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«Dove sono?» disse Aenea. Fu costretta a ripetere la frase due volte, a causa delle labbra gonfie e della guancia ferita.

Il Grande Inquisitore sorrise. «Per il momento risponderemo a tutte le sue domande, mia cara. E poi lei risponderà a tutte le nostre. Glielo assicuro. Per rispondere alla sua prima domanda, si trova nella più bassa… sala di colloquio… di Castel Sant’Angelo, sulla riva destra del nuovo Tevere, nei pressi del ponte Sant’Angelo, molto vicino al Vaticano, sempre sul pianeta Pacem.»

«Dov’è Raul?»

«Raul?» ripeté il Grande Inquisitore. «Ah, si riferisce alla sua piuttosto inutile guardia del corpo. Credo che ormai abbia completato l’incontro con il Sant’Uffizio e si trovi a bordo di una nave che sta per lasciare il nostro bel sistema. È importante per lei, mia cara? Potremmo combinare il suo ritorno a Castel Sant’Angelo.»

«Non è importante» mormorò Aenea. Dopo il primo attimo di dolore e di angoscia per queste parole, percepii i suoi pensieri sotto di esse: preoccupazione per me, terrore per la mia sorte, speranza che non mi usassero come mezzo di coercizione nei suoi confronti.

«Come desidera» disse il cardinale Mustafa. «È lei che vogliamo intervistare oggi. Come si sente?»

Aenea si limitò a fissarli con l’occhio buono.

«Be’, non si può assalire il Santo Padre in San Pietro e sperare di farla franca» disse il Grande Inquisitore.

Aenea borbottò qualcosa.

«Cosa c’è, mia cara? Non abbiamo capito.» Il cardinale Mustafa aveva sulle labbra un lieve sorriso, il sogghigno di un rospo compiaciuto di sé.

«Non… ho… assalito… il… papa.»

Il cardinale Mustafa allargò le mani. «Se proprio insiste, Aenea, ma le sue intenzioni non parevano amichevoli. Cosa le frullava nel cervello, mentre correva tra i banchi verso il Santo Padre?»

«Avvisarlo» disse Aenea. Con una parte della mente valutò le proprie ferite, pur ascoltando le chiacchiere del Grande Inquisitore: forti contusioni, ma niente di rotto; la ferita di spada alla coscia andava suturata, come pure il taglio alla parte superiore del petto. Ma sentiva qualcosa di sbagliato nel proprio organismo… un’emorragia interna? No, non credeva. Di sicuro le avevano iniettato qualche sostanza estranea.

«Avvisarlo a quale proposito?» disse il cardinale Mustafa, con voce untuosa.

Aenea spostò la testa per guardare con l’occhio buono il cardinale Lourdusamy e poi il consigliere Albedo. Rimase in silenzio.

«Avvisarlo di cosa?» insisté il cardinale Mustafa.

Visto che Aenea non rispondeva, rivolse un cenno al più vicino clone di Nemes. La livida creatura si avvicinò lentamente al vassoio, prese le forbici più piccole, parve ripensarci, le posò di nuovo, venne più vicino, si piegò su un ginocchio accanto al braccio destro di Aenea, torse all’indietro il mignolo del mio tesoro e con un morso lo staccò. Sorrise, si alzò, si accostò al cestino dei rifiuti e vi sputò il dito sanguinante.

Aenea urlò per lo shock e per il dolore; si abbandonò contro il poggiatesta e quasi perdette i sensi.

Il clone di Nemes prese dal tubetto un po’ di crema emostatica e la spalmò sul moncherino di mignolo.

Il cardinale Mustafa parve rattristato. «Non desideriamo somministrare dolore, mia cara» disse «ma non esiteremo a farlo. Risponderai alle nostre domande rapidamente e sinceramente, o altre tue parti finiranno nel cestino. La lingua per ultima.»

Aenea lottò per dominare la nausea. Il dolore per il dito mozzato era terribile, a dieci minuti luce da lei, urlai per lo shock riflesso.

«Volevo avvisare il papa… del vostro colpo di Stato» ansimò Aenea, continuando a guardare Lourdusamy e Albedo. «Attacco di cuore.»

Il cardinale Mustafa batté le palpebre, sorpreso. «Sei davvero una strega!» disse piano.

«E tu sei un merdoso traditore» disse Aenea, con voce forte e chiara. «Tu e tutti voi. Avete venduto la nostra Chiesa. Ora vendete anche il vostro fantoccio Lenar Hoyt.»

«Ah, sì?» intervenne il cardinale Lourdusamy. Pareva leggermente divertito. «Come faremmo, bambina?»

