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Così, mentre a colpi di pagaia Raul Endymion spingeva la sua ridicola barchetta nella corrente del fiume-canale sempre più largo, rimase a guardare. Avrebbe fatto meglio, si disse, a prelevare anche il kayak, oltre a Endymion: i cinque Spettroelica rimasti sulla riva si aspettavano di veder scomparire uomo e imbarcazione, se sapevano che Endymion tentava la fuga via teleporter. Dal loro punto di osservazione avrebbero visto un lampo, e Endymion sarebbe scomparso. In realtà, Gige si sarebbe mantenuto in fase tempo rapido e avrebbe incluso uomo e kayak nel suo campo espanso. Inoltre il kayak poteva fornire indizi su dove si nascondeva la bambina Aenea: odori planetari rivelatori, tecniche di fabbricazione.

Lungo la riva, verso nord, la gente esultava e cantava. La duplice eclisse lunare era completa. Fuochi d’artificio scoppiavano sopra il fiume e lanciavano ombre barocche sull’arrugginito arco del teleporter. Endymion distolse l’attenzione dai cinque che lo salutavano col braccio e si concentrò nel mantenersi al centro della rapida corrente e vogare verso il teleporter.

Gige si alzò, si stiracchiò languidamente e si preparò a mutare di fase.

All’improvviso la creatura fu accanto a lui, a qualche centimetro: alta almeno tre metri, lo sovrastava.

"Impossibile" pensò Gige. "Avrei dovuto percepire la distorsione del mutamento di fase."

Le esplosioni di bengala riversarono luce color sangue sul carapace cromato. Denti metallici e punte di cromo distorsero le fioriture gialle, bianche e rosse in espansione su piani d’argento liquido. Gige colse per un istante la propria immagine riflessa, distorta e stupita, poi mutò di fase.

Il cambiamento richiese meno di un microsecondo. Ma chissà come, una delle quattro mani munite di artigli della creatura penetrò nel campo prima che si completasse. Dita a lama scavarono nella sintocarne e nei muscoli, cercarono uno dei due cuori.

Gige non badò all’attacco e attaccò a sua volta, movendo il braccio, reso argenteo dal mutamento di fase, in un colpo di taglio, come una ghigliottina orizzontale. Il braccio avrebbe tranciato una lega di fibrocarbonio come se fosse cartone bagnato, ma non tranciò la creatura. Tra le scintille, con un rombo di tuono, il braccio rimbalzò, dita insensibili, radio e ulna metallici fracassati.

La mano munita di artigli estrasse dal corpo del clone matasse di intestino, chilometri di microfibre ottiche. Gige si rese conto di essere stato squarciato dall’ombelico allo sterno. Poco male: poteva ancora funzionare.

Unì a punta le dita della destra e le spinse contro i luccicanti occhi rossi. Era un colpo mortale. Ma la creatura spalancò mascelle che parevano la cucchiaia di un escavatore e le richiuse con velocità superiore al quasi istantaneo mutamento di fase: all’improvviso il braccio destro di Gige terminò all’altezza del polso.

Gige si scagliò contro la creatura, cercò di unire i rispettivi campi di fase, tentò di portare i propri denti a distanza utile per azzannare. Fu afferrato da due mani gigantesche le cui dita a lama si conficcarono nel campo di fase e nella carne, gli impedirono ogni movimento. Il cranio di cromo scattò in avanti: punte aghiformi trapassarono l’occhio destro di Gige e il lobo frontale destro del suo cervello.

Allora Gige urlò, non di dolore (anche se per la prima volta nella vita provò qualcosa di simile al dolore) ma di pura, irrefrenabile rabbia. Chiuse di scatto i denti, con un rumore di lame che intacchino acciaio, e cercò la gola della creatura, ma quella continuò a tenerlo a tre braccia di distanza.

Poi la creatura mostruosa estirpò i due cuori di Gige e li gettò lontano nell’acqua. Un nanosecondo dopo, spinse avanti la testa, azzannò la gola di Gige e con un singolo scatto dei lunghi denti gli tranciò la spina dorsale di lega di carbonio. La testa di Gige fu spiccata dal busto. Gige tentò di passare al controllo telemetrico del corpo che ancora lottava, scrutando tra il sangue e i fluidi dell’unico occhio rimastogli, e cercò di trasmettere sulla banda comune; ma la creatura gli aveva trapassato il trasmettitore inserito nel cranio e strappato via il ricevitore posto nella milza.

