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Tenar stava quasi per chiederle quale fosse il significato di quell’affermazione, ma qualcosa glielo impedì. Comprese che aveva teso l’orecchio per sentire i passi di Ged che rientrava dai suoi vagabondaggi nella foresta, che si aspettava di sentire la sua voce: i sensi di Tenar negavano la sua lontananza. Alzò gli occhi verso la strega: una macchia scura seduta sulla sedia di Ogion accanto al focolare spento.

«Ah!» esclamò, e in un istante le parve di capire molte cose.

«È per quello che…» continuò. «È per quello che non ho mai…»

S’interruppe, e dopo un lungo silenzio commentò: «E loro… i maghi… Che cos’è, un incantesimo?»

«Certo, cara», disse Muschio. «Una stregoneria che fanno su se stessi. Alcuni ti diranno che fanno un patto, come una specie di matrimonio al contrario, con promesse e tutto il resto, e che così riescono a ottenere un Potere maggiore. Ma a me sembra una cosa sbagliata, come se trattassero con gli Antichi Poteri, cosa che i veri maghi non possono fare. E il vecchio mago mi ha detto che non è così. Anche se so che qualche strega l’ha fatto, e senza gravi conseguenze.»

«Quelle che mi hanno allevato lo facevano», disse Tenar. «Promettevano la loro verginità.»

«Oh, certo. Non c’erano uomini, mi hai detto, ma solo quegli unuchi. Spaventoso!»

«Ma perché», si chiese Tenar, «non mi è mai venuto in mente di…»

La strega rise. «Perché è il loro Potere, cara. Non ti viene neppure in mente! Non ci pensi! E non ci pensano neanche loro, una volta fatto l’incantesimo. E come farebbero, con il Potere che hanno? Non va bene, non possono. Non puoi avere se non dai, e questo vale per tutti. Lo sanno anche loro, i maghi, gli uomini di Potere, lo sanno meglio di tutti. Però lo sai anche tu: non è facile per un uomo adulto non essere uomo, anche se può far cadere il sole dalla sua orbita. Perciò se lo tolgono del tutto dalla mente, con i loro incantesimi di legame. E l’incantesimo non sgarra. Anche nei brutti tempi che abbiamo visto recentemente, con gli incantesimi che non riuscivano o che andavano di traverso, non ho mai sentito dire di un mago che avesse violato quegli incantesimi, e che si servisse del suo Potere per soddisfare i desideri del suo corpo. Nessuno di loro, neanche i peggiori, sarebbe disposto a rischiare. Naturalmente ci sono quelli che si creano delle illusioni, ma non fanno che prendere in giro se stessi. E c’è qualche stregone di poco conto, di quelli che usano la magia per riparare le pentole, che tenta qualche incantesimo di seduzione sulle contadine, ma a quanto ho visto si tratta di incantesimi piuttosto fiacchi. Il Potere dell’uno vale quanto il Potere dell’altra, e non succede niente. Almeno, così mi pare.»

Tenar ascoltò le parole della strega e rifletté. Alla fine disse: «Si isolano».

«Certo. I maghi devono farlo.»

«Ma tu non lo fai.»

«Io? Io sono solo una vecchia strega di villaggio, cara.»

«Vecchia quanto?»

Dopo qualche istante, la voce divertita di Zia Muschio uscì dall’oscurità: «Quanto basta a non cacciarmi più nei guai».

«Ma avevi detto… Non hai sempre mantenuto la castità.»

«Che intendi dire, cara?»

«Come i maghi.»

