Изменить стиль страницы

Coprimmo in dieci minuti i sei chilometri e dalla strada di sale svoltammo in una rampa lastricata che passava in mezzo a un gruppo di abitazioni, di pietra bianca, stavolta, non di mattoni. Poi Alem e il suo compagno ammainarono la vela e pigiando sui pedali spinsero lentamente l’eolociclo lungo la via acciottolata che correva fra le case e il canale. In quel punto, alte felci a ciuffi crescevano lungo le rive, tra pontili dalle forme curiose e complicate, gazebo e banchine a vari piani, dove erano ormeggiate elaborate case galleggianti. La città pareva terminare lì, dove il canale si allargava a formare una via d’acqua di aspetto molto più naturale che artificiale; alzai la testa quanto bastava a scorgere, qualche centinaio di metri più a valle, la gigantesca arcata. Sotto l’arco arrugginito e dall’altra parte potevo scorgere solo la foresta di felci sulle rive e il deserto a est e a ovest. Alem guidò l’eolociclo su una rampa di carico di mattoni e si spostò al riparo di un boschetto di alte felci.

Diedi un’occhiata al comlog. Mancavano meno di due minuti alla duplice tenebra.

In quell’istante soffiò una ventata d’aria calda e un’ombra passò sopra di noi. Ci appiattimmo tutti, mentre il nero skimmer della Pax sorvolava il fiume a una quota inferiore ai cento metri; l’aerodinamica forma a otto del velivolo fu chiaramente visibile, mentre lo skimmer si inclinava in una brusca virata e poi piombava a volo radente sopra le imbarcazioni che varcavano nei due sensi l’arco del teleporter. In quella zona, dove il fiume si allargava, il traffico fluviale era intenso: eleganti barche da corsa a palelle, con squadre di vogatori da quattro a dodici persone, lucide motobarche che sollevavano scie luccicanti, barche a vela che andavano dai barchini monoposto alle sguazzanti giunche dalla vela quadrata; canoe e canotti; alcune maestose case galleggianti che lottavano contro la corrente; una manciata di silenziosi hovercraft elettrici che si muovevano in un alone di spruzzaglia; perfino alcune zattere che mi ricordarono il precedente viaggio sul Teti in compagnia di Aenea e di A. Bettik.

Lo skimmer sorvolò a bassa quota quelle imbarcazioni, passò in direzione sud sopra l’arco del teleporter, tornò indietro, passò sotto l’arcata e scomparve verso Chiusa Childe Lamonde.

«Vieni» disse Alem Mikail. Ripiegò il telone che ci copriva e tirò il kayak. «Dobbiamo affrettarci.»

All’improvviso soffiò una ventata d’aria calda, seguita da una brezza più fresca che sollevò polvere dalla riva del fiume; le felci frusciarono e si agitarono sopra di noi, il cielo divenne violaceo e poi nero. Spuntarono alcune stelle. Alzai gli occhi quanto bastava a vedere una luccicante corona intorno a una delle lune e l’ardente disco del secondo satellite, più basso, che si spostava dietro il primo.

Da nord, lungo il fiume, nella direzione della città lineare che comprendeva Chiusa Childe Lamonde, provenne il suono più sconvolgente e lamentoso che avessi mai udito: un lungo gemito, prodotto più da gola umana che da sirena meccanica, seguito da una nota sostenuta che diventò sempre più profonda fino a sparire nel subsonico. Mi resi conto d’avere udito centinaia, forse migliaia, di clacson suonati nello stesso istante in cui migliaia, forse decine di migliaia, di voci umane si univano in coro.

L’oscurità intorno a noi divenne più fitta. Le stelle brillarono. Il disco della luna più bassa pareva una grande cupola illuminata in controluce che minacciasse di cadere da un momento all’altro sul mondo oscurato. All’improvviso le numerose imbarcazioni sul fiume verso sud e sul canale verso nord iniziarono a gemere con le proprie sirene e clacson (un ululato cacofonico, del tutto diverso dall’armonia discendente del coro d’apertura) e poi a lanciare razzi e fuochi d’artificio: bengala multicolori, ruggenti girandole, rossi razzi con paracadute, fili intrecciati di fuoco giallo, azzurro, verde, rosso, bianco — la Spettroelica? — e innumerevoli mortaretti. Rumore e luce erano opprimenti.

«Presto» disse Alem, tirando giù dal cassone il kayak. Saltai giù anch’io per aiutarlo, mi tolsi il travestimento e lo gettai sul cassone. L’attimo dopo ci fu un turbine di movimento coordinato: Dem Ria, Dem Loa, Ces Ambre, Bin e io aiutammo Alem e il suo sconosciuto compagno a portare il kayak sulla riva del fiume e a metterlo in acqua. Entrai fino alle ginocchia nell’acqua tiepida, infilai nel piccolo abitacolo lo zaino e la pistola a fléchettes, tenni fermo il kayak per non farmelo portare via dalla corrente, guardai le due donne, i due ragazzi e i due uomini nelle vesti agitate dal vento.

