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E poi i “giochi di ponte” che sono di una noia abissale. Il più noto è il tiro alla fune: pericolosissimo. Non potendosi fare impiegati contro impiegate perché queste sono molto più forti degli uomini distrutti da vent'anni di scrivania, si fa in genere scapoli contro ammogliati. Uniche categorie lecite in Italia. Provate rossi di cappelli contro neri: sa subito di fazione politica. Omosessuali contro impotenti? Si creano subito delle invidie! Oppure impiegati contro dirigenti.

Ma in questo caso si conosce subito l'esito. Due dirigenti di 106 anni sbaragliano 100 impiegati di trenta. Allora scapoli contro ammogliati. I feroci ufficialetti che organizzano i giochi urlano: “Via!”. Al via parte solo il gruppo degli ammogliati e l'ultimo centra con la nuca una di quelle grosse borchie di ottone, messe volutamente dall'armatore, in punti strategici sul ponte giochi… per sfoltire e diminuire le spese di gestione. Gli ufficialetti intervengono allora allegri: “Non è successo nulla”. “Allegria, allegria. Cosa volete che sia, in fondo era solo un crocerista… di turistica.” E lo spingono con il piede furtivamente in mare. Poi fanno al capitano, che è sul ponte di comando, un gesto col pollice: “Ne cancelli uno per favore”. E il comandante sposta un pallino in un grande “pallottoliere da crociera” che tiene al posto della bussola.

Altro gioco: la pesca dei cucchiai. Si gettano dei cucchiai d'argento nella piscina di prima classe, la più grande. Le navi sono classiste, non certo come quelle negriere di “cara” memoria, ma ci sono piscine di 1a poi di 2a più piccole, poi di 3a, fin che si arriva a piscine grandi come bottoni, per l'equipaggio. Ma il gioco dei cucchiai si fa sempre nella piscina di prima. Gli ufficialetti dicono “… e al giovane vigoroso che raccoglierà più cucchiai dal fondo daremo in regalo una bella bambolina”. Cade in acqua subito uno sui 90. Loro attaccano la radiocronaca. “Si è gettato il ragionier Fulzi dell'ufficio sinistri… è immerso già da venti secondi… Lo vediamo immobile sul fondo… sta cercando certamente di raccogliere dei cucchiai… immerso da due minuti… da sei… da dodici… è sempre immobile! da venti… stappare!!!”

La vasca viene vuotata e il ragioniere furtivamente gettato fuori della murata. Il capitano che ha visto tutto sposta un pallino sul suo pallottoliere questa volta con una curiosa risata. Ed è per questo che le navi da crociera sono seguite da branchi di pescicani i quali hanno certamente dall'armatore notizie sulla rotta e le aspettano al varco all'uscita dai porti.

L'altoparlante l'ultimo giorno fece un annuncio “Chi desidera visitare le macchine si trovi alle 15 nel salone di prima classe”. Fantozzi curioso ci andò.

Sul posto, un ufficialetto di coperta, bello, tutto in bianco, sciabola e feluca.

“Lei è ufficiale di macchina?” domandò e lui con fierezza: “Mai sceso nelle macchine, io! Conduco il gruppo!” disse e lui si accorse che sbriciolava una lunga fila di molliche di pane, come Pollicino nella fiaba. Valicarono la porta delle macchine: l'inferno! Un caldo terrificante. Sul fondo, un migliaio di persone, uomini e donne, distrutti dalla fatica e sporchissimi che remavano con sforzo, a ritmo assordante di tamburi, percossi dai feroci aguzzini. Rimase molto sorpreso. Si avvicinò a un tipo sporco, ma distinto, con gli occhiali d'oro. “Lei è capitano di macchina?” urlò superando il rumore dei tamburi. “No!” “Ha fatto l'Istituto nautico, però?” “No” rispose con un filo di voce. “Tradizione di famiglia?” “No! Sono dottore in economia e commercio.” “Come mai?” “Crociera aziendale 1949… mi sono infilato subito nella porta delle macchine, credevo che fosse la mia cabina. Mai più trovata l'uscita! Ma mi sono adattato, un lavoro vale l'altro, e qui ci sono meno responsabilità e poi… ” Non finì la frase, una scudisciata gli tappò la bocca. Lui abbassò gli occhi e non volle più parlare.

FANTOZZI VA IN CROCIERA

Fantozzi fu invitato a una breve crociera a bordo del Bracciante.

Il Bracciante è la bellissima barca del conte Pier Ugo Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ormeggiata a Portofino Mare. (Veramente è uno yacht da 100 mila tonnellate, ma la gente “in” di Portofino chiama “barca” anche la Forrestal.) Era stato invitato alla crociera anche il collega Fracchia.

