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"Il quarto passo" disse Aenea, con lo sguardo di nuovo perduto nel vuoto "è imparare a muovere il primo passo."

"Il primo passo" ripetei, confuso. "Ti riferisci al primo passo che hai appena elencato? qual era? Apprendere il linguaggio dei morti?"

Aenea scosse la testa e parve vedermi di nuovo, come se per un momento fosse stata altrove. "No. Intendo dire: muovere il primo passo."

Quasi trattenendo il respiro, dissi: "D’accordo. Sono pronto, ragazzina. Insegnami."

Aenea sorrise. "Ecco l’ironia, Raul, amore mio. Se decido di farlo, sarò conosciuta per sempre come Colei che insegna. Ma è sciocco, io non devo insegnare. Devo solo condividere questo virus per trasmettere ognuno di questi gradi a quelli che desiderano imparare."

Guardai le sue dita che mi circondavano il polso. "Allora mi hai già trasmesso questo… virus?" dissi. Non sentivo niente, a parte il solito formicolio elettrico che il suo tocco mi provocava sempre.

Aenea si mise a ridere. "No, Raul. Non sei pronto. E poi occorre la comunione, per condividere il virus, nonni semplice contatto. E non ho ancora deciso cosa fare… non ho deciso se dovrei farlo!"

"Condividere con me?" dissi, pensando: comunione?

"Condividere con chicchessia" mormorò lei, di nuovo seria. "Con chiunque sia pronto a imparare." Mi guardò in viso. Da qualche parte, nel deserto, un coyote uggiolava. "Questi… livelli, gradi… non possono coesistere col crucimorfo, Raul."

"Allora i cristiani rinati non possono imparare?" Così la grande maggioranza di esseri umani sarebbe rimasta esclusa.

Aenea scosse la testa. "Possono imparare, ma non possono restare cristiani rinati, tutto qui. Il crucimorfo deve sparire."

Lasciai uscire il fiato. Non ci capivo quasi niente, ma solo perché pareva un linguaggio incomprensibile. "Tutti i futuri messia non parlano forse un linguaggio incomprensibile?" domandò la parte cinica di me stesso, con l’equilibrata voce di nonna. Dissi: "Non si può rimuovere il crucimorfo senza uccidere chi lo porta. La vera morte". Mi ero sempre domandato se non fosse questa la principale ragione per cui rifiutavo di accettare la croce. O forse era solo la giovanile convinzione nella mia stessa immortalità.

Aenea non rispose direttamente. Disse: "Ti piacciono gli Spettroelica di Amoiete, vero?".

Sorpreso, cercai di capire la sua domanda. Avevo forse sognato quella frase, quelle persone, quel dolore? Sognavo, no, in quel momento? O ricordavo una vera conversazione? Ma Aenea non sapeva niente di Dem Ria, di Dem Loa e degli altri. La notte e il riparo di pietra e di tela parvero incresparsi come un paesaggio di sogno che si sbrindellasse.

"Mi piacciono" dissi. Sentii che Aenea mi lasciava il polso. "Il mio polso non era ammanettato alla testiera del letto?"

Aenea annuì e sorseggiò il tè che diventava freddo. "C’è speranza, per gli Spettroelica. E per tutte le migliaia di altre culture che sono regredite o sbocciate dopo la Caduta. L’Egemonia significava omogeneità, Raul. La Pax significa omogeneità ancora maggiore. Il genoma umano, l’anima umana, diffida dell’omogeneità, Raul. È sempre pronto a cogliere al volo l’occasione, a correre il rischio del cambiamento e della diversità."

"Aenea" dissi, allungando la mano per toccarla. "Io non… non possiamo…" Provai una orribile sensazione di cadere e il paesaggio di sogno si disciolse come cartone sottile sotto pioggia battente. Non riuscivo più a vedere la mia amica.

«Sveglia, Raul. Vengono a prenderti. La Pax sta arrivando.»

Cercai di svegliarmi, avanzai a tentoni verso la consapevolezza, come una lenta macchina che strisciasse in salita; ma il peso dello sfinimento e degli analgesici continuava a trascinarmi in basso. Non capivo perché Aenea mi volesse sveglio. Conversavamo così bene, in sogno.

«Sveglia, Raul Endymion.»

Non era la voce di Aenea. Ancora prima d’essere completamente sveglio e di mettere a fuoco la vista, riconobbi la morbida voce e l’inflessione di Dem Ria.

Mi alzai a sedere. La donna mi stava spogliando! Mi resi conto che mi aveva tolto l’ampia camicia da notte e che mi infilava la biancheria, lavata e profumata di fresco ora, ma inconfondibilmente mia. Avevo già indosso gli slip. I calzoni di saia, la camicia e il giubbotto erano stesi ai piedi del letto. Come aveva fatto, visto che ero ammanettato…

Mi guardai il polso. Le manette, aperte, erano sul letto. Il braccio mi formicolava dolorosamente per il ritorno della circolazione. Mi umettai le labbra e cercai di parlare senza strascicare le parole. «La Pax? Arriva?»

