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Era sempre stata in contatto con il Nucleo, anche prima di nascere, tramite il disco d’iterazione Schrön impiantato nel cranio di sua madre e collegato alla personalità cìbrida di suo padre. Aveva così la capacità di toccare direttamente primitive sfere dati, e ora se ne servì: percepì il solido spiegamento di esotici macchinari del Nucleo che tappezzavano quella cella sotterranea, strumenti dentro strumenti, sensori al di là della comprensione o descrizione umana, aggeggi che operavano in quattro e più dimensioni, che aspettavano, fiutavano, aspettavano.

I cardinali e il consigliere Albedo e il Nucleo volevano che lei tentasse la fuga. Tutto si basava sul fatto che lei si teleportasse fuori da quella insopportabile situazione: era questo, il motivo della grossolana teatralità della tortura, dell’assurda e melodrammatica cella sotterranea in Castel Sant’Angelo, della mano pesante dell’Inquisizione. Le avrebbero inflitto dolore finché lei non fosse stata incapace di sopportarlo ancora; e quando si fosse teleportata, gli strumenti del Nucleo avrebbero misurato ogni cosa al miliardesimo di nanosecondo, avrebbero analizzato il suo uso del Vuoto, avrebbero trovato un modo di riprodurlo. Il Nucleo avrebbe finalmente riavuto i teleporter; non i rozzi sistemi di una volta, tipo fori di tarlo o propulsione Gideon, ma sistemi istantanei, eleganti, per loro in eterno.

Aenea non badò al Grande Inquisitore, si umettò le labbra secche e screpolate, disse distintamente al consigliere Albedo: «So dove vivi».

L’uomo in grigio contorse per un attimo la bocca. «Cosa significa?»

«So dove si trova il Nucleo, gli elementi fisici del Nucleo» disse Aenea.

Albedo sorrise, ma Aenea notò la rapida occhiata verso i due cardinali e il monsignore. «Sciocchezze» disse Albedo. «Nessun essere umano ha mai conosciuto la vera dislocazione del Nucleo.»

«All’inizio il Nucleo era una entità transitoria che galleggiava nella rozza sfera dati della Vecchia Terra, nota come Internet» disse Aenea, con voce resa solo un poco indistinta dal dolore e dallo shock. «Poi, già prima dell’Egira, voi avete trasferito le memorie a bolla e i server e il connettore di nuclei di memoria in un gruppo di asteroidi in orbita lunga intorno al sole, lontano dalla Vecchia Terra che progettavate di distruggere…»

«Fatela stare zitta» sbottò Albedo, girandosi verso Lourdusamy, Mustafa e Oddi. «Cerca di distrarci dall’interrogatorio. Questa storia non ha importanza.»

L’espressione di Mustafa, di Lourdusamy e di Oddi lasciava pensare tutto il contrario.

«Nei giorni dell’Egemonia» continuò Aenea, battendo la palpebra dell’occhio buono nel tentativo di concentrare l’attenzione e di dare fermezza alla voce, tra le lunghe lente ondate di sofferenza «il Nucleo ritenne prudente diversificare i propri componenti fisici: matrici di memoria a bolla nelle profondità dei nove pianeti labirinto, server per l’astrotel nei complessi industriali in orbita intorno a Tau Ceti Centro, personalità IA del Nucleo in movimento su bande di comunicazione teleporter e la megasfera di collegamento allacciata mediante gli squarci nel Vuoto che lega.»

Albedo incrociò le braccia. «Tu straparli.»

«Ma dopo la Caduta» continuò Aenea, tenendo spalancato l’occhio buono e sfidando con lo sguardo l’uomo in grigio «il Nucleo si preoccupò. L’attacco di Meina Gladstone contro l’ambiente teleporter vi diede da riflettere, anche se il danno alla vostra megasfera era riparabile. Avete deciso di diversificare ulteriormente. Moltiplicare le vostre personalità IA, miniaturizzare le memorie essenziali del Nucleo e rendere più diretto il vostro parassitismo sulle reti neurali umane…»

Albedo le girò la schiena e rivolse un gesto al più vicino clone Nemes. «Quella donna straparla. Cucile le labbra.»

«No!» intervenne il cardinale Lourdusamy. Aveva occhi brillanti e attenti. «Non toccarla, finché non lo ordino io!»

La Nemes alla destra di Aenea aveva già preso un ago e un rocchetto di filo grosso. Esitò e guardò Albedo per avere ordini.

