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Il giorno dopo arrivò a Fantozzi il conto della vetrata. La signora Pina, pietosamente, non fece commenti.

Ma per tre notti sognò di ricevere la coppa Davis dalle mani di Alessandra di Kent in una splendida giornata di sole.

LA SFIDA CALCISTICA FRA QUARANTENNI

C'è sempre in ogni agglomerato umano l'“organizzatore di sfide calcistiche”. Mentre godono fama di organizzatori, questi elementi sono in realtà solo dei criminali pericolosi e la loro monomania porta periodicamente dei padri di famiglia sull'orlo della tomba.

Nella società in cui Fantozzi presta tragicamente servizio da sempre, l'“organizzatore” è Fracchia, ovviamente dell'ufficio sinistri. Erano due mesi che il cervello malato di quest'ultimo stava perfezionando una sciagurata idea: una sfida calcistica. Aveva cominciato con l'interpellare (o meglio violentare) i colleghi più timidi per metterli in squadra; aveva impiegato lunghe ore di ufficio per varare le due formazioni, aveva prenotato il campo, insomma aveva con la sua mente organizzativa allestito un quasi genocidio preterintenzionale. Per dare allo scontro un pizzico di interesse aveva lanciato un cartello di sfida: scapoli contro ammogliati.

Agli orologi timbratura c'era già da quindici giorni un cartello “spiritosissimo” con le formazioni, due disegni a pastello e l'avviso: “Scapoli contro ammogliati”, ore 6,30 di domenica 24 novembre, al Campaccio. Molti commentarono che le 6,30 era un'ora un po' tragica per un giorno festivo, ma si sa in Italia i campi da gioco sono pochini e la colpa non era certo dell'“organizzazione”.

Gli spogliatoi sembravano gelide catacombe e molti, quando si videro nudi alle 6,30 del mattino a battere i denti con una umidità tale che Fracchia si trovò una trota sotto il braccio, cominciarono a maledire gli eventi che li avevano gettati in quell'avventura.

Alle 7, quando l'arbitro signor Mughini decise di dare egualmente inizio allo scontro, mancavano ancora quattordici giocatori. C'era, limitato al rettangolo di gioco, un temporale come dai tempi di Noè non si vedeva.

Parlare di scelta del campo in quel pantano terrificante sarebbe stato ridicolo: e si cominciò. Da una parte erano schierati tre ammogliati, dall'altra cinque scapoli. In partite di questo tipo in Svezia si presentano 22 giocatori tutti alti, tutti biondi, tutti belli. Questi erano di taglia mediterranea. C'era un giocatore sui 112 chilogrammi alto 99 cm, altri invece erano alti sull'1,90 ma pesavano 23 chili, purtroppo abbondavano i calvi, che nelle giornate di pioggia non riescono a colpire la palla di testa perché scivola via. A volte anzi, trattandosi di un vecchio pallone, li scotenna ferocemente quando colpiscono dalla parte della stringatura, che l'usura ha affilato come un rasoio.

Viene incaricato del calcio d'inizio simbolico il direttore magistrale superiore. Questi parte con breve rincorsa e colpisce una grossa pietra scambiandola per la palla e va a pozzanghera ululando tra lo scoramento generale. Poi il fischio d'inizio. Una frazione di secondo e c'è subito uno scontro a 8, si sente un rumore tremendo di tibie e di ossaglia, qualche lamento, degli scricchiolìi. e la partita viene subito interrotta. Arrivano intanto alla spicciolata i giocatori ritardatari. L'arbitro rimette in gioco la palla scodellandola con la mano mentre arriva in ritardo Fantozzi. Entra in campo a bomba e come la palla sta per toccare terra, e quindi non è ancora in gioco, la colpisce col collo del piede al volo con una violenza straordinaria e come mai gli era capitato. Il pallone centra in pieno naso l'arbitro signor Mughini, suo direttore. l'arbitro lo espelle, ma poi si ravvede e lo va a richiamare negli spogliatoi ormai piangente. Dopo la prima corsetta i giocatori sono tutti a pezzi: annebbiamenti alla vista, miraggi, palpitazioni e manie di persecuzione. Fracchia, dopo dodici minuti di gara vide addirittura san Crisostomo che gli sorrideva da sopra la traversa avversaria.

