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Gli altri cacciatori decisero di cambiare posizione e loro rimasero per vedere di riattivare il “trombone”. Armeggiavano già da qualche tempo, quando alle loro spalle ecco arrivare vestito da generale prussiano un grosso funzionario della loro ditta. I due e i “cani” si inchinarono a baciargli la mano destra che questi aveva teso imperiosamente e gli chiesero piangendo aiuto.

Cominciò ad armeggiare anche il generale prussiano. Apri la canna del fucile. guardò attentamente tutto con attenzione, poi disse: “Ma che cretini che siete, è scarico! Tenga” disse a Fantozzi, porgendogli il “trombone”. “Me lo regga.” Mise l'occhio in canna e aggiunse: “Ma non lo vedete che è completamente sca…”. Non finì la frase, la valle fu squarciata da una tremenda esplosione. Lo nascosero con delle frasche confidando nella fionda di Fantozzi.

Verso sera la battuta degenerò in battaglia autentica. I più facoltosi si avvalevano dell'apporto di carri armati pesanti e caccia bombardieri: ma era prevalentemente una guerra statica di trincea. Al calar della notte ci fu una tregua e cominciò il ritorno. Fracchia pregò Fantozzi, che era anche ferito a un braccio, di farsi legare per i piedi sul tetto dell'utilitaria come fagiano, per salvare a faccia. Lui accettò ed ebbe un po' freddo in autostrada.

All'arrivo in città non appena Fracchia aprì la porta dell'utilitaria scappò proditoriamente il “cane” di Fantozzi. Ma, siccome lui non aveva mai pagato la tassa per la moglie, questa fu subito presa da due feroci accalappiacani e con un furgone portata al canile municipale.

Quella notte Fantozzi ne sentì un po' la mancanza, ma dopo una settimana non ci pensò più. Quando gli scrissero che se la rivoleva doveva pagare la tassa, lui non rispose neppure.

QUANDO FANTOZZI PRESE IL TRAM AL VOLO

È da 25 anni che Fantozzi al pomeriggio della domenica in autunno va alla partita di calcio.

La colazione della giornata festiva è tradizionalmente più massiccia, ed è per questo che, dopo, Fantozzi se ne sta a leggiucchiare la pagina dello sport di un quotidiano, sprofondato nella sua poltrona d'ordinanza con la mollezza di un pitone al sole. Poi butta o forse gli cade il giornale per terra, sbadiglia profondamente e il più delle volte si addormenta.

Si tratta di un pisolino di una ventina di minuti. Poi si alza stiracchiandosi, chiede un caffé alla signora Pina che gliene porta uno a tremila gradi, lui lo tracanna e gli parte un urlo selvaggio: ogni volta si ustiona ferocemente, ma si sveglia. Si infila le scarpe, che sembrano due pezzi di ghiaccio, la giacca di un vestito intramontabile, basco, e radiolina per sentire i risultati dagli altri campi Da un po' di tempo si porta allo stadio anche un cuscinetto pieghevole di gommapiuma, con i colori della sua squadra. Quest'ultima attrezzatura si è rivelata l'unico rimedio contro i fenomeni di “cartonatura natiche” cui andava soggetto per il passato.

Scende lentamente le scale di casa alle due e ventotto, alle due e trenta è in strada, a piedi percorre i duecento metri che separano il portone di casa sua dalla fermata del tram. Attende pazientemente fino alle due e trentuno e puntualmente arriva il tram numero 23 barrato che lo porta allo stadio.

Questo da 25 anni.

Domenica scorsa la signora Pina gli ha fatto una lasagnata terrificante e lui se ne mangiò una mezza teglia. Quando si svegliò il caffé era già freddo ed erano, soprattutto, le due e trenta: rischiava di perdere l'inizio della partita più importante della stagione. Tracannò un caffé che non lo svegliò affatto e mentre si infilava il basco disse: “Oggi prenderò il tram al volo!”.

E la signora Pina: “Ma cosa dici! tram al volo, non sei attrezzato…”. “Perché?” rispose lui. “Lo fanno tutti” e fece nel dirlo un gran bel gesto leonino con la testa buttandola all'indietro con violenza e dando così una craniata pazzesca contro lo stipite di mogano di un armadio nella sala di ingresso.