«Aspetta» disse il consigliere.

«Volevate che il vostro parassitismo neurale fosse più diretto» riprese Aenea. «Così i vostri miliardi di entità del Nucleo formarono ciascuna la propria matrice contenitiva in forma di crucimorfo e si attaccarono direttamente all’ospite umano. Ciascun individuo del Nucleo aveva ora un proprio ospite umano in cui vivere e da distruggere a piacere. Voi rimanete collegati mediante le vecchie sfere dati e i nodi della nuova megasfera della propulsione Gideon, ma vi piace molto abitare così vicino alla vostra fonte di cibo…»

Albedo gettò indietro la testa e scoppiò a ridere, mettendo in mostra denti perfetti. Aprì le braccia e si girò verso i tre ologrammi. «Un meraviglioso divertimento» disse, ancora ridacchiando. «Avete preparato tutto questo per il suo interrogatorio…» agitò le dita dalle unghie ben curate per indicare genericamente la cella sotterranea, il lucernario, le sbarre trasversali su cui Aenea era stretta nelle morse «e finisce che la ragazza gioca con la vostra mente. Pure e semplici sciocchezze. Ma molto divertenti.»

Il cardinale Mustafa, il cardinale Lourdusamy e monsignor Oddi guardavano con grande attenzione il consigliere Albedo, ma ciascuno si toccava il petto.

L’ologramma di Lourdusamy si alzò dall’invisibile poltrona e si accostò al margine della grata. L’illusione era così perfetta che Aenea credette di udire il lieve fruscio della croce pettorale appesa alla funicella di seta rossa; la funicella era intrecciata con filo d’oro e terminava in un grosso fiocco rosso e oro. Aenea si concentrò sulla croce dondolante e sulla funicella di seta, per non pensare all’atroce dolore delle mani mutilate. Sentiva il veleno diffondersi silenziosamente nelle membra e nel corpo, come le metastasi e i nematodi di un crucimorfo in crescita. Sorrise: avrebbero potuto farle qualsiasi cosa, ma le cellule e il sangue del suo corpo non avrebbero mai accettato il crucimorfo.

«Ciò che dici è interessante, figlia mia, ma privo d’importanza» mormorò il cardinale Lourdusamy. «E tutto questo…» con un rapido movimento delle dita tozze e grassocce indicò le ferite e la nudità di Aenea, come se ne fosse contrariato «è molto spiacevole.» Si sporse verso di lei e parve trapassarla con lo sguardo degli occhietti porcini e intelligenti. «E niente affatto necessario. Rispondi alle domande del consigliere.»

Aenea alzò la testa e guardò negli occhi il gigantesco cardinale. «Vuole sapere come ci si teleporta senza teleporter?»

Il cardinale Lourdusamy si umettò le labbra sottili. «Sì, sì.»

Aenea sorrise. «Semplice, eminenza. Deve solo partecipare ad alcune lezioni, imparare che si può apprendere il linguaggio dei morti, il linguaggio dei vivi, che si può udire la musica delle sfere, e poi fare comunione col mio sangue o col sangue di uno dei miei seguaci che ha bevuto il vino.»

Il cardinale Lourdusamy indietreggiò come schiaffeggiato. Alzò la croce pettorale e la tenne davanti a sé come uno scudo. «Bestemmia!» sbraitò. «Jesus Cristus est primogenitus mortuorum; ipsi gloria et imperium in saecula saeculorum!»

«Gesù Cristo fu il primo a nascere dai morti» replicò piano Aenea, con l’occhio che le brillava per il riflesso luminoso della croce. «E voi dovreste rendergli gloria! E sovranità, se così scegliete. Ma non è mai stata sua intenzione che gli esseri umani fossero richiamati dalla morte come cavie di laboratorio, a seconda del capriccio di macchine pensanti…»

«Nemes» ordinò seccamente Albedo, e stavolta non vi fu contrordine. Il clone di Nemes si scostò dalla parete e si accostò alla grata, estese unghie di cinque centimetri e graffiò le guance di Aenea, proprio sotto gli occhi, recidendo i muscoli e mettendo a nudo, nell’aspra luce, l’osso degli zigomi. Aenea emise un lungo, orribile sospiro e si accasciò all’indietro contro l’intelaiatura. Nemes sporse il viso e mise in mostra i denti piccoli e acuminati in un ampio sogghigno. Il suo alito sapeva di carogna.