Il mondo roteò, prima la corona del sole che sbucava intorno alla seconda luna, poi i bengala, poi la superficie del fiume macchiettata di colori, poi di nuovo il cielo, poi le tenebre. Con coerenza che svaniva a poco a poco, Gige capì che la sua testa era stata gettata lontano nel fiume. La sua ultima immagine retinica, prima che la testa fosse sommersa nel buio, fu quella del proprio corpo decapitato e inutile, scosso dagli spasmi, stretto al carapace della creatura, impalato su punte e spine. Poi, con un lampo, lo Shrike mutò di fase: la testa di Gige colpì l’acqua e affondò nelle onde scure.

Rhadamanth Nemes arrivò cinque minuti dopo. Passò in tempo normale. La riva del fiume era deserta, a parte il cadavere decapitato del clone. L’eolociclo e la famiglia dalle vesti rosse erano spariti. Non si vedevano imbarcazioni in quel tratto del fiume. Il sole cominciava a emergere dal cono d’ombra della seconda luna.

"Gige è qui" trasmise sulla banda comune. Briareo e Scilla erano ancora con i poliziotti nella città. Il lusiano drogato era stato trovato e liberato delle manette. Nessuno dei cittadini interrogati voleva dire a chi appartenesse quella casa. Scilla incitava il colonnello Vinara a lasciar perdere l’indagine.

Nemes uscì dal campo di fase e cominciò a sentire il fastidio. Aveva tutte le costole, osso e permacciaio, fratturate o piegate. Vari organi interni erano schiacciati. La mano sinistra non funzionava. Era rimasta priva di conoscenza per quasi venti minuti standard. Priva di conoscenza! Non aveva perduto conoscenza nemmeno per un solo secondo, nei quattro anni che aveva trascorso nella roccia solidificata, su Bosco Divino. E ora aveva subito tutti quei danni anche se si trovava nell’impenetrabile campo di fase!

Smise di pensarci. Nei giorni di inattività dopo la partenza da quel pianeta abbandonato dal Nucleo, avrebbe lasciato che il suo corpo si riparasse da solo. Si inginocchiò accanto al cadavere. Gige era stato lacerato da artigli, decapitato e sventrato, quasi disossato. Si contraeva ancora: le dita spezzate cercavano di afferrare un avversario che non c’era più.

Nemes fremette, non per simpatia verso Gige, né per ripugnanza nel vedere i danni provocati al suo clone (valutava professionalmente lo schema d’attacco dello Shrike ed era, casomai, ammirata) ma per la pura e semplice frustrazione di avere perduto il confronto. L’attacco nel tunnel era stato troppo improvviso, l’aveva sorpresa a metà del cambio di fase e non le aveva permesso di reagire. L’avrebbe ritenuto impossibile.

"Lo troverò" trasmise sulla banda comune e passò in tempo rapido. L’aria si addensò, divenne vischiosa come morchia. Nemes scese sulla riva, si aprì la via nella tenace resistenza della superficie dell’acqua e camminò sul letto del fiume, chiamando sulla banda comune e sondando col radar di profondità.

Circa un chilometro più a valle trovò la testa di Gige. In quel tratto la corrente era forte. Crostacei d’acqua dolce, che avevano già mangiato le labbra e l’occhio rimasto, ora sondavano le orbite vuote. Nemes li scacciò e riportò sulla riva la testa di Gige.

Il trasmettitore su banda comune era fracassato e le corde vocali erano sparite. Nemes emise un filamento a fibra ottica e stabilì il collegamento diretto col proprio centro di memoria. Dal cranio di Gige, schiacciato sul lato sinistro, uscivano materia cerebrale e frammenti di gel di elaborazione del DNA.

Nemes non rivolse domande a Gige. Passò al tempo normale e scaricò il contenuto della memoria, trasmettendola, così come la riceveva, ai due cloni rimasti.

"Shrike" trasmise Scilla.

"Niente stronzate, Sherlock" trasmise Briareo.

"Silenzio" ordinò Nemes. "Finite con quegli idioti. Faccio pulizia qui e vi aspetto nella navetta."