Era arrivata a punto punto punto linea punto linea (che indicava una distanza a poco più di un chilometro dal villaggio), quando intorno a lei l’universo svanì con un debole schiocco. Cadde in avanti, colpì qualcosa di duro e gnanuloso e rotolò su se stessa fino a fermarsi.

La granulosità era sabbia. Sabbia fine, asciutta, fredda. Si indovinava che anche scavando di parecchi centimetri, sarebbe stata altrettanto fredda e altrettanto asciutta.

Esk rimase per un momento con la faccia affondata al suolo, chiamando a raccolta il coraggio per alzare gli occhi. Scorgeva, a pochi centimetri da lei, l’orlo della veste di qualcuno. Si corresse, di qualcosa. A meno che non fosse un’ala. Poteva essere un’ala, un’ala particolarmente logora e dura.

La seguì con gli occhi finché non trovò una faccia, più alta di una casa, stagliata contro il cielo stellato. Il suo proprietario cercava ovviamente di darsi un’aria da incubo, ma aveva esagerato. Essenzialmente il suo aspetto era quello di una gallina che fosse morta da circa due mesi. Ma lo sgradevole effetto era alquanto rovinato dalle zanne da facocero, le antenne da farfalla, le orecchie da lupo e il corno appuntito di un unicorno. Il tutto pareva essere stato messo insieme dal proprietario, che aveva sentito parlare dell’anatomia, ma non era mai riuscito ad afferrarne il concetto.

La creatura aveva lo sguardo fisso, ma non su di lei. Il suo interesse era concentrato su un punto alle sue spalle. Esk voltò molto lentamente la testa.

Simon sedeva a gambe incrociate al centro di un circolo di Esseri. Erano centinaia, immobili e silenziosi come statue, che lo contemplavano con la pazienza propria dei rettili.

Nelle mani a coppa Simon teneva un oggetto piccolo e angoloso; alla sua luce azzurrastra, il viso del ragazzo appariva strano.

A terra, accanto a lui, si scorgevano altre forme e ciascuna emanava un morbido chiarore. Erano le stesse forme regolari, tacciate con disinvoltura dalla Nonnina come giommetria: cubi, diamanti sfaccettati, coni, perfino un globo. Ognuna era trasparente e all’interno c’era…

Esk si avvicinò. Nessuno le prestava attenzione.

Dentro una sfera di cristallo che era stata gettata da parte sulla sabbia, galleggiava una palla blu-verde, intersecata da una rete di minuscole nubi bianche e da quelli che sarebbero potuti essere dei continenti. Posto che qualcuno fosse abbastanza stupido da cercare di vivere su una palla. Forse era una specie di modello. Ma qualcosa nel chiarore che emanava convinse Esk che fosse invece reale e probabilmente molto grande e non, in ogni senso, del tutto all’interno della sfera.

Lo rimise giù con precauzione e si avvicinò a un blocco di dieci lati nel quale galleggiava un mondo molto più accettabile. Era a forma di disco, ma al posto della Cascata c’era un muro di ghiaccio e invece del Centro s’innalzava un albero gigantesco, tanto grande che le sue radici affondavano nelle catene montuose.

Accanto a quello, un prisma conteneva un altro disco che ruotava adagio ed era circondato da stelline. Ma non era racchiuso da pareti di ghiaccio, ma da un filo rosso oro che si rivelò, a una ispezione più attenta, essere un serpente… un serpente abbastanza grande da circondare un mondo. Per ragioni note a lui solo, il serpente si mordeva la coda.

Esk, curiosa, girò e rigirò il prisma e notò che il piccolo disco al suo interno rimaneva invariabilmente dritto.

Simon ridacchiò. Esk depose il serpente-disco e sbirciò di sopra la sua spalla.

Il ragazzo reggeva una piccola piramide di vetro. Dentro c’erano delle stelle e lui di tanto in tanto la scuoteva così che le stelle turbinavano come fiocchi di neve nel vento e poi tornavano al loro posto. Questo lo divertiva.

E al di là delle stelle…

Era il mondo-Disco. Una Grande A’Tuin, non più grossa di un piattino, avanzava a fatica sotto un mondo che sembrava l’opera di un gioielliere in preda a una ossessione.

Risatina, turbinio. Risatina, turbinio, risatina. Nel vetro già si mostravano delle fessure sottili come un capello.