Aenea indicò con la testa il consigliere Albedo. «Il Nucleo controlla la vita e la morte di ognuno, per mezzo dei crucimorfi. Le persone muoiono quando conviene al Nucleo che siano morte: le reti neurali in procinto di morire sono più creative di quelle viventi. State per uccidere di nuovo il papa, ma stavolta la sua risurrezione non avrà successo, vero?»

«Molto percettiva, mia cara» rombò il cardinale Lourdusamy. Scrollò le spalle. «Forse è davvero ora che ci sia un nuovo pontefice.» Mosse le mani e un quinto ologramma apparve dietro di loro nella stanza: papa Urbano XVI in coma, in un letto d’ospedale, circondato di suore infermiere, di medici e di macchinari di supporto vita. Lourdusamy mosse di nuovo la mano grassoccia e l’immagine scomparve.

«È il tuo turno di essere papa?» disse Aenea e chiuse gli occhi. Vedeva danzare puntini rossi. Quando riaprì gli occhi, Lourdusamy scrollava con modestia le spalle.

«Basta così» disse il consigliere Albedo. Attraversò gli ologrammi dei cardinali seduti e si fermò accanto alla grata, proprio di fronte a Aenea. «Come manipoli l’ambiente teleporter?» domandò. «Come ti teleporti senza i portali?»

Aenea guardò il rappresentante del Nucleo. «Sei atterrito, vero, consigliere? Proprio come i cardinali, che hanno troppa paura per stare di persona qui con me.»

Albedo sorrise, mettendo in mostra i denti perfetti. «Nient’affatto, Aenea. Ma tu hai l’abilità di teleportare te stessa, e quelli che ti stanno accanto, senza bisogno dei portali. Le loro eminenze cardinali Lourdusamy e Mustafa, nonché monsignor Oddi, non hanno nessun desiderio di svanire all’improvviso da Pacem insieme con te. In quanto a me, sarei felicissimo se tu ci teleportassi da qualche altra parte.»

Rimase in attesa. Aenea non aprì bocca. Non si mosse. Il consigliere Albedo sorrise di nuovo. «Sappiamo che sei l’unica ad avere imparato come si fa» disse con calma. «I tuoi cosiddetti discepoli sono ancora molto lontani dall’imparare la tecnica. Ma qual è questa tecnica? Abbiamo scoperto un solo modo per sfruttare il Vuoto per teleportarsi, mantenere aperti in permanenza degli squarci nell’ambiente Vuoto, ma questo richiede troppa energia.»

«E loro non ve lo lasciano più fare» mormorò Aenea. Batté le palpebre per scacciare i puntini rossi che le danzavano davanti agli occhi, in modo da incrociare lo sguardo di Albedo. Il dolore alla mano saliva e scendeva in lei e intorno a lei, come onde lunghe di un mare mosso.

Il consigliere Albedo inarcò appena il sopracciglio. «Loro non ce lo lasciano fare? Chi sono loro, bambina? Descrivici i tuoi padroni.»

«Niente padroni» mormorò Aenea. Doveva concentrarsi per tenere lontano le vertigini. «Leoni e Tigri e Orsi.»

«Basta discorsi ambigui» tuonò Lourdusamy. Rivolse un cenno al secondo clone Nemes. La creatura si avvicinò al vassoio e prese il paio di pinze rugginose; girò intorno a Aenea, le afferrò il polso sinistro, le tenne ferma la mano e strappò alla mia amata tutte le unghie.

Aenea urlò, svenne per breve tempo, si riprese, cercò di girare la testa, ma non fece in tempo: si vomitò addosso e gemette piano.

«Non c’è dignità nel dolore, figlia mia» disse il cardinale Mustafa. «Rispondi alle domande del consigliere e porremo termine a questa triste sciarada. Ti porteranno fuori di qui, ti cureranno le ferite, ti faranno ricrescere il dito, ti ripuliranno e ti rivestiranno e ti faranno riunire alla tua guardia del corpo o discepolo o quel che sia. Questo brutto episodio sarà concluso.»

In quel momento, vacillando nell’atroce sofferenza, Aenea era sempre consapevole con tutto il corpo della sostanza estranea che le avevano iniettato alcune ore prima, mentre era svenuta. Le cellule riconobbero la sostanza. Veleno. Un sicuro, lento, micidiale veleno senza antidoto si sarebbe attivato nel giro di ventiquattr’ore, qualsiasi cosa accadesse. Aenea capì allora che cosa volevano che lei facesse e perché.