«A voi cosa accadrà?» domandai. La schiena mi doleva per i postumi del calcolo renale, ma in quel momento soffrivo di più per il groppo in gola.

Dem Ria scosse la testa. «Non ci accadrà niente di brutto, Raul Endymion. Se le autorità della Pax tenteranno di causare guai, ci limiteremo a scomparire nei tunnel sotto il deserto Wahhabi, finché non sarà il momento di raggiungere lo Spettro da un’altra parte.» Sorrise e si aggiustò sulla spalla la tunica. «Però devi farci una promessa, Raul Endymion.»

«Qualsiasi cosa» dissi. «Se potrò farla, la farò.»

«Se è possibile, chiedi a Colei che insegna di tornare con te su Vitus-Gray-Balianus B e al popolo Spettroelica di Amoiete. Cercheremo di non convertirci al cristianesimo della Pax, finché Colei che insegna non verrà a parlare con noi.»

Annuii, guardando il cranio già calvo del piccolo Bin Ria Dem Loa Alem, il suo cappuccio rosso agitato dalla brezza, le sue guance smagrite per la chemioterapia, gli occhi lucidi più per l’entusiasmo che per il riflesso dei fuochi d’artificio. «Sì» dissi. «Se è possibile, lo farò.»

Allora tutti loro mi toccarono; non per stringere la mano, ma semplicemente per toccare, dita sulle veste o sul braccio o sul viso o sulla schiena. Li toccai a mia volta, girai nella corrente la prua del kayak e m’infilai nell’abitacolo. La pagaia era dove l’avevo lasciata, nel morsetto dello scafo. Sigillai l’abitacolo come se davanti a me ci fossero acque rotte, posai sul bordo la pistola, urtando con la mano la copertura di plastica trasparente del pulsante d’emergenza (se nella situazione attuale non l’avevo premuto, non riuscivo a immaginare che cosa mi avrebbe spinto a premerlo) tenni la pagaia nella sinistra e agitai l’altra mano in segno di saluto. Le sei figure in tunica si fusero nelle ombre sotto le felci, mentre il kayak scivolava al centro della corrente.

L’arcata del teleporter divenne più grande. In alto, la prima luna cominciò a spostarsi dal disco del sole, ma la seconda, più grande, si mosse a coprire con la propria massa gli altri due corpi celesti. Il rumore dei fuochi d’artificio e delle sirene continuò, salì addirittura di intensità. Vogai più vicino alla riva destra, mentre mi avvicinavo al teleporter, per mantenermi nel traffico di piccole imbarcazioni diretto a sud, ma senza accostarmi troppo a nessun natante.

"Se mi intercetteranno" pensai "accadrà qui." Senza pensarci, spostai la pistola a fléchettes sulla curvatura dello scafo, di fronte a me. Ora mi trovavo nella rapida corrente: misi nella staffa la pagaia e aspettai di passare sotto l’arcata del teleporter. Nessun’altra imbarcazione, grande o piccola, si sarebbe trovata sotto l’arco, quando il teleporter si sarebbe attivato. Sopra di me, l’arco era una curva di tenebra contro il cielo stellato.

All’improvviso ci fu una violenta agitazione sulla riva, una ventina di metri alla mia destra.

Alzai la pistola e rimasi a guardare: non capivo ciò che vedevo e udivo.

Due esplosioni simili a bang sonici. Lampi di luce stroboscopica.

"Altri fuochi d’artificio?" mi domandai. No, i lampi erano più vividi. "Scariche di armi a energia?" No, lampi troppo luminosi. Troppo diffusi. Si sarebbero dette piccole esplosioni al plasma.

Poi vidi qualcosa, in un batter d’occhio, una sorta di eco retinica più che una vera e propria scena: due figure impegnate in un violento abbraccio, immagini rovesciate come il negativo di un’antica fotografia, movimento improvviso e violento, un altro bang sonico, un lampo bianco che mi abbacinò prima ancora che il mio cervello raccogliesse l’immagine: punte, aculei, due teste che si urtavano, sei braccia che sferzavano l’aria, scintille, il suono di una creatura che urlava con voce più forte del gemito delle sirene sulla riva alla mie spalle. L’onda d’urto dell’evento in atto sulla riva agitò il fiume, rischiò di rovesciare il kayak, procedette sull’acqua come una cortina di spruzzaglia bianca.