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«Per i dieci inferni, che diavolo è?» domandò Lhomo Dondrub.

«Battaglia spaziale» rispose Aenea. La sua voce aveva un tono terribilmente stanco.

«Non capisco» disse il Dalai Lama. Non pareva spaventato, solo curioso. «Le autorità della Pax ci hanno assicurato che avevano in orbita solo una nave, la Jibril mi pare si chiami, in missione diplomatica, non militare. Anche il reggente Reting Tokra me l’ha garantito.»

La Scrofa Folgore sbuffò, aspra. «Il reggente, Santità, è sul libro paga dei bastardi della Pax.»

Il bambino la guardò, sorpreso.

«Credo sia vero, Santità» intervenne Eiheji, la sua guardia del corpo. «Ho sentito delle voci, a palazzo.»

Il cielo era tornato quasi nero, ma ora esplose di nuovo in una ventina di punti. Dietro di noi, la parete rocciosa dello strapiombo sanguinava di riflessi rossi, verdi, gialli.

«Come possiamo vedere le loro lance laser se non c’è polvere o altre particelle colloidali a metterle in rilievo?» domandò il Dalai Lama, con un luccichio negli occhi. A quanto pareva, la notizia del tradimento del reggente non l’aveva sorpreso, o lo interessava meno della battaglia in corso nello spazio, migliaia di chilometri sopra di noi. Notai che la suprema figura sacra del mondo buddhista era stata istruita anche nelle materie scientifiche fondamentali.

Fu di nuovo la sua guardia del corpo a rispondere. «Di sicuro alcune navi sono state già colpite e distrutte, Santità» disse Eiheji. «I raggi di luce coerente e i CPB diventano visibili dove si espandono i campi di detriti, di ossigeno congelato, di polvere molecolare e di altri gas.»

La spiegazione provocò nel nostro gruppo un momento di silenzio.

«Mio padre vide una scena del genere su Hyperion» mormorò Rachel. Si strofinò le braccia nude come se sentisse un gelo improvviso.

Guardai con sorpresa la ragazza. Avevo udito il commento di Aenea sul padre della sua amica, Sol (conoscevo i Canti abbastanza bene da identificare Rachel come la neonata del leggendario pellegrinaggio su Hyperion, la figlia di Sol Weintraub) ma ero rimasto un po’ dubbioso, lo ammetto. Nei Canti la neonata Rachel era divenuta la quasi mitica Moneta, quella che aveva viaggiato a ritroso nel tempo, nelle Tombe, insieme con lo Shrike. Come poteva, quella Rachel, essere qui ora?

Aenea circondò col braccio le spalle di Rachel. «La vide anche mia madre» disse piano. «Ma a quel tempo si pensava che fossero le forze dell’Egemonia contro gli Ouster.»

«E questi chi sono allora?» domandò il Dalai Lama. «Gli Ouster contro la Pax? E perché navi della Pax vengono, non invitate, nel nostro sistema?»

Alcune sfere di luce bianca pulsarono, si dilatarono, si affievolirono e morirono. Battemmo tutti le palpebre per eliminare l’eco retinica.

«Credo, Santità, che le navi da guerra della Pax fossero già qui all’arrivo della loro nave diplomatica» disse Aenea. «Ma non credo che combattano contro gli Ouster.»

«Contro chi, allora?» domandò il bambino.

All’improvviso risuonò una serie di esplosioni completamente diverse dalle altre, esplosioni più ravvicinate, più violente, seguite da tre ardenti scie meteoriche. Una scia esplose subito negli strati superiori dell’atmosfera e provocò una pioggia di detriti più piccoli che in breve si spense. La seconda saettò verso ovest, passò dal giallo al rosso al bianco abbacinante, si frantumò venti gradi sopra l’orizzonte e riversò una serie di scie minori lungo le nubi a ovest. La terza stridette nel cielo dall’ovest dello zenit all’orizzonte orientale (e dico volutamente "stridette", perché udimmo il rumore, dapprima un sibilo da teiera in ebollizione, poi un ululato, poi un terrificante ruggito da tornado, che diminuì con la stessa rapidità con cui si era manifestato) e infine si frammentò verso est in tre o quattro grosse masse ardenti che morirono, tutte tranne una, prima di raggiungere l’orizzonte. L’ultimo frammento ardente di astronave parve dibattersi in volo negli istanti conclusivi, preceduto da vampate di luce gialla che lo rallentavano, e poi scomparve.

