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"Anni prima non credetti che quella creatura fosse soprannaturale, manifestazione del bene o del male, semplice aberrazione dello svolgimento insondabile e all'apparenza insensato dell'universo: la ritenni un terribile scherzo evolutivo. L'incubo peggiore di San Teilhard. Ma comunque una cosa, che ubbidiva alle leggi di natura non importa quanto stravolte, soggetta ad alcune regole dell'universo, in qualche luogo e in qualche tempo.

"Lo Shrike sollevò le braccia verso di me, intorno a me. Le lame ai quattro polsi erano molto più lunghe delle mie mani; la lama sul petto, più lunga del mio braccio. Lo fissai negli occhi, mentre un paio di braccia di fil di ferro affilato e di molle di acciaio mi circondava e l'altro paio girava lentamente riempiendo il poco spazio fra di noi.

"Le lame delle dita si aprirono. Trasalii, ma non arretrai, quando queste lame si avventarono, mi penetrarono nel petto, con dolore di fuoco freddo, come laser chirurgici che taglino terminazioni nervose.

"Lo Shrike arretrò, reggendo una roba rossa ancora più arrossata dal mio stesso sangue. Barcollai, aspettandomi quasi di vedere nelle mani del mostro il mio cuore: l'ironia finale di un morto che batte le palpebre per la sorpresa nel vedere il proprio cuore negli ultimi secondi prima che l'incredulo cervello si prosciughi del sangue.

"Ma non era il mio cuore. Lo Shrike reggeva il crucimorfo che avevo portato sul petto, il mio crucimorfo, il depositario parassitico del mio DNA quasi immortale. Barcollai di nuovo, quasi caddi, mi toccai il petto. Le dita si coprirono di sangue, ma non c'era la fuoruscita arteriosa che mi sarei aspettato da una rozza operazione chirurgica come quella; la ferita si rimarginava sotto i miei occhi. Sapevo che il crucimorfo aveva inviato in tutto il corpo tubercoli e filamenti. Sapevo che nessun laser chirurgico era riuscito a separare quei micidiali viticci dal corpo di padre Hoyt… né dal mio. Ma sentivo il contagio guarire, le fibre interne seccarsi e scomparire fino alla più debole traccia di tessuto cicatriziale interno.

"Avevo ancora il crucimorfo di Hoyt. Ma quello era diverso. Alla mia morte, Lenar Hoyt sarebbe rinato dalle mie carni. Io sarei morto. Non ci sarebbe stato più un misero duplicato di Paul Duré, più ottuso e meno vitale a ogni successiva rigenerazione.

"Senza uccidermi, lo Shrike mi aveva concesso la morte.

"La creatura buttò nel mucchio di cadaveri il crucimorfo che già si raffreddava; mi prese per il braccio, tagliando senza sforzo tre strati di tessuto e provocando un istantaneo fiotto di sangue dal bicipite al contatto di quei bisturi.

"Mi guidò tra i cadaveri, verso la parete. Lo seguii, cercando di non calpestare i corpi; ma, preoccupato di non farmi tranciare il braccio, non sempre ci riuscii. Cadaveri si sbriciolarono in polvere. A uno rimase nella cavità toracica subito sbriciolata l'impronta del mio piede.

"E poi arrivammo alla parete, a una sezione improvvisamente priva di crucimorfi; e mi resi conto che si trattava di un'apertura a schermo di energia, diversa per forma e per grandezza dai teleporter, ma simile per opacità e ronzio. Avrei fatto qualsiasi cosa, pur di uscire da quel deposito di morte.

"Lo Shrike mi spinse attraverso il portale."

Dopo una pausa, padre Duré riprese a raccontare. — Gravità zero. Un labirinto di paratie fracassate, intrichi di cavi galleggianti come visceri di una creatura gigantesca, lampi di luci rosse… per un secondo, pensai che anche lì ci fossero crucimorfi, ma poi capii che erano luci di emergenza di una spazionave morente. Indietreggiai, rotolai nella gravità zero alla quale non ero abituato, mentre altri cadaveri mi passavano accanto: non mummie, ma persone appena morte, appena uccise, con la bocca spalancata, occhi sbarrati, polmoni esplosi, scie di fluidi sanguinolenti, che simulavano la vita nella lenta e nevrotica reazione a ogni casuale corrente di aria e a ogni sobbalzo del relitto di nave spaziale della FORCE.

