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IL RAG. MARLOCCHIO HA CHIUSO LE OLIMPIADI

Domenica Fantozzi è andato a passeggiare con la famiglia: un pomeriggio con un solicello invernale basso sull'orizzonte, e senza vento.

Due ore gli sono bastate per capire che le “Olimpiadi private” sono finite; ha visto molti partecipanti ormai rassegnati, gonfi, con le pance che sembravano ruote di scorta sotto le giacche, trascinarsi desolatamente carponi da panchina a panchina seguendo l'ultimo raggio di sole.

Ogni quattro anni gli italiani fanno le loro Olimpiadi private parallelamente a quelle ufficiali. Nell'autunno del '68 sono state particolarmente importanti perché contemporanee a quelle di MEXICO, che sono state precedute da un battage pubblicitario veramente straordinario, improvvisato nella piazza delle Tre Culture fra studenti e “granaderos”.

La televisione ha tenuti tutti alzati alle volte fino alle 3 di notte. Arrivavano alla “timbratura cartellini” del mattino con gli occhi un po' arrossati per la veglia, ma a ben guardare c'era una maschia determinazione nel salire l'ultima rampa di scale e un fuoco nuovo negli occhi: ognuno viveva la sua Olimpiade privata.

Al mattino gli autobus, gli uffici erano pieni di esperti di atletica; si incrociano giudizi sulla preparazione degli atleti, sui regimi dietetici da seguire nei periodi di surménage fisico. Si parla di “acclimatazione all'altura”, di vantaggi degli atleti degli altipiani, si citano i record dall'Olimpiade di Londra del '48 in poi con un tono di quasi attendibilità, e si può stupire il ragazzo del bar confrontando i tempi incredibilmente alti delle Olimpiadi di Los Angeles del lontano '32, ma il merito si dice è della rarefazione dell'aria o della maggiore penetrabilità, “soprattutto” della famosissima pista in tartan. Fantozzi si lamenta: “… grazie tante… anch'io se avessi il pavimento del mio ufficio in tartan avrei un maggiore rendimento sul lavoro!”

Poi si è scatenata anche la stampa. Il medagliere dell'Italia è una specie di Caporetto, e allora tutti addosso al CONI che non costruisce i campi. Le statistiche sono demoralizzanti: pare che in Italia ci sia una pista in terra battuta (non certo il magico tartan) ogni 100.000 abitanti. Anche i giornali di fiducia fanno scoprire cose incredibili.

La Calabria e la Lucania non sono assolutamente attrezzate per qualsivoglia attività sportiva! E molti le pensavano piene di piscine e di prati verdi all'inglese, pullulanti di golf club elegantissimi, campi da polo e tennis tra gli uliveti! Si dice che la più delusa sia stata una certa contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare che, sbarcata dal suo bellissimo panfilo Lotta continua sulla spiaggia di Locri in Calabria, pare abbia esclamato alla vista di quella pietraia terrificante sotto il sole: “Però, d'accordo, non ci sono i campi da polo, ma qui aria da respirare ne hanno fin che ne vogliono!”.

Comunque tutti decisero che era meglio trascurare i problemi della scuola e fregarsene degli argini nel Biellese per costruire delle piste in tartan per ragionieri; quello che conta in quei brucianti momenti della sconfitta è il medagliere di Monaco '72.

Tutti fanno buoni propositi di ricominciare un po' col nuoto o con qualche corsetta con due maglioni sulle alture.

Si è capito che era iniziata l'atletica quando un mattino si è visto con occhi esterrefatti il ragioner Marlocchio, che abita vicino a casa, uscire corricchiando verso l'ufficio e saltare un cancelletto di 20 cm. con lo stile di Frinolli.

Il rag. Marlocchio, resosi conto che per motivi di sicurezza non lo avrebbero mai lasciato allenare ai 1.500 metri piani nei corridoi del suo ufficio, decise d'allenarsi all'alba.

Si svegliò alle 5 e mezzo. La moglie gli chiese: “Non puoi dormire?”. Lui non rispondeva ma si infilava una serie di pesanti maglioni. La “sua signora” lo guardava. “Ma cosa fai?” chiese con un tremito nella voce. “Niente, niente,” rispose lui brusco “esco un attimo… per una commissione.” Aprì la porta dell'ascensore con grande prudenza, e si incontrò faccia a faccia col portinaio: aveva indosso 4 maglioni, guanti di lana, passamontagna, i calzoni “brutti” e scarpe da tennis. Marlocchio decise di non salutare perché sarebbe stato troppo lungo spiegare che era cominciata la sua serie di allenamenti sui 1.500 piani, e che tutta quella spaventosa attrezzatura di lana gli serviva per buttar giù del peso.