Aspettammo ancora una trentina di minuti sulla piattaforma superiore, ma non rimase niente da vedere, a parte decine di fiammeggianti scie di fusione, nei primi minuti: astronavi che acceleravano allontanandosi da T’ien Shan. Alla fine le stelle furono di nuovo gli oggetti più luminosi nel cielo e tutti se ne andarono, il Dalai Lama per dormire nei quartieri dei monaci lì in alto, gli altri per raggiungere i quartieri permanenti o temporanei dei livelli inferiori.

Aenea chiese ad alcuni di noi di trattenersi: a Rachel e a Theo, a Aenea e a Lhomo Dondrub, a me.

«Questo è il segno che aspettavo» disse a voce molto bassa, quando sulla piattaforma restammo solo noi. «Dobbiamo andarcene domani.»

«Andarcene?» ripetei, sorpreso. «Dove? Perché?»

Aenea mi toccò il braccio. Interpretai il gesto come un: "Ti spiegherò più tardi". Rimasi in silenzio, mentre gli altri parlavano.

«Le ali sono pronte, maestra» disse Lhomo.

«Mentre eravate via» disse A. Bettik «mi sono preso la libertà di controllare le dermotute e i riciclo-respiratori nella stanza del signor Endymion. Sono in perfetto stato.»

«Termineremo il lavoro e organizzeremo la cerimonia domani» disse Theo.

«Vorrei venire anch’io» sospirò Rachel.

«Venire dove?» domandai, malgrado mi fossi imposto di tacere e ascoltare.

«Tu sei invitato» disse Aenea, sempre toccandomi il braccio. Non era una vera risposta alla mia domanda. «Anche tu, Lhomo, e tu, A. Bettik, se siete ancora disposti.»

Lhomo Dondrub rispose con un ampio sorriso. L’androide annuì. Cominciai a pensare di essere l’unico nel comprensorio del tempio a non capire che cosa accadeva.

«Buona notte a tutti» disse Aenea. «Partiremo alle prime luci. Non occorre che veniate a salutarci.»

«Non scherzare!» protestò Rachel, mentre Theo annuiva, d’accordo con lei. «Saremo qui a dirti addio.»

Aenea accondiscese con un cenno e toccò il braccio alle amiche. Tutti scesero le scale a pioli o si lasciarono scivolare lungo i cavi.

Aenea e io restammo da soli sulla piattaforma superiore. Il cielo, dopo la battaglia, pareva buio. Capii che le nuvole si erano alzate sopra la linea della cresta e che cancellavano le stelle come uno straccio umido passato su una lavagna nera. Aenea aprì la porta della sua stanza da letto, entrò, accese la lanterna e tornò indietro, fermandosi nel vano d’ingresso. «Non vieni, Raul?»

Parlammo. Ma non subito.

L’atto amoroso pare assurdo a esprimerlo in parole; anche il momento pare assurdo, a pensarci, con il cielo che letteralmente cadeva e la mia amante che quella sera aveva appena terminato una convocazione tipo ultima cena… ma l’amore non è mai assurdo, quando si fa con la persona che si ama veramente. Come era per me. Se prima della sera dell’ultima cena non l’avevo capito, lo capii allora, completamente, in tutti gli aspetti, senza riserve.

Forse un paio d’ore più tardi, Aenea si mise un kimono, io indossai uno yukata e dalla stuoia letto ci spostammo accanto ai paraventi shoji aperti. Aenea preparò il tè nel fornello più piccolo posto nel tatami; prendemmo una tazza ciascuno e ci sedemmo con la schiena contro le opposte intelaiature shoji, con i piedi e le gambe a contatto, il mio fianco destro e il suo ginocchio sinistro allungati sopra il precipizio lungo chilometri. L’aria era fresca e odorava di pioggia, ma la tempesta si era spostata a nord rispetto a noi. La cima dell’Heng Shan era avvolta nelle nubi, ma tutte le creste inferiori erano illuminate da un continuo gioco di lampi.

«Rachel è davvero la Rachel dei Canti?» dissi. Avrei voluto porre un’altra domanda, per me ben più importante, ma non trovavo il coraggio.

«Sì» rispose Aenea. «È la figlia di Sol Weintraub, la donna che su Hyperion fu colpita dal morbo di Merlino e che per ventisette anni invecchiò al contrario fino a tornare la neonata che Sol portò con sé nel pellegrinaggio.»