"Era proprio una nave della FORCE, ne ero sicuro. Vidi le uniformi della FORCE:spazio addosso ai cadaveri di ragazzi. Vidi le scritte in gergo militare sulle paratie e sui portelli di emergenza sventrati, le inutili istruzioni nei men che inutili armadietti con dermotute e bolle a pressione ancora sgonfie e ripiegate sugli scaffali. Qualsiasi cosa avesse distrutto la nave, l'aveva fatto con la repentinità di una epidemia nella notte.

"Lo Shrike comparve accanto a me.

"Lo Shrike… nello spazio! Libero da Hyperion e dai legami delle maree del tempo! Su molte di quelle navi c'erano dei teleporter!

"Vidi un portale a meno di cinque metri da me, nel corridoio. Un corpo ruzzolò da quella parte, il braccio destro del giovane passò attraverso il campo opaco come se provasse la temperatura dell'acqua del mondo dall'altra parte. L'aria sfuggiva dal corridoio, con un gemito sempre crescente. Incitai il cadavere a passare, ma il differenziale di pressione lo soffiò via dal portale, con il braccio sorprendentemente intatto, ricuperato, anche se la faccia era una maschera da anatomista.

"Mi girai verso lo Shrike. Il movimento mi fece compiere un mezzo giro su me stesso nella direzione opposta.

"Lo Shrike mi sollevò, strappandomi con le lame lembi di pelle, e mi spinse giù nel corridoio verso il teleporter. Non avrei potuto cambiare traiettoria nemmeno se avessi voluto. Nei secondi prima di varcare il portale che ronzava e crepitava, immaginai che dall'altra parte ci fosse il vuoto, una caduta da grande altezza, decompressione esplosiva o, peggio ancora, di nuovo il labirinto.

"Invece, rovinai da mezzo metro su un pavimento di marmo. Qui, a nemmeno duecento metri da questo punto, nell'alloggio privato di Papa Urbano XVI… che, tra parentesi, era morto di vecchiaia meno di tre ore prima che cadessi fuori dal suo teleporter privato. La Porta del Papa, la chiamano su Nuovo Vaticano. Provai il dolore/castigo per essere lontano da Hyperion, lontano dalla sorgente del crucimorfo; ma il dolore è ormai un vecchio alleato, non ha più dominio su di me.

"Trovai Edouard. È stato tanto gentile da ascoltare per ore la storia che nessun gesuita ha mai dovuto confessare. È stato ancora più gentile da credermi. Adesso anche lei l'ha ascoltata. Questa è la mia storia."

La tempesta era passata. Restammo seduti, nella luce delle candele, sotto la cupola di S. Pietro; per un poco nessuno aprì bocca.

— Lo Shrike ha accesso alla Rete — dissi infine.

Lo sguardo di Duré era tranquillo. — Sì.

— Si sarà trattato di una nave nello spazio di Hyperion…

— Così parrebbe.

— Quindi dovrebbe essere possibile tornare lì. Usare la… la Porta del Papa… per tornare nello spazio di Hyperion.

Monsignor Edouard inarcò il sopracciglio. — Vorrebbe farlo, signor Severn?

Mi mordicchiai la nocca. — Ho riflettuto su questa possibilità.

— Perché? — domandò piano il monsignore. — La sua controparte, il cìbrido che Brawne Lamia portò con sé nel pellegrinaggio, ha trovato solo morte, lassù.

Scossi la testa, quasi a mettere chiarezza nella confusione dei miei pensieri. — Sono coinvolto in questa storia. Solo, non so quale parte recitare… né dove recitarla.

Paul Duré rise senza allegria. — Tutti noi abbiamo provato la stessa sensazione. Sembra un trattato sulla predestinazione scritto da un commediografo scadente. Cosa è accaduto, al libero arbitrio?

Il monsignore lanciò all'amico un'occhiata penetrante. — Paul, tutti i pellegrini, e tu stesso, hanno avuto di fronte la scelta che tu hai fatto spontaneamente. Forse grandi poteri sagomano il corso generale degli eventi, ma le personalità umane determinano ancora il proprio destino.

Duré sospirò. — Forse è così, Edouard. Non so. Sono stanchissimo.

— Se la storia di Ummon è vera — dissi — se la terza parte di questa divinità umana è fuggita nel nostro tempo, dove e chi pensate che sia? Nella Rete esistono più di cento miliardi di esseri umani.