Esk guardò gli occhi vacui di Simon e poi alzò i suoi sulle facce fameliche delle Creature più vicine. Quindi allungò un braccio, gli tolse la piramide dalle mani, si volse e si mise a correre.

Gli Esseri non si mossero mentre lei si precipitava verso di loro, quasi piegata in due, stringendosi al petto la piramide. Ma all’improvviso i suoi piedi non correvano più sulla sabbia, lei era sollevata nell’aria frigida e una Creatura con la faccia di un coniglio affogato si girò lenta verso di lei e allungò un artiglio.

"Tu in realtà non sei qui" si disse Esk. "È solo una specie di sogno, ciò che la Nonnina chiama annallogia. Non possono farti male, è tutta immaginazione. Non ti può succedere niente, è tutto nella tua mente."

"Mi chiedo se quella lo sa?"

L’artiglio la colse a mezz’aria e la faccia da coniglio si spaccò come la buccia di una banana. Al posto della bocca, solo un buco nero, come se la Creatura stessa non fosse che un passaggio verso una dimensione ancora peggiore. Un luogo a paragone del quale la sabbia gelida e il chiaro di luna senza luna avrebbero rappresentato un divertente pomeriggio alla spiaggia.

Sempre tenendo stretta la piramide-Disco, con la mano libera Esk batteva sull’artiglio che l’abbrancava. Senza nessun effetto. Il buio l’avvolgeva, il varco verso l’oblio totale.

Scalciò con tutte le sue forze.

Date le circostanze, non le fu difficile. Ma lì dove il suo piede aveva colpito, ci fu un’esplosione di bianche scintille e uno schiocco… che sarebbe stato più forte e più soddisfacente se il suono non fosse stato risucchiato dall’aria.

La Creatura stridette come una motosega che incontrasse, annidato in un innocente alberello, un grosso chiodo lì dimenticato da tempo. Intorno a lei, le altre se ne uscirono in un ronzio compassionevole.

Esk scalciò ancora e la Creatura urlò e la lasciò cadere sulla sabbia. La bimba fu abbastanza sveglia da rotolarsi, sempre stringendo a sé per proteggerlo il piccolo mondo, perché anche in sogno una caviglia rotta può essere dolorosa.

La Creatura, incerta, la sovrastava. Esk socchiuse gli occhi. Mise giù il mondo con estrema precauzione, colpì con violenza la Creatura nel punto dove doveva esserci la tibia (posto che sotto il mantello la tibia ci fosse), e raccolse di nuovo il mondo in un unico rapido movimento.

La creatura ululò, si piegò in due e poi si accasciò piano, come un sacco di appendiabiti. Toccò terra e crollò in una massa di membra disgiunte; la testa rotolò via e si arrestò, dondolante.

"Tutto qui?" pensò Esk. "Quasi non riesco nemmeno a camminare! Se vengono colpiti, cadono e basta?"

Gli Esseri più vicini indietreggiarono con un pigolio, vedendola avanzare decisa. Ma, dato che i loro corpi erano tenuti insieme più o meno soltanto dalla volontà, il risultato non fu molto brillante. Lei ne colpì uno, dalla faccia come una famigliola di calamari, e quello si sgonfiò in un mucchio di ossa tremolanti, brandelli di pelo e pezzetti di tentacoli, molto simili a un piatto della cucina greca. Un altro, più fortunato, aveva cominciato a trascinarsi lontano con passo incerto; ma Esk gli sferrò un calcio a una delle sue cinque tibie.

Quello cadde, agitandosi disperatamente e trascinò giù con sé altri due.

Nel frattempo gli altri Esseri erano riusciti ad allontanarsi da lei e rimasero a guardare da una certa distanza.

Esk fece qualche passo verso il più vicino. Quello tentò di muoversi e cadde in avanti.

Potevano anche essere brutti. Potevano anche essere malvagi. Ma, in fatto di poesia in movimento, avevano la grazia e la coordinazione di una sedia a sdraio.

Dopo avergli rivolto un’occhiata minacciosa, Esk guardò il Disco nella sua piramide di vetro. Non pareva che tutta quella agitazione lo avesse disturbato nemmeno un po’.

Era stata capace di andare fuori, se quello era veramente fuori e se si poteva dire che il Disco fosse dentro. Ma come fare per tornare indietro?