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«Igan?» bisbigliò Boumour.

«Quelli come lui sono facili da distruggere,» spiegò Glisson. «Ho assistito all’evento. Accettate la mia parola.»

«Ma cosa faremo?» domandò Harvey.

«Fare?» Glisson lo fissò. «Aspetteremo.»

«Ma uno di voi ha affrontato un’intera squadra della Sicurezza, quando Potter è fuggito,» gli ricordò Boumour. «E adesso tutto quel che sa fare è aspettare?»

«Non sono stato programmato per usare la violenza,» lo informò Glisson. «Vedrete.»

«Cosa ci faranno?» sibilò Lizbeth.

«Tutto quel che vorranno,» replicò Glisson.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

«È fatta,» annunciò Calapine.

Guardò Schruille e Nourse attraverso i prismi riflettenti.

Schruille indicò i diagrammi che erano comparsi sulla parete interna del Globo. «Avete osservato l’emozione di Svengaard?»

«Era davvero terrorizzato,» commentò Calapine.

Schruille increspò le labbra, studiò il riflesso dell’altra Optimate. La visita alla Farmacia le aveva permesso di riacquistare la sua sicurezza interiore, ma sedeva sul trono in preda a una strana tristezza. Il caleidoscopico gioco di luci sulle pareti del Globo conferiva alla sua pelle un aspetto malato. Uno strano rossore aveva invaso i suoi lineamenti.

Nourse diede un’occhiata verso l’alto, ai sensori video: erano tutti accesi, brillavano di un rosso smorto. L’intera comunità di Optimati stava osservando la Tuyere.

«Dobbiamo prendere una decisione,» stabilì Nourse.

«Sembri pallido, Nourse,» commentò Calapine. «Hai qualche problema con i tuoi enzimi?»

«Non più di te,» replicò Nourse in tono difensivo. «Si è trattato di un semplice squilibrio. Ma sta già passando.»

«Ora, io dico: portiamoli qui,» annunciò Schruille.

«A quale scopo?» gli chiese Nourse. «Lo schema della loro fuga ci è ben noto. Perché rischiare che fuggano di nuovo?»

«Mi disturba il pensiero che là fuori ci siano individui fertili non registrati, e dunque non sottoposti al nostro controllo,» rispose Schruille.

«Sei sicuro che riusciremmo a catturarli vivi?» chiese Calapine.

«Il Cyborg ha ammesso che, contro di noi, è impotente,» le ricordò Schruille.

«A meno che non si tratti di un trucco,» intervenne Nourse.

«Non credo,» ribatté Calapine. «E una volta che li avremo portati qui, estrarremo le informazioni di cui abbiamo bisogno direttamente dai loro cervelli.»

Nourse si girò a guardarla. Non riusciva a comprendere cosa fosse successo a Calapine: parlava con l’insensibile brutalità di una femmina della Gente; a causa della violenza a cui aveva assistito, si era trasformata in un demone assetato di sangue.

Ma cosa riuscirà a calmarla? si chiese. Poi fu sconvolto da quel suo stesso pensiero.

«E se sono in possesso di mezzi per auto-distruggersi?» domandò Nourse. «Vi ricordo i casi dell’addetta al computer e di alcuni bioingegneri, che con ogni probabilità erano in combutta con questi criminali. Non siamo riusciti a impedire che si auto-distruggessero.»

«Quanto sei volgare, Nourse,» protestò Calapine.

«Volgare? Io?» Nourse scosse il capo. «Voglio semplicemente evitare ulteriori sofferenze. Distruggiamoli subito, poi rifletteremo sull’accaduto.»

«Glisson è un Cyborg completo,» gli ricordò Schruille. «Riesci a immaginare quante informazioni potremmo apprendere dai suoi banchi di memoria?»

«Io ricordo il Cyborg che scortava Potter,» replicò Nourse. «Non corriamo rischi. La sua docilità potrebbe rivelarsi un trucco.»

«Basterà immettere un narcotico a contatto nella loro attuale prigione,» propose Schruille. «Ecco il mio suggerimento.»

«E come fai a essere sicuro che farà effetto anche sui Cyborg?» obiettò Nourse.

«Certo, potrebbero sfuggirci per la seconda volta,» ammise Schruille. «Ma che differenza fa?»

«Finirebbero in un’altra megalopoli,» disse Nourse. «Non è così?»

«Sappiamo che l’infezione è molto estesa,» spiegò Schruille. «Sicuramente esistevano cellule di congiurati anche qui, nella Centrale. Le abbiamo eliminate, ma le…»

«Io dico di fermarli subito!» esclamò con foga Nourse.