Tra gli ammogliati si batteva come un leone, senza toccar palla, un certo Filini. Quarantasei anni, 99 cm di statura, esordiente, completamente calvo. La palla, pesantissima perché intrisa d'acqua, viene respinta da un terzino avversario. Si alza a campanile a 190 m. e ripiomba. Sorprende Filini in una zona sguarnita del campo. Lo sventurato tenta la respinta di testa. Si pianta come un chiodo nel fango fino alla cintura e poi ha immediatamente delle strane visioni: fiori, la casa dove era sfollato durante la guerra, il fratello in un prato verde. Si risveglia all'Ospedale Maggiore.

La fatica dei contendenti è tremenda per due motivi: primo, si passa da zone erbose tipo giungla vicino alle bandierine degli angoli a zone asfaltate in ferro-cemento nelle aree di porta; secondo il campo è in discesa. Gli ammogliati, che giocano in salita, sono svantaggiati. Vicino al campo c'è un tremendo vallone, una specie di canyon, e ogni qualvolta la palla rotola in fondo bisogna aspettare mezz'ora perché l'infelice che l'ha toccata per ultimo la vada a recuperare. In quella mezz'ora tutti si sdraiano per terra a recuperare. Molti prendono sonno.

Al 36', calcio di rigore. Si incarica del tiro Fracchia, emozionatissimo. Prende la rincorsa da dietro le colline e viene giù al galoppo. Nel campo si era fatto un grande silenzio. Fracchia entrò dalla porta del palio. Giunto all'altezza del dischetto gli partì la scarpa dopo aver mancato decisamente il pallone. La scarpa centrò in pieno il portiere sgranandogli tutti i denti. Il portiere (che era sceso in campo, su consiglio di alcuni politicanti, in completo grigio, chiavi incrociate agli occhielli, berretto gallonato e guanti bianchi) rimase un attimo ondeggiante e poi andò a cemento. L'arbitro che vide la scarpa rotolare in porta, fischiò la prima rete. Il punteggio, che fino a questo momento era rimasto bloccato sullo zero a zero, degenerò decisamente: 5 a 8, 11 a 20 e poi 38 a 24. Erravano per il campo dei calciatori miopi, ormai quasi ciechi, avendo perso gli occhiali nelle mischie, che colpivano sempre i compagni di squadra in nuca, credendo di respingere la palla. Scoppiarono quindi delle risse feroci. Bulbem, un mostro dell'ufficio sinistri, staccò netta un'orecchia, con un morso, a Fantozzi. Il capo del personale se la mise in tasca e la portò a casa per farla trapiantare su un suo cugino che aveva un udito irregolare. La partita fu sospesa per oscurità al calar della notte.

FANTOZZI A PARIGI

Anche Fantozzi ha trascorso un fine settimana a Parigi.

Era apparso, vicino agli orologi di timbratura della società nella quale lavorava un manifesto con il programma di un week-end a Parigi, viaggio andata e ritorno in aereo, vitto e alloggio: 20.000 lire. Un viaggio a Parigi per lui impiegato, topo di una grande azienda, è sempre un momento luminoso di una oscura esistenza. Parigi, c'è tutta una letteratura in materia, è una città molto importante per una vacanza: così affermava anche un dépliant turistico. Fantozzi andò subito all'ufficio personale e si iscrisse. Con sole 10.000 lire in contanti e dieci rate da 1.000 lire prenotò un posto per “due giorni di gioia nella città più bella del mondo”.

Venne il giorno della partenza. Infernale: una nebbia terrificante, come in città non si aveva da 380 anni esatti. Il gruppo dei gitanti si sobbarcò a un trasferimento di quattro ore di pullman fino al più vicino aeroporto ancora aperto al traffico. La mattinata in pullman fu comunque allietata da un clima di gioioso cameratismo. Alle 10,30 cominciarono gli spuntini (panini al salame di dieci chili) e spuntò qualche fiasco. La comitiva, guidata da Fantozzi, che era il capogruppo (e anche il più insidiato dal vino), prese posto in un terrificante trimotore Savoia-Marchetti in tela cerata. Unico inconveniente: Fantozzi aveva perso i biglietti dell'intero gruppo. Ma il pilota era così preoccupato per il decollo (risultò poi che l'aereo era fermo da una trentina d'anni) che non vi diede gran peso e li accettò sulla fiducia. Dopo circa un'ora di volo riatterrarono tutti all'aeroporto di partenza: una decisione inevitabile dopo che Fantozzi aveva confessato, piangendo, di aver dimenticato sul pullman anche tutti i passaporti della comitiva.