Gli sfuggì una curiosa bestemmia e concluse: “Questo armadio maledetto dovrò pur venderlo un giorno!” e si avventò giù per le scale ululando come un guerriero unno.

La notizia si sparse per incantamento in tutto il palazzo: “Prende un tram al volo… prende un tram al volo… il rag. Fantozzi si rischia un tram al volo!..”. E su su, per ignoti canali di comunicazione, arrivò fino all'ultimo abbaino. Tutti alla finestra, allora, come in un teatro elisabettiano. Fantozzi sbucò in strada alle 14 e 31 e si piazzò davanti al portone attendendo a piè fermo il tram 23.

Alzò gli occhi e vide le tribune complete. Salutò con un ampio e sereno gesto del braccio la moglie. Dalle tribune parti un brevissimo applauso di incoraggiamento. Decise di accendersi una sigaretta. Ne tirò fuori una con calma dal pacchetto, prese un fiammifero, lo accese e se lo infilò in bocca gettando lontano la sigaretta. Non urlò per orgoglio, ma dalle tribune si capi che la situazione era grave. Una voce isolata dagli abbaini lo raggiunse: “Coraggio!” e lui capi che ormai non si poteva ritirare.

Dal fondo della curva ecco il 23. Occhi fiammeggianti, avanzava sferragliando minacciosissimo come un tirannosauro. Il manovratore intuì le intenzioni dell'uomo e mise l'8, cioè “avanti tutta”. Quando il 23 arrivò sotto casa le tribune erano piombate in un silenzio terribile. Fantozzi che era già in posizione di salto non tentò subito, ma parti al galoppo. Fece un 200 metri, che il CONI non gli ha poi mai omologato perché in favore di vento, poi ai 250 tentò il tutto per tutto e spiccò il salto. Mancò la maniglia clamorosamente, andò a battere con il mento sul predellino e rimbalzando planò ad angelo sul carretto di un venditore ambulante di bibite, al quale causò danni valutati in 70 mila lire. Fu portato al pronto soccorso.

Tornò a casa alle 4 del pomeriggio completamente fasciato e prima che sua moglie aprisse bocca le disse: “Chi dice qualcosa ci spacco la faccia!”.

La signora Pina non replicò e lo condusse amorevolmente per mano alla sua poltrona d'ordinanza. Gliela indicò col capo come per dirgli “siediti, ché sei un po' stanco” Una vicina in quel preciso istante gliela spostò per sedersi a vedere un nuovo programma televisivo. Fantozzi si schiantò a pavimento.

Quando la vicina gli versò in gola un caffé a 6.000 gradi si sentì un rumore curioso come di ferro rovente immerso in acqua. Lui si alzò da terra e cercò di buttare la donna giù dalla finestra. Ma fallì nell'impresa.

FANTOZZI AL RISTORANTE

Domenica scorsa Fantozzi portò sua moglie a colazione al ristorante.

Quella di andare una domenica a colazione fuori era un'antica promessa che, per colpa della signora Pina, sua moglie, non aveva mai potuto mantenere. C'era la figlia da guardare, aveva dei dubbi sull'abito da mettere o aveva invitato i suoceri a passare il pomeriggio con loro. Ma questa volta, sistemata la figlia dai nonni, la signora Pina non aveva scuse e Fantozzi mantenne finalmente una promessa che aveva fatto da una quindicina d'anni.

Aveva domandato in ufficio, da più settimane, consiglio su dove andare per mangiare bene senza farsi uccidere da prezzi assassini e Fracchia, che “sapeva sempre tutto”, gli consigliò “da Enzo il pescatore”: avrebbe mangiato pesce freschissimo e a buon prezzo.

Si erano vestiti per uscire. Lei aveva un abitino di tela verde, borsa rossa, non si era lavata i capelli e si sentiva a disagio. Fantozzi, che non aveva mai accettato il concetto dell'abito da mezza stagione, aveva un pesantissimo spigato siberiano grigio di confezione, cravattone con nodo sbagliato (la parte stretta gli arrivava oltre la cintura e la parte larga solo un palmo sotto il mento) e scarpe nuove strettissime che gli provocavano un curioso cerchio alla testa.

Fantozzi e la signora Pina entrarono “da Enzo il pescatore” alle undici e trenta di domenica mattina. Stavano pulendo ancora per terra. Un cameriere gli spiegò duramente che fino alle dodici e trenta non davano da mangiare.