«Oh, no di certo!» disse la strega. «Non sono mai stata una bellezza, tuttavia riuscivo a guardarli in un certo modo… non era stregoneria, lo capisci anche tu, cara… ma se guardi gli uomini in un certo modo, loro poi vengono a cercarti, come è vero che il corvo gracchia. Dopo due o tre giorni arrivavano da me. ‘Mi occorre qualcosa per il mio cane, che ha la rogna.’ ‘Mi serve una tisana per la nonna, povera vecchia.’ Ma io sapevo benissimo quello che cercavano, e se mi piacevano poteva anche darsi che lo trovassero. Ma solo per amore… non sono di quelle, sai, anche se certe streghe lo sono, e, a mio parere, disonorano tutta la categoria. Io faccio il mio lavoro a pagamento, ma il piacere me lo prendo per amore, l’ho sempre detto. E non è sempre un piacere. Ero pazza di un uomo di qui, lo sono stata per anni, un bell’uomo, ma un cuore duro, gelido. Adesso è morto. Il padre di quel Townsend che è venuto ad abitare qui… devi averlo visto. Oh, ero talmente presa da quell’uomo che ho perfino usato la mia arte. Ho fatto tanti incantesimi su di lui, ma tutti sprecati. Niente di niente. Come cavar sangue da una rapa… E se sono venuta qui a Re Albi da ragazza era perché mi ero cacciata in un guaio con un uomo di Porto Gont. Non dovrei parlarne, perché era gente ricca, una famiglia importante. Erano loro ad avere il potere, non io! Non volevano che il figlio si mettesse con una ragazza del popolo come me, mi hanno dato della sporca puttana e mi avrebbero eliminato senza pensarci due volte, come si fa fuori un gatto, se non fossi corsa quassù. Ma, oh, come mi piaceva quel ragazzo, con le braccia e le gambe lisce, muscolose e grandi occhi neri. Sono passati molti anni, ma lo rivedo ancora davanti a me come se fosse ieri.»

Per qualche tempo, nessuna delle due parlò.

«E quando avevi un uomo, Muschio», chiese Tenar, «dovevi rinunciare al tuo Potere?»

«Nemmeno a una briciola», disse la strega, compiaciuta di sé.

«Ma hai detto che non si ha senza dare. Oppure, per le donne è diverso da com’è per gli uomini?»

«Perché, c’è qualcosa che non è diverso, cara?»

«Non saprei», rispose Tenar. «Mi pare che gran parte delle differenze ce le creiamo da noi, e poi ci lamentiamo della loro esistenza. Non vedo perché la magia, il Potere, debba essere diversa tra uomo e donna. A meno che non si tratti di due tipi diversi di magia.»

«L’uomo dà, cara. La donna prende», sentenziò Muschio.

Tenar non disse niente, ma la spiegazione l’aveva lasciata chiaramente insoddisfatta.

«Almeno in apparenza, il nostro Potere è molto piccolo accanto al loro», riprese Muschio, «ma scende in profondità. È tutto radice, come una vecchia siepe di more. Il Potere dei maghi, invece, è come una pianta di fico, grande, alta, solenne, ma se arriva una tempesta la sradica facilmente. Invece non c’è niente che riesca a distruggere una siepe di more.» Fece la sua risata chioccia, soddisfatta di avere trovato un paragone efficace. «Dunque, allora», continuò allegramente, «come ti dicevo, forse è meglio che se ne sia andato, perché la gente del villaggio cominciava a parlare.»

«A parlare?» fece Tenar, sorpresa.

«Tu sei una donna rispettabile, cara, e la reputazione è la ricchezza della donna.»

«La sua ricchezza…» disse Tenar, in tono vacuo. «Il suo tesoro. Il suo valore.» Si alzò: era stanca di stare seduta, e si stirò varie volte la schiena e le braccia. «Come i draghi che cercano una caverna e poi la trasformano in una fortezza per il loro tesoro, per le loro ricchezze, e poi si stendono sopra di esse, a dormire. Prendere, prendere e non dare mai!»

«Saprai anche tu il valore di una buona reputazione», disse Muschio, asciutta, «quando l’avrai perduta. Non è tutto, certo. Ma è difficile trovare qualcosa che la sostituisca, quando non ce l’hai più.»

«Tu rinunceresti a essere una strega per diventare una donna rispettabile, Muschio?»

«Non lo so», rispose lei, pensosa, dopo qualche istante. «Non so se potrei, però. So fare l’una, ma non so se saprei fare l’altra.»

Tenar la prese per le mani. Sorpresa, Muschio si alzò e si tirò leggermente indietro, ma Tenar la baciò sulla guancia.

La strega alzò una mano e timidamente le sfiorò i capelli: una carezza come quelle che le faceva Ogion. Poi si tirò indietro e mormorò di dover tornare a casa. Sulla soglia, però, chiese: «O forse preferivi che rimanessi, con tutti quegli stranieri che ci sono in giro?»

«Va’ pure», disse Tenar. «Sono abituata agli stranieri.»

Quella notte, addormentandosi, entrò di nuovo nelle grandi distese di vento e di luce, ma la luce era fumosa, rossa, arancione e ambra, come se l’aria stessa si fosse infuocata. In quell’elemento, lei aveva l’impressione di essere e di non essere: di volare nel vento e di essere il vento, il vento che soffiava, la forza che si liberava; e nessuna voce la chiamò.