Dopo un momento di silenzio, qualcuno sul davanti della stanza dice: «Parlaci del Vuoto che lega».
«In un tempo che fu» attacca Aenea, come sempre fa quando inizia simili racconti «c’era il Vuoto. E il Vuoto era al di là del tempo. In senso proprio, il Vuoto era un orfano di tempo, un orfano di spazio.
«Ma il Vuoto non era di tempo, non era di spazio e certamente non era di Dio. Neppure il Vuoto che lega è Dio. In verità, il Vuoto si sviluppò molto dopo che tempo e spazio picchettarono i confini dell’universo; ma, non legato al tempo, non imbrigliato nello spazio, il Vuoto che lega è filtrato all’indietro e in avanti da una parte all’altra del continuum, fino all’esplosione primordiale e al piagnucolio finale.»
Qui Aenea si ferma e si porta le mani alle tempie in un gesto che non le vedo fare da quando era bambina. Non pare una bambina, questa notte. Ha occhi stanchi, ma vitali. E intorno agli occhi, rughe di stanchezza o di preoccupazione. Amo i suoi occhi.
«Il Vuoto che lega è una cosa dotata di mente» dice con fermezza Aenea. «Proviene da cose dotate di mente, molte delle quali furono a loro volta create da cose dotate di mente.
«Il Vuoto che lega è cucito di materia quantica, intrecciato di spazio di Planck, di tempo di Planck, si trova sotto e intorno lo spaziotempo come l’involucro di una coperta trapunta è intorno e sotto l’imbottitura di ovatta. Il Vuoto che lega non è né mistico né metafisico, sgorga dalle leggi fisiche dell’universo e risponde a quelle stesse leggi, ma è un prodotto di quell’universo in evoluzione. Il Vuoto è strutturato da pensiero e sentimento, un prodotto della consapevolezza di sé dell’universo. E non semplicemente di pensiero e sentimento umani: il Vuoto che lega è un composto di centomila specie senzienti in miliardi di anni di tempo. È l’unica costante nell’evoluzione dell’universo, l’unico terreno comune per le specie che si svilupperanno, cresceranno, fioriranno, appassiranno e moriranno, milioni di anni e centinaia di milioni di anni luce una dall’altra. E c’è una sola chiave d’ingresso al Vuoto che lega…»
Aenea si ferma di nuovo. La sua giovane amica Rachel siede accanto a lei, a gambe incrociate, attenta. Noto ora, per la prima volta, che Rachel, la donna di cui sono stato scioccamente geloso negli ultimi mesi, è davvero bella: capelli castano ramato, corti e ricci, guance colorite, grandi occhi verdi con pagliuzze castane. Ha circa l’età di Aenea, poco più di vent’anni standard, e un’abbronzatura dorata per i mesi di lavoro a grande altezza sotto il sole giallo di T’ien Shan.
Aenea tocca la spalla di Rachel.
«La mia amica qui presente era neonata» riprende «quando suo padre scoprì un fatto interessante sull’universo. Suo padre, uno studioso di nome Sol, per anni e anni era stato ossessionato dalla relazione storica fra Dio e uomo. Poi un giorno, nelle circostanze più estreme, quando dovette affrontare per la seconda volta la perdita della propria figlia, ebbe in dono un istante di satori: capì appieno, intuitivamente, ciò che solo alcuni altri avevano avuto il privilegio di capire con chiarezza nei milioni di anni del nostro lento riflettere. Capì che nell’universo l’amore è una forza reale pari alle altre, reale come l’elettromagnetismo o i legami nucleari deboli. Reale come la gravità e governata da molte delle stesse leggi. La legge dell’inverso del quadrato, per esempio, spesso funziona con identica esattezza tanto per l’amore quanto per l’attrazione gravitazionale.
«Sol capì che l’amore era la forza legante del Vuoto che lega, il filo e il tessuto dell’abito. E in quell’istante di satori capì che la specie umana non era l’unica a cucire quello sgargiante paramento. Intuì che il Vuoto che lega aveva alle spalle la forza dell’amore, ma non riuscì a ottenere accesso a quell’ambiente. Gli esseri umani, che da pochissimo tempo si sono evoluti dai primati nostri cugini, non hanno ancora acquisito la capacità sensoriale di vedere chiaramente il Vuoto che lega o di entrarvi.