Finalmente fu fuori. Si inebriò dell'aria del mattino, di strade deserte e di libertà. Nitrì selvaggiamente e partì al galoppo.

Ai 50 metri ebbe una extrasistole. E si fermò. Nel silenzio più assoluto sentiva solo i battiti del suo cuore. “Tim… tum… tim… tum… lup!” fece il cuore del ragionier Marlocchio.

Ai 150 metri gli si annebbiò la vista, ma continuò serrando i denti… poi una gran sciabolata lo passò da parte a parte all'altezza dello sterno e cadde a terra come un sacco di stracci. Vedeva confusamente la bandiera olimpica sventolare nella luce del mattino. Ma quel dolore alla schiena era tremendo. Mentre due guardiani notturni lo stavano caricando in un'auto di passaggio, gli scoppiò il mondo in testa.

Domenica scorsa sul lungomare sotto il solicello tangenziale Fantozzi ha rivisto tutti con le pance, un po' più gonfi e senza il fuoco sacro negli occhi. Solo allora ha capito che c'era stata la cerimonia di chiusura delle “Olimpiadi private”, ma nessuno se n'era accorto.

A Monaco se non succede un miracolo il medagliere sarà un disastro, ma intanto una soluzione c'è: rifare gli argini. Che per quelli del Biellese contino più delle medaglie?

FANTOZZI E l'APERTURA DELLA CACCIA

Anche Fantozzi ha partecipato all'ultima apertura di caccia. Non era un appassionato, anzi non era mai stato a caccia in vita sua, ma il suo collega di stanza Fracchia aveva tanto insistito che lui aveva dovuto cedere.

L'appuntamento era stato fissato a un'ora crudele, le 3 del mattino, al casello dell'autostrada. Le due utilitarie arrivarono puntualissime. Da una uscì faticosamente Fracchia: berretto alla Sherlock Holmes, gigantesco giaccone di velluto a coste, calzoni alla zuava gonfi come palloni sonda, calze di lana, scarpe da tennis con sopra galoches, un piccolo cane pechinese al guinzaglio e a tracolla un vecchissimo fucile a tromba tipo brigante calabrese. Dall'altra Fantozzi: berretto bianco da marinaio, tragico impermeabile stretto in vita da cartucciera di mitragliatrice, residuato della 2a guerra mondiale, calzoni di tela, piedi nudi, un guanto di lana, una fionda a elastico rubata a qualche ragazzo e a guinzaglio sua moglie signora Pina che nella notte aveva truccato alla meno peggio da bracco. I due si salutarono e andarono con i “cani” al bar del casello dell'autostrada per bere un caffé “corretto”. Il bar era gremito di cacciatori armati fino ai denti: mitragliere, bombe a mano e armi per la guerra batteriologica. Tutti guardavano con grande curiosità i “cani” degli ultimi arrivati. Uno cercò di accarezzare la signora Pina, ma poco mancò che questa ringhiando non gli staccasse un dito.

Partirono con la macchina di Fracchia. In sei ore terribili arrivarono alla “macchia” scelta per la battuta. Erano circa 600 in 15 metri quadrati e si guardavano con grande diffidenza. Lo stesso atteggiamento avevano assunto i cani tra di loro.

Attendevano tutti da circa due ore quand'ecco che il “cane” di Fantozzi si irrigidì in atteggiamento da punta (gli altri cani si erano assopiti perché non abituati a quelle sveglie drammatiche). Tutti guardavano verso un cespuglio che ondeggiava leggermente. Tutti spianarono i fucili, la “cosa” uscì furtivamente dalla macchia e allora fecero fuoco tutti insieme: era un cacciatore ritardatario che Fantozzi ricordava impiegato in una società di navigazione. Lo finirono a coltellate.

Tutti avevano sparato finalmente i primi colpi dell'“apertura”, ma Fracchia, che stava ancora armeggiando al suo trombone, fece cenno finalmente a quelli con i coltelli di aprirsi e fece fuoco, appoggiando la guancia al calcio del fucile. Andò a terra con un urlo soffocato perché il rinculo tremendo gli aveva “sgranato” diciotto denti.