— Saranno a cena nella Grande Sala — la informò Esk. — Può riportare indietro Simon, allora?

— Questa è la parte difficile. Direi che saremmo tutti capaci di riportare indietro qualcosa, che cammina e parla come gli altri. Che questo qualcosa sia Simon, è un altro paio di maniche.

La Nonnina si alzò. — Andiamo a trovare questa Grande Sala, allora. Non c’è tempo da perdere.

— Uhm, alle donne non è permesso entrare — obiettò Esk.

La Nonnina si arrestò sulla porta. Raddrizzò le spalle e si volse molto lentamente.

— Che hai detto? Queste vecchie orecchie mi hanno ingannato, e non dirmi di sì, perché non è vero.

— Scusami. È la forza dell’abitudine — disse la bambina.

— Vedo che ti sei messa in testa delle idee non all’altezza della tua condizione — dichiarò freddamente la Nonnina. — Va a trovare qualcuno che vegli il ragazzo e vediamo che c’è di tanto elevato in questa sala che io non debba metterci piede.

E fu così che mentre l’intera facoltà dell’Università Invisibile stava cenando nella venerabile sala, le porte furono spalancate con effetto drammatico. Che fu però rovinato in parte quando uno dei battenti urtò contro un cameriere e andò a colpire con violenza la tibia della Nonnina. Così, invece d’inoltrarsi sul pavimento dal disegno a scacchi con incedere baldanzoso, com’era nelle sue intenzioni, la povera donna fu costretta a procedere mezzo saltellando e mezzo zoppicando. Ma sperava di farlo con dignità.

Esk si affrettava dietro di lei, acutamente consapevole delle centinaia di occhi rivolti verso di loro.

Il rumore della conversazione e l’acciottolio delle posate cessò. Un paio di sedie vennero ribaltate. All’estremità della sala scorgeva i maghi più anziani seduti a un tavolo più elevato, che si alzò qualche centimetro da terra. Tutti le fissavano esterrefatti.

Un mago di rango mediano (che Esk riconobbe come il docente di Astrologia Applicata) si precipitò verso di loro, agitando le mani.

— Nononono — gridò. — È la porta sbagliata. Dovete andarvene.

— Non badare a me — gli disse calma la Nonnina e gli passò avanti.

— Nonono, è contro le tradizioni, dovete andarvene adesso. Alle signore non è permesso l’ingresso.

— Io non sono una signora, sono una strega — replicò la vecchia. E, rivolta a Esk, le chiese: — È molto importante?

— Non credo — rispose la piccola.

— Bene. — La Nonnina si voltò verso il docente: — Va a trovarmi un mago importante, per favore. Presto.

Esk le batté sulla schiena. Dimostrando una grande presenza di spirito, due maghi se l’erano svignata dalla porta alle loro spalle, e adesso diversi portieri del college avanzavano minacciosi nella sala, tra le acclamazioni e gli sghignazzi degli studenti. Alla bambina i portieri, che vivevano appartati nella loro casetta, non erano mai andati molto a genio. Ma in quel momento provò per loro un moto di simpatia.

Due di loro allungarono le mani pelose e afferrarono la Nonnina per le spalle. Il braccio della vecchia sparì dietro la sua schiena; seguì un rapido movimento confuso che finì con gli uomini che saltellavano via, tenendosi strette le mani su certe parti e imprecando.

— Gli spilloni — spiegò la Nonnina. Afferrò Esk con la mano libera e avanzò verso il tavolo dei grandi maghi, fulminando con gli occhi chiunque mostrasse appena l’intenzione di sbarrarle la strada. Gli studenti più giovani che riconoscevano che cos’era un divertente spettacolo gratuito quando ne vedevano uno, pestavano i piedi, applaudivano e battevano i piatti sui lunghi tavoli. Il tavolo principale ricadde sulle piastrelle del pavimento con un tonfo e i maghi anziani si affrettarono a mettersi in fila dietro Tagliangolo, mentre questi cercava di chiamare a raccolta le sue riserve di dignità. I suoi sforzi non raggiunsero lo scopo: è difficile avere un’aria dignitosa con un tovagliolo infilato nel colletto.

Alzò le mani per ottenere silenzio e la sala rimase in attesa mentre la Nonnina ed Esk si avvicinavano a lui. La vecchia guardava con interesse gli antichi ritratti e le statue dei maghi defunti.