Partirono per Portofino con la macchina di quest'ultimo. In serata arrivarono alla meta, dove ad accoglierli c'era la contessa Pia Serbelloni Mazzanti, donna ancora piacente che Fantozzi corteggiò sfacciatamente in attesa dell'arrivo del conte Serbelloni. Con l'ambasciatore della Erzegovina, Pilic, si recarono tutti a cena, al ristorante più elegante di Portofino. A tavola si intrecciavano le conversazioni mondane. Fracchia chiese: “Contessa, lei è una Serbelloni da parte di padre?”. “No, da parte di madre. Mia madre, la bellissima Isa era una Serbelloni Vien dal Mare.” “Ma lei è anche una Mazzanti?” “Sì, morta la bellissima Isa, appunto la Serbelloni, mio padre era passato a seconde nozze con un certo ragioniere Ugo Mazzanti.” “Bella donna?” “No, guardia civica. Fu un tragico errore. Il conte mio padre era stato irretito in quella scelta da quel volgare cognome!”

Mentre si svolgeva questa interessante conversazione, il mattre si mise a preparare delle crèpes-suzette alla fiamma. Armeggiò un po', poi accese definitivamente il fornello, versò del cognac nella padella e subito si alzò una gran vampata. Fantozzi, che era a un passo, scattò in piedi, prese il secchio del ghiaccio e spense l'incendio con piglio eroico. Il mattre, grondando acqua, lo guardò con grande disprezzo.

L'indomani arrivò il conte Serbelloni, riuscito capitano d'industria, per il quale Fracchia nutriva una grande ammirazione. Il Serbelloni nascondeva, con un basco, una calotta d'argento, conseguenza di ferite riportate durante la guerra in un bombardamento aereo. Va detto che questa calotta comportava un inconveniente: tutte le volte che il conte, sovrappensiero, si picchiettava la testa con le dita, subito urlava: “Avanti, chi ha bussato? Fantozzi, per cortesia, vada a vedere”. E Fantozzi, rassegnato, andava alla porta, apriva e tornava. Il conte: “Chi era?”. “Nessuno” rispondeva Fantozzi. E il conte lo guardava ogni volta con diffidenza.

Salparono all'alba del giorno dopo. Fantozzi disse a Fracchia: “Sarà una vacanza meravigliosa e vorrei… ” non finì la frase. Preceduto dal fischio del nostromo, apparve il conte Serbelloni, vestito da ammiraglio. Lo accompagnava un applauso registrato (il conte era un megalomane), a cui seguirono pochi comandi secchi: “Attenti! Front a dest… Front”. Sistemò Fantozzi e Fracchia: alle macchine.

Fantozzi e Fracchia fecero tutta la navigazione fino in Sardegna nella sala macchine, in un caldo infernale, senza fumare e senza vedere il sole.

Arrivarono a Porto Cervo verso sera. Il conte comandò: “Fracchia alle gomene, il mozzo a prora”. Fantozzi scattò a prora. Fracchia, aveva fatto, con le corde, un groviglione pauroso, nel quale si dibattevano lui, il conte e il nostromo.

Fantozzi si preparava nervoso con l'ancora in mano. “Mozzo, butta l'ancora” ordinò il conte. L'ancora volò in mare: e dietro a essa volò Fantozzi, che aveva la corda attorcigliata a una caviglia. “Ragioniere, ma perché ha fatto il bagno di notte?” domandò la contessa. E aggiunse in tono ammirativo: “Com'è temerario lei, come si sta in acqua?”. l'acqua scura doveva essere vicina allo zero. Fantozzi rispose: “Si sta d'incanto. Cosa aspettate a buttarvi anche voi?”. Fracchia precedette la contessa e partì di scatto. Prese una rincorsa di sei metri, batté i piedi e fece “oplà”, buttandosi ad angelo. Non si sentì il tonfo, ma solo un colpo di gong: aveva centrato in pieno una boa di metallo. Cercò di barare battendo un disperato crawl sulla lamiera, poi si demoralizzò completamente e sparò una terribile bestemmia. Si dice che sia stato lui, due giorni dopo, mentre erano in alto mare, a gettare il conte fuori bordo nella notte. Costui, ripescato dopo una settimana dalla Giulio Cesare in rotta per il Sud America, fu portato a Buenos Aires. Sulle rive del Maldonado trovò lavoro e si ambientò facilmente perché sapeva lo spagnolo. Ivi visse cent'anni felice e contento.