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Sotto gli occhi di Sol, il puntino luminoso all'apice della lunga coda di fusione divenne all'improvviso abbagliante come il sole, si dilatò in una nube di fiamme e di gas ribollenti, precipitò in diecimila pezzi incandescenti sul deserto lontano. Sol batté le palpebre per eliminare gli echi retinici, mentre Rachel continuava a piangere.

— Dio mio — mormorò Sol. — Dio mio. — Impossibile negare che l'astronave fosse completamente distrutta. Esplosioni secondarie sconvolsero l'aria, anche da trenta chilometri di distanza, quando i rottami caddero lasciando scie di fumo e di fiamme, verso il deserto, le montagne e il mare d'Erba più in là. — Dio mio!

Sol si sedette sulla sabbia calda. Era troppo esausto per piangere, troppo svuotato per fare qualsiasi cosa se non cullare la figlia finché non si fu calmata.

Dicci minuti dopo, altre due scie di fusione bruciarono il cielo, dirette a sud dallo zenit. Una esplose, troppo lontano perché il rumore giungesse fino a Sol. L'altra cadde fuori vista dietro la parete rocciosa meridionale, al di là della Briglia.

— Forse non era il Console — mormorò Sol. — Potrebbe trattarsi dell'invasione Ouster. Forse la nave del Console verrà ancora a prenderci.

Ma la nave non arrivò, nel tardo pomeriggio. E non era ancora giunta, quando la luce del piccolo sole di Hyperion illuminò la parete di roccia, mentre le ombre si allungavano sugli scalini più alti delia Sfinge. E non venne, quando la valle fu tutta in ombra.

Rachel era nata da meno di trenta minuti. Sol controllò il pannolino, lo trovò asciutto; le diede l'ultimo nutripac. Mentre poppava, Rachel lo guardò, con i grandi occhi scuri, come se cercasse il suo viso. Sol ricordò i primi minuti in cui l'aveva tenuta in braccio, mentre Sarai riposava sotto coperte calde; anche allora gli occhi della neonata avevano bruciato i suoi con le stesse domande e con lo stesso stupore nel vedere un mondo simile.

Il vento della sera portò nuvole che si muovevano rapidamente sopra la valle. Da sudovest giunsero dei rombi, prima come tuono lontano, poi con la nauseante regolarità dell'artiglieria: quasi sicuramente esplosioni nucleari o al plasma, a cinquecento o più chilometri verso sud. Sol scrutò il cielo fra le nuvole sempre più basse e colse fuggevoli immagini di scie meteoriche infuocate: missili balistici o navette, probabilmente.

Sol non vi badò. Cantò piano a Rachel, mentre finiva di darle da mangiare. Era andato all'imboccatura della valle, ma ora tornò lentamente alla Sfinge. Le Tombe brillavano come non mai, increspate dalla cruda luce di neon eccitato da elettroni. Gli ultimi raggi del sole mutarono le nuvole in un soffitto di fiamme color pastello.

Mancavano meno di tre minuti alla celebrazione finale della nascita di Rachel. Anche se la nave del Console fosse arrivata in quel momento, Sol non avrebbe avuto il tempo di salire a bordo né di mettere in crio-sonno la piccina.

Preferiva non pensarci.

Lentamente salì la scalinata della Sfinge: Rachel aveva fatto quella stessa strada, ventisei anni prima, senza sospettare il destino che l'attendeva in quella cripta tenebrosa.

Sol si fermò in cima all'ultimo gradino e prese fiato. La luce del sole era una cosa palpabile, riempiva il cielo e accendeva le ali e la parte superiore della Sfinge. La Tomba stessa sembrava rilasciare la luce immagazzinata, come le pietre del deserto di Hebron, dove Sol aveva vagato anni prima, cercando illuminazione e trovando solo dolore. L'aria brillava di luce, il vento diventava più forte, soffiava sabbia sul fondo della valle, poi si calmava.

Sull'ultimo gradino Sol piegò il ginocchio, tolse a Rachel la coperta, lasciò la piccina con la semplice veste di cotone da neonata. Una veste fatta di fasce.