Dem Ria mi infilò la camicia come se fossi suo figlio Bin, o più piccolo. Le scostai le mani e cercai di abbottonarmi da solo, con le dita a un tratto intorpidite. A Taliesin West, sulla Vecchia Terra, usavano bottoni, anziché piastrine autoaderenti: credevo di essermi abituato, ma stavolta avevo l’impressione di metterci un’eternità.

«E abbiamo sentito per radio che una navetta è atterrata a Bombasino. Quattro persone con una insolita uniforme, due uomini e due donne. Hanno chiesto di te al comandante della base. Sono appena partiti, la navetta e tre skimmer. Saranno qui in quattro minuti. Forse meno.»

«Radio?» ripetei come uno stupido. «Non hai detto che la radio non funziona? Per questo il prete era andato alla base a chiamare il medico.»

«La radio di padre Clifton non funziona» mormorò Dem Ria. Mi tirò in piedi e mi sorresse mentre mi infilavo i calzoni. «Abbiamo le radio» riprese. «Ricetrasmettitori a raggio compatto, satelliti relè, tutte cose di cui la Pax è all’oscuro. E informatori, nella base. Uno ci ha avvertito. Sbrigati, Raul Endymion. Le navi saranno qui fra un minuto.»

Allora mi svegliai del tutto, letteralmente invaso da un impulso di collera e di disperazione che minacciò di travolgermi. "Perché quei bastardi non mi lasciano in pace?" pensai. Quattro persone in uniforme insolita. La Pax, naturalmente. Non aveva smesso di cercare Aenea, A. Bettik e me, era chiaro, dogo che il prete capitano de Soya ci aveva lasciati fuggire dalla trappola su Bosco Divino, più di quattro anni fa.

Guardai il cronometro del comlog. Le navi sarebbero atterrate fra circa un minuto. Non esisteva posto dove potessi fuggire in così breve tempo e dove la polizia della Pax non mi avrebbe trovato. «Lasciami andare» dissi, scostandomi da Dem Ria. La finestra era aperta, la brezza pomeridiana agitava le tendine. Mi parve di udire il ronzio quasi ultrasonico degli skimmer. «Devo allontanarmi da casa vostra…» Vedevo con la mente la Pax dare fuoco alla casa, i piccoli Ces Ambre e Bin intrappolati…

Dem Ria mi tirò via dalla finestra. In quel momento entrarono il capofamiglia, il giovane Alem Mikail Dem Alem, e Dem Loa. Trascinavano il massiccio lusiano lasciato di guardia. Ces Ambre, con occhi brillanti, alzava i piedi della guardia, mentre Bin si affannava a togliergli gli stivali. Il lusiano dormiva della grossa, a bocca aperta, sbavando il colletto della tuta mimetica da combattimento.

Guardai Dem Ria.

«Quindici minuti fa Dem Loa gli ha portato una tazza di tè» disse sottovoce la donna. Mosse la mano in un gesto che fece gonfiare la manica della tunica azzurra. «Purtroppo abbiamo dovuto usare l’ultima fiala di ultramorfina, Raul Endymion.»

«Devo andare…» cominciai. Il dolore alla schiena era sopportabile, ma mi sentivo mancare le gambe.

«No» disse Dem Ria. «Ti prenderanno in un minuto.» Indicò la finestra. Dall’esterno provenne l’inconfondibile rombo subsonico di una navetta a propulsione EM, seguito dal tonfo e dal latrato dei suoi razzi direzionali. Di sicuro il velivolo si librava sopra il villaggio e cercava dove atterrare. L’attimo dopo la finestra vibrò per un triplice bang sonico; due skimmer neri virarono sopra la casa vicina.

Alem Mikail aveva spogliato il lusiano, lasciandogli solo la termobiancheria, e l’aveva disteso sul letto. Ora chiuse nella manetta il grosso polso della guardia e agganciò l’altra alla sbarra della testiera. Dem Loa e Ces Ambre avevano raccolto tuta mimetica, armatura e stivali e li infilavano in un sacco da lavanderia. Il piccolo Bin Ria Dem Loa Alem gettò nel sacco l’elmo della guardia. Aveva in mano la pesante pistola a fléchettes. Sobbalzai: armi e bambini erano una combinazione che avevo imparato a evitare fin da quando ero anch’io bambino e imparavo a maneggiare armi a energia, mentre la carovana percorreva rumorosamente la strada fra le brughiere di Hyperion. Ma Alem sorrise, tolse al bambino la pistola e gli diede una pacca sulla schiena. Dal modo come Bin aveva tenuto la pistola, dita lontano dalla guardia del grilletto, bocca da fuoco lontano da sé e dal padre, un’occhiata di controllo alla sicura mentre gli porgeva l’arma, era evidente che ne aveva già maneggiate.