto d’ingresso che era facilmente identificabile. Virare a nord per la periferia di Winnipeg, deviare a sinistra girando la città e intercettare la strada nord-sud per il porto. Stonewall era a un tiro di schioppo da lì, e la casa dei Tormey vicinissima. Conoscevo tutta l’ultima parte, la più difficoltosa, non semplicemente dalle carte geografiche ma dal viaggetto in carrozza che ci avevo fatto di recente, senza nulla che mi disturbasse (a parte le simpatiche mani che cercavano alla cieca il mio corpo).

Era l’alba quando apparve la cancellata esterna dei Tormey. Io ero stanca, ma non in cattiva forma. Posso mantenere il ritmo passeggiata-trotto-corsa-passeggiata-trotto-corsa per ventiquattro ore, se necessario, e all’addestramento l’ho fatto; tenere duro per tutta la notte è accettabile. Più che altro avevo i piedi indolenziti e una sete del diavolo. Felice, sollevata, premetti il pulsante per annunciarmi.

E sentii immediatamente: — Parla il capitano Ian Tormey. Questa è una registrazione. Questa casa è protetta dalla Licantropi di Winnipeg Limited. Ho assunto questa agenzia perché non considero giustificata la loro fama di avere il grilletto facile; sono solo molto efficienti nel proteggere i loro clienti. Le telefonate dirette a questa casa non verranno inoltrate, ma il recapito della posta è assicurato. Grazie per avermi ascoltato.

E grazie a te, Ian! Oh, accidenti, accidenti, accidenti! Sapevo di non avere motivo di aspettarmi che restassero a casa, però il mio cervello non era mai stato sfiorato dall’idea che potessero non esserci. Avevo operato un «trasferimento», come lo chiamano gli strizzacervelli: dopo aver perso la mia famiglia ennezeta, con Boss scomparso e forse morto, la casa dei Tormey era diventata «casa mia» e Janet la madre che non avevo mai avuto.

Mi sarebbe piaciuto essere ancora alla fattoria degli Hunter, a godermi il calore protettivo della signora Hunter. Mi sarebbe piaciuto essere a Vicksburg, a dividere con Georges le nostre due solitudini.

Nel frattempo il sole sorgeva e presto le strade avrebbero cominciato a riempirsi e io ero una straniera illegale senza quasi un dollaro canadese e col profondo bisogno di non essere notata, non essere arrestata e interrogata, e con la testa leggera per mancanza di sonno e fame e sete e stanchezza.

Ma non dovevo compiere scelte difficili, perché mi veniva imposta la classica scelta obbligata: dovevo tornare a nascondermi in un buco come un animale, e in fretta, prima che il traffico si riversasse sulle strade.

I boschi non sono comuni nei pressi di Winnipeg, però ricordavo alcuni ettari di terreno selvaggio, scuro sulla mia sinistra, a lato della strada principale e più o meno dietro la casa dei Tormey; un terreno irregolare ai piedi della collinetta su cui Janet aveva costruito. Così partii in quella direzione. Incontrai un carro delle consegne (latte) e nient’altro.

Arrivata al punto che mi interessava, lasciai la strada. Il terreno divenne molto irregolare; una specie di percorso di guerra fra continui solchi. Ma poco dopo incontrai qualcosa che era ancora meglio degli alberi: un torrentello così poco profondo che potei attraversarlo a piedi.

Cosa che feci, ma solo dopo aver bevuto. Acqua pulita? Probabilmente contaminata, ma me ne infischiai: i miei singolari «diritti di nascita» mi proteggono dalla maggioranza delle infezioni. Il sapore era buono, e ne bevvi tanta, e poi mi sentii molto meglio fisicamente; ma il senso di peso al cuore restò.

Mi addentrai nel sottobosco, in cerca di un posto dove potessi non solo nascondermi ma addirittura azzardarmi a dormire. Le sei ore di sonno di due notti prima sembravano orribilmente lontane; ma il guaio di nascondersi in un boschetto così vicino alla città è che prima o poi può arrivare una pattuglia di boyscout e calpestarti la faccia. Quindi mi misi in cerca di un posto non solo selvaggio, ma anche inaccessibile.

Lo trovai. Un pendio ripido come la morte, reso ancora più inaccessibile da una massa di cespugli spinosi che individuai alla cieca.

Una massa di cespugli spinosi?

Mi occorsero quasi dieci minuti per trovarla, perché sembrava la parte sporgente di un macigno rimasto lì dai tempi in cui l’avanzata dei ghiacciai aveva spianato tutta la zona. Guardando meglio, però, non pareva di roccia. Occorse ancora di più per infilare le dita in un qualche appiglio e sollevarla, dopo di che si alzò facilmente, grazie a un contrappeso. Scivolai dentro in fretta e la lasciai tornare al suo posto e mi ritrovai al buio, spezzato solo da lettere luminosissime: PROPRIETÀ PRIVATA — VIETATO FUMARE.