«Dico "vedere chiaramente" perché tutti gli esseri umani con cuore e mente aperti hanno colto rare ma potenti visioni fuggevoli del panorama del Vuoto. Proprio come lo zen non è una religione, ma è religione, il Vuoto che lega non è uno stato della mente, è stato di mente. Il Vuoto è tutta probabilità come onde stazionarie, interagisce con quel fronte d’onda stazionario che è la mente e la personalità umane. Il Vuoto che lega è toccato da tutti noi che hanno pianto di felicità, che hanno detto addio a un amante, che si sono esaltati nell’orgasmo, che sono stati sulla tomba di una persona amata, che hanno visto il proprio figlio aprire gli occhi per la prima volta.»
Mentre parla, Aenea guarda me. Mi si accappona la pelle.
«Il Vuoto che lega» continua Aenea «è sempre sotto e sopra la superficie dei nostri pensieri e dei nostri sensi, invisibile ma presente come il respiro della persona amata al nostro fianco nella notte. La sua reale ma inaccessibile presenza nel nostro universo è una delle prime cause che hanno indotto l’uomo a elaborare il mito e la religione, che hanno dato impulso alla nostra fede cieca e testarda nei poteri extrasensoriali, nella telepatia e nella precognizione, nei demoni e nei semidei, nella risurrezione e nell’incarnazione, negli spettri e nei messia e in tante altre categorie di stronzate quasi ma non del tutto soddisfacenti.»
A questa dichiarazione, i cento e passa ascoltatori, monaci, operai, intellettuali, politici, sant’uomini e sante donne, si agitano un poco. Fuori il vento si alza e la piattaforma dondola lievemente, com’è progettato che faccia. Da qualche parte a sud di Jo-kung brontola il tuono.
«Le cosiddette "Quattro asserzioni della setta zen" attribuite a Bodhidharma nel VI secolo d.C. sono un cartello indicatore quasi perfetto per trovare il Vuoto che lega, almeno per trovare il suo profilo come assenza di confusione ultraterrena» prosegue Aenea. «Primo, nessuna dipendenza da parole o lettere. Le parole sono la luce e il suono della nostra esistenza, il lampo di calore che illumina la notte. Il Vuoto che lega si trova nei più profondi segreti e silenzi delle cose, il luogo dove abita la fanciullezza.
«Secondo, una trasmissione speciale al di fuori delle Scritture. Artisti riconoscono altri artisti non appena la matita comincia a muoversi. Un musicista può distinguere un altro musicista fra milioni che suonano note, appena la musica inizia. Poeti spigolano poeti in poche sillabe, soprattutto dove si scarta l’ordinario significato e le forme della poesia. Chora scrisse…
«Due vennero qui,
due volarono via…
farfalle.
«… e nell’ancora caldo crogiolo delle parole e delle immagini consumate dal fuoco rimane l’oro di cose più profonde, ciò che R.H. Blyth e Frederick Franck un tempo definirono "la nera fiamma della vita che arde in ogni cosa" e "vedere col ventre, non con l’occhio"; con "viscere di compassione".
«La Bibbia mente. Il Corano mente. Il Talmud e la Torah mentono. Il Nuovo Testamento mente. Il Sutta-pitaka, i nikaya, l’Itivuttaka e il Dhammapada mentono. Il Bodhisattva e Amitabha mentono. Il Libro dei morti mente. Il Tiptaka mente. Tutte le Scritture mentono… proprio come mento io, parlandovi ora.
«Tutti questi libri sacri mentono non perché vogliano mentire o perché non trovino l’espressione giusta, ma per la loro stessa natura di essere ridotti in parole; tutte le immagini, precetti, leggi, canoni, citazioni, parabole, comandamenti, koan, zazen e sermoni in questi bellissimi libri falliscono nel momento conclusivo, aggiungono solo altre parole fra l’essere umano che cerca e la percezione del Vuoto che lega.
«Terzo, diretta indicazione all’anima dell’uomo. Lo zen, che meglio capì il Vuoto trovandone con grande chiarezza l’assenza, lottò con il problema di indicare senza avere il dito, di creare quest’arte senza un mezzo, di ascoltare quel potente suono in un vuoto privo di suoni. Shili scrisse: