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Il comandante Carel Shan era stato l’ultimo a unirsi al gruppo: l’ufficiale dei sistemi di fuoco non trovava più il coraggio di ordinare attacchi con i raggi della morte. Da tre settimane non chiudeva occhio.

Nel loro ultimo giorno nel sistema Lucifero, de Soya si era reso conto che nessuno degli altri ufficiali avrebbe disertato: ognuno di loro riteneva sgradevole ma necessario il suo lavoro. Giunto il momento critico, aveva capito de Soya, la maggior parte degli ufficiali di volo e le restanti tre guardie svizzere si sarebbero schierati con il comandante in seconda Hoag Liebler. Aveva allora deciso con Gregorius di non offrire loro quella opportunità.

«La Gabriele ci chiama, padre capitano» disse il tenente Denish. Oltre che ai quadri comando dei sistemi energetici, Denish era collegato anche con quelli per le trasmissioni.

De Soya annuì. «Assicuratevi tutti che le culle siano in funzione» disse. Era un ordine superfluo, lo sapeva. Ogni membro dell’equipaggio passava al posto di combattimento o alla traslazione C-più nella propria cuccetta di accelerazione, modificata in culla di risurrezione automatica.

Prima di collegarsi in tattico, de Soya controllò la traiettoria nel pozzetto centrale di display. In quel momento si allontanavano dalla Gabriele, anche se l’altra Arcangelo aveva aumentato la spinta a 300 g e aveva cambiato rotta per tenersi parallela alla Raffaele. Dall’altra parte del sistema Lucifero, le cinque navi torcia Ouster strisciavano ancora verso il punto di traslazione. De Soya augurò loro buon viaggio, pur sapendo che l’unica ragione per cui quelle navi esistevano ancora era la momentanea diversione provocata nella Gabriele dall’inspiegabile mutamento di rotta della Raffaele. Si collegò al simulatore tattico di comando.

All’istante divenne un gigante in piedi nello spazio. I sei pianeti e le innumerevoli lune e foreste orbitali incendiate si sparpagliarono al livello della sua cintola. Lontano, al di là del sole, i sei puntini Ouster erano in equilibrio sulla coda di fusione. La coda della Gabriele era molto più lunga; quella della Raffaele, ancora più lunga, rivaleggiava in intensità luminosa con la stella centrale del sistema. La madre capitano Stone aspettava a qualche passo da gigante da de Soya.

«In nome di Cristo, Federico» disse «cosa combini?»

De Soya aveva preso in considerazione l’idea di non rispondere alla chiamata della Gabriele. Se così facendo avesse guadagnato alcuni minuti in più, sarebbe rimasto in silenzio. Ma de Soya conosceva Stone: la madre capitano non avrebbe esitato. Sfruttando un diverso canale tattico, lanciò un’occhiata allo schema di traslazione. Trentasei minuti al punto di passaggio.

"Capitano! Rilevati quattro lanci di missile! Traslazione… ora!" Era Carel Shan, sulla linea sicura a conduzione ossea.

Il padre capitano de Soya era certo di non essere visibilmente trasalito davanti alla madre capitano Stone nel simulatore tattico. Sulla propria linea ossea subvocalizzò: "Tutto a posto, Carel. Li vedo in tattico. Puntano sulle navi Ouster". Si rivolse a Stone: «Hai aperto il fuoco contro gli Ouster».

Anche nella luce del simulatore tattico, Stone era tesa in viso. «Naturalmente, Federico» replicò. «Tu perché non l’hai fatto?»

Anziché rispondere, il padre capitano de Soya mosse un passo e si accostò al sole centrale; guardò i missili emergere dallo spazio Hawking proprio davanti alle sei navi torcia Ouster. Un attimo dopo i missili detonarono: due esplosioni a fusione, seguite da due al plasma, più grandi. Le navi Ouster avevano alzato al massimo il campo di contenimento difensivo (nel simulatore tattico, un bagliore arancione) ma le esplosioni a distanza ravvicinata lo sovraccaricarono. Le immagini passarono dall’arancione al rosso e al bianco: tre navi smisero semplicemente di esistere come oggetti materiali. Due divennero frammenti sparsi che correvano verso il punto di traslazione ormai infinitamente lontano. Una nave torcia rimase intatta, ma il suo campo di contenimento cedette e la sua coda di fusione scomparve. Se a bordo c’erano superstiti all’esplosione, adesso erano morti per la grandinata di radiazioni non deviate che tempestava la nave.

«Cosa fai, Federico?» ripeté la madre capitano Stone.

De Soya sapeva che il nome della madre capitano era Halen, ma decise di non rendere personale quella parte di conversazione. «Seguo ordini, madre capitano» rispose.

Anche in simulazione tattica, la madre capitano Stone parve dubbiosa. «Di quali ordini parli, padre capitano de Soya?» replicò. Tutt’e due sapevano che la conversazione era registrata. Chi fosse sopravvissuto ai prossimi minuti avrebbe avuto una registrazione dello scambio di battute.

«Dieci minuti prima della traslazione, l’ammiraglia di Aldikacti ci ha trasmesso nuovi ordini» dichiarò de Soya. «Li stiamo eseguendo.»

Stone rimase impassibile, ma de Soya sapeva che in quel momento la madre capitano subvocalizzava al suo vice la richiesta di confermarle se c’era stata una trasmissione fra la Uriele e la Raffaele. La trasmissione era avvenuta. Ma il suo contenuto era banale: l’aggiornamento delle coordinate di appuntamento nel sistema Tau Ceti.

«Quali erano gli ordini, padre capitano de Soya?»

«Ordini riservati, madre capitano Stone. Non riguardano la Gabriele.» Sul circuito a conduzione ossea comunicò all’USIF Shan: "Imposta le coordinate del raggio della morte e dammi l’attuatore, come d’accordo". L’attimo seguente sentì nella destra il peso di un’arma a energia. La pistola era invisibile a Stone, ma perfettamente tattile per de Soya. Il padre capitano cercò di far sembrare rilassata la mano intorno al calcio dell’arma e intanto piegò il dito sull’invisibile grilletto. Dal modo casuale con cui teneva il braccio lungo il corpo, de Soya capì che anche Stone impugnava un’arma virtuale. Nello spazio di simulazione tattica si trovavano a tre metri di distanza l’uno dall’altra. Fra loro, la lunga coda di fusione della Raffaele e la più breve colonna di fiamma della Gabriele salivano a livello del petto sul piano dell’eclittica.

«Padre capitano de Soya, il tuo nuovo punto di traslazione non ti porterà nel sistema Tau Ceti, come ordinato.»

«Quegli ordini sono stati annullati, madre capitano» dichiarò de Soya. Guardava gli occhi del suo ex comandante in seconda. Halen Stone era sempre stata brava a nascondere emozioni e intenzioni. In più di un’occasione lo aveva battuto a poker, sulla sua vecchia nave torcia, la Baldassarre.

«Qual è la tua nuova destinazione, padre capitano?»

Trentatré minuti al punto di traslazione.

«Segreto, madre capitano. Posso dirti solo questo: portata a termine la nostra missione, la Raffaele si unirà di nuovo alla task force nel sistema Tau Ceti.»

Con la sinistra Halen Stone si strofinò la guancia. De Soya tenne d’occhio il dito piegato della destra: Stone non aveva bisogno di sollevare l’invisibile pistola per azionare il raggio della morte, ma l’istinto l’avrebbe spinta a prendere di mira l’avversario.

De Soya odiava i raggi della morte e sapeva che Stone la pensava come lui. Erano armi da codardi, messe al bando dalla Flotta della Pax e dalla Chiesa, fino a quella spedizione. A differenza delle neuroverghe dell’epoca dell’Egemonia, che proiettavano veramente un raggio di distruzione neurale simile a una falce, nel raggio della morte non c’era nessuna proiezione coerente da nave a bersaglio. I potenti accumulatori del propulsore Gideon proiettavano una distorsione C-più di spazio/tempo entro un cono finito. Il risultato era una sottile torsione della matrice di tempo reale, simile a una traslazione fallita nello spazio del vecchio propulsore Hawking, ma più che sufficiente a distruggere la delicata danza d’energia che è un cervello umano.

Tuttavia, per quanto condividesse l’odio degli ufficiali della Flotta per i raggi della morte, Stone capiva la necessità di farne uso in quel momento. La Raffaele rappresentava un incredibile investimento di fondi della Pax: la madre capitano si proponeva prima di tutto di impedire all’equipaggio di rubare la nave, ma voleva evitare di danneggiarla lei stessa; il guaio era che l’uccisione dell’equipaggio mediante i raggi della morte probabilmente non avrebbe impedito alla nave di traslare, a seconda di quanta accelerazione era già stata programmata. Era tradizione che il capitano eseguisse manualmente la manovra di traslazione (o che almeno fosse pronto a sostituire temporaneamente con un interruttore automatico le funzioni guidate dal computer della nave) ma Stone non aveva nessuna garanzia che de Soya avrebbe seguito la tradizione.