— Chi sono quei buffoni? — domandò, muovendo appena le labbra.

— Erano i sommi maghi — bisbigliò Esk.

— Hanno l’aspetto di chi soffre di stitichezza — osservò la vecchia. — Non ho mai conosciuto un mago che fosse regolare.

— Sono noiosi da spolverare, è tutto quello che so — disse la bambina.

Tagliangolo stava piantato a gambe larghe, mani ai fianchi e gomiti in fuori, con lo stomaco che ricordava un pendio per sciatori principianti. Tutta la sua persona aveva assunto la posa che di solito viene associata a Enrico VIII, ma con una opzione su Enrico IX e pure X.

— Allora? Che significa questo oltraggio? — le aggredì.

— Lui è importante? — domandò a Esk la Nonnina.

— Io, signora, sono l’Arcicancelliere! E dirigo questa Università! E lei, signora, è entrata illegalmente su un territorio assai pericoloso! L’avverto che… smettila di fissarmi così!

Tagliangolo indietreggiò barcollante, con le mani alzate per ripararsi dallo sguardo della Nonnina. Intorno a lui i maghi si dispersero, rovesciando dei tavoli nella fretta di evitare quello sguardo.

Gli occhi della Nonnina erano cambiati.

Esk non glieli aveva mai visti così. Erano assolutamente d’argento, simili a specchietti rotondi, che riflettevano tutto ciò che vedevano. Nelle loro profondità, Tagliangolo era diventato un puntolino, la bocca spalancata, le braccine come stecchini che si agitavano disperate.

L’Arcicancelliere urtò contro un pilastro e lo shock lo fece tornare in sé. Scosse irritato la testa, mise una mano a coppa intorno alla bocca e mandò un fascio di fuoco bianco verso la strega.

Senza abbassare il suo sguardo iridescente, la Nonnina sollevò una mano e deviò le fiamme verso il soffitto. Ci fu una esplosione e una pioggia di frammenti di mattonelle.

Gli occhi le si ingrandirono.

Tagliangolo scomparve. E al suo posto era arrotolato un grosso serpente, pronto a colpire.

La Nonnina svanì. Al suo posto c’era adesso un grande canestro di vimini.

Il serpente divenne un rettile gigantesco uscito dalle nebbie del tempo.

Il canestro si tramutò nella folata di neve dei Giganti del Ghiaccio, che ricoprì di ghiaccio il mostro che si dimenava.

Il rettile diventò una tigre dalle zanne affilate, accovacciata per prepararsi al balzo.

La folata nevosa diventò una pozza di bitume ribollente.

La tigre divenne un’aquila china per spiccare il volo.

La pozza di bitume si tramutò allora in un cappuccio ornato di un ciuffo di piume.

Poi le immagini presero a tremolare via via che una forma rimpiazzava un’altra forma. Onde stroboscopiche danzavano nella sala. Si alzò un vento magico, spesso e oleoso, che faceva sprizzare dalle barbe e dalle dita scintille di ottarino. In mezzo a tutto questo Esk distingueva, attraverso gli occhi che le lacrimavano, le due figure della Nonnina e di Tagliangolo, statue lucenti nel mezzo del turbine di immagini.

Ma si rendeva conto di un’altra cosa, un suono così acuto che l’udito quasi non lo captava.

Lo aveva già udito, su quella fredda distesa… un pigolio, il ronzio di un alveare, il rumore dello scavo di un termitaio…

— Vengono! — urlò al di sopra del tumulto. — Stanno venendo ora!

Uscì carponi da dietro il tavolo dove aveva cercato rifugio dal magico duello e cercò di raggiungere la Nonnina. Una folata di magia allo stato puro le sollevò i piedi da terra e la scaraventò su una sedia.

Il ronzio si era fatto più forte, così che l’aria rombava come un cadavere di tre settimane in una giornata estiva. Esk fece un altro tentativo per raggiungere la Nonnina e arretrò quando una fiamma verde le salì su per il braccio e le strinò i capelli.

Si guardò intorno freneticamente in cerca degli altri maghi. Ma quelli che erano fuggiti dagli effetti della magia, si nascondevano tremanti dietro il mobilio rovesciato mentre la tempesta occulta impazzava sulle loro teste.