«Sono d’accordo con Schruille,» intervenne Calapine. «Quali rischi correremmo?»

«Prima li fermeremo, prima potremo ritornare alle cose di cui dobbiamo occuparci,» insisté Nourse.

«Ma questa è proprio una di quelle cose,» gli ricordò Schruille.

«Ti stuzzica l’idea di sterilizzare un’altra megalopoli, eh, Schruille?» commentò con amara ironia Nourse. «Quale sarà, questa volta? Che ne dici di Loovil?»

«Una è stata sufficiente,» replicò Schruille. «E poi, in una faccenda del genere, non c’entra nulla ciò che piace o non piace fare.»

«Allora mettiamo la questione ai voti,» decise Calapine.

«Tanto siete due contro uno, vero?» commentò Nourse.

«Calapine intende dire una votazione generale,» spiegò Schruille. Diede un’occhiata ai sensori video. «Ovviamente abbiamo il numero legale.»

Nourse fissò gli indicatori, sapendo di essere in trappola. Non avrebbe osato respingere la proposta di una votazione generale — o di una qualunque votazione — e i suoi due compagni sembravano così sicuri di se stessi. Ma questa è proprio una di quelle cose.

«Abbiamo permesso ai Cyborg di interferire,» disse Nourse, «poiché le loro manovre aumentavano la percentuale di embrioni fertili nel genoma. Lo abbiamo fatto soltanto per distruggerlo?»

Schruille indicò una fila di ologrammi sulla parete del Globo. «Certo, se siamo in pericolo. Ma la vera questione è l’esistenza di individui fertili non registrati, il fatto che probabilmente siano immuni al gas contraccettivo. In quale altro modo avrebbero potuto produrre l’embrione che è stato sostituito a quello dei Durant?»

«In fin dei conti, non abbiamo bisogno di nessuno di loro,» disse Calapine.

«Vuoi distruggerli tutti?» si stupì Nourse. «Tutta la Gente?»

«Sì, per poi allevare una nuova generazione di cloni,» ribatté lei. «E perché no?»

«I cloni non sempre sono di buona qualità,» obiettò Nourse.

«Il nostro potere non ha limiti,» gli ricordò Schruille.

«Il nostro sole non brillerà all’infinito,» replicò Nourse.

«Ci occuperemo del problema a tempo debito,» stabilì Calapine. «Quale ostacolo non possiamo affrontare? Non siamo limitati dal tempo.»

«Eppure siamo sterili,» commentò amaramente Nourse. «I nostri gameti rifiutano di unirsi.»

«Per quanto riguarda me, fanno benissimo,» ribatté Schruille.

«Adesso si tratta di indire una semplice votazione,» disse Calapine. «La questione è semplicemente se dobbiamo catturare e portare qui una piccola banda di criminali. Perché dunque discutere su questioni tanto grandi?»

Nourse fece per parlare, poi ci ripensò. Scosse il capo, fece correre lo sguardo da Calapine a Schruille.

«Ebbene?» chiese quest’ultimo.

«Io penso che il vero problema sia questo piccolo gruppo,» disse Nourse. «Un bioingegnere Steri, due Cyborg e due Fertili.»

«E Durant era pronto a uccidere lo Sterile,» commentò Schruille.

«No,» ribatté Calapine. «Non avrebbe ucciso nessuno.» Improvvisamente, scoprì di essere interessata dal ragionamento di Nourse. Dopo tutto, erano state proprio le sue capacità di ragionamento e la sua logica che l’avevano sempre attratta.

Schruille, vedendola esitare, esclamò: «Calapine!»

«Abbiamo tutti notato l’emozione di Durant,» disse Nourse. Con un gesto, indicò la parete piena di strumenti davanti a lui. «Non avrebbe ucciso nessuno. Stava… istruendo Svengaard, gli stava parlando con la pressione delle mani.»

«Come fa con sua moglie,» disse Calapine. «Ma certo!»

«Tu sostieni che dovremmo far sviluppare una nuova serie di cloni,» disse Nourse. «E da dove prenderemo il materiale genetico? Dagli abitanti di Seatac, forse?»

«Potremmo prendere per prime delle cellule pilota,» propose Schruille, e si chiese come mai fosse stato costretto a mettersi sulla difensiva così improvvisamente. «Io dico di mettere ai voti la proposta. O li portiamo qui per interrogarli a fondo, oppure li distruggiamo.»