Rachel si agitò fra le sue braccia. Il viso era paonazzo e lustro, le manine erano rosse per lo sforzo di stringersi e aprirsi. Sol la ricordava proprio così, quando il medico gliel'aveva data in braccio e lui aveva fissato la figlia appena nata proprio come la fissava adesso, prima di deporla sul ventre di Sarai in modo che anche lei la vedesse.

— Ah, Dio — mormorò. Piegò anche l'altro ginocchio. Adesso era davvero inginocchiato.

L'intera valle vibrò come per il tremito di un terremoto. Sol udiva vagamente le esplosioni che continuavano lontano verso sud. Ma era più colpito dal terribile bagliore della Sfinge. L'ombra di Sol balzò cinquanta metri dietro di lui giù per la scalinata e sul fondovalle, mentre la tomba pulsava e vibrava di luce. Con la coda dell'occhio Sol vide che le altre Tombe brillavano con uguale intensità: enormi, barocchi reattori negli ultimi istanti prima della fusione.

L'ingresso della Sfinge pulsò di blu, poi di viola, poi di un bianco terrificante. Dietro la Sfinge, sulla parete dell'altopiano sopra la Valle delle Tombe, un albero impossibile brillò dal nulla, un tronco gigantesco e affilati rami d'acciaio che si alzavano fra le nuvole rilucenti e ancora più in alto. Con una rapida occhiata, Sol vide spine lunghe tre metri e gli orribili frutti che portavano; poi tornò a guardare l'ingresso della Sfinge.

Da qualche parte il vento ululò e il tuono rombò. Da qualche parte la polvere vermiglia si alzò come una cortina di sangue secco nella terribile luce delle Tombe. Da qualche parte una voce mandò un grido e un coro urlò.

Sol non vi badò. Aveva occhi solo per il visetto della figlia e, dietro di lei, per le ombre che ora riempivano l'ingresso lucente della tomba.

Lo Shrike uscì. Con i suoi tre metri di mole e di lame d'acciaio, fu costretto a chinarsi per passare sotto l'architrave. Uscì sulla terrazza della Sfinge e venne avanti, parte creatura, parte statua, camminando con l'orribile determinazione di un incubo.

Dall'alto la luce morente guizzò sul carapace della creatura, ruscellò lungo la piastra pettorale ricurva e le spine d'acciaio che ne sporgevano, tremolò sulle dita a lama e sui bisturi che spuntavano da ogni giuntura. Sol strinse al petto Rachel, fissò le fornaci rosse e sfaccettate che passavano per gli occhi dello Shrike. Il tramonto svanì nel bagliore rosso sangue del sogno ricorrente di Sol.

Lo Shrike girò leggermente la testa, ruotandola senza attrito, di novanta gradi a destra, di novanta a sinistra, come se sorvegliasse il proprio dominio.

Avanzò di tre passi, si fermò a meno di due metri da Sol. Le quattro braccia si sollevarono, snudarono le lame simili a dita.

Sol abbracciò più strettamente Rachel. La piccina aveva la pelle madida, il viso graffiato e macchiato dallo sforzo di nascere. Restava solo qualche secondo. Gli occhi si mossero separatamente, parvero mettersi a fuoco su Sol.

"Rispondi di sì, papà." Sol ricordò il sogno.

Lo Shrike abbassò la testa, finché gli occhi di rubino non fissarono altro che Sol e sua figlia. Le fauci argento vivo si socchiusero, mostrarono strati di denti d'acciaio. Quattro mani si protesero, palmo metallico in alto, e si fermarono a mezzo metro dal viso di Sol.

"Rispondi di sì, papà." Sol ricordò il sogno, ricordò l'abbraccio della figlia e capì che alla fine — quando tutto il resto è polvere — la lealtà nei confronti di chi amiamo è tutto quel che possiamo portare con noi nella fossa. La fede, la vera fede, era la fiducia in questo amore.

Sol sollevò la figlia, appena nata e in punto di morte, qualche secondo appena, che ora strillava con il primo e ultimo fiato, e la tese allo Shrike.

L'assenza di quel piccolo peso colpì Sol con un'orribile vertigine.

Lo Shrike sollevò Rachel, indietreggiò di un passo, fu avviluppato di luce.

Dietro la Sfinge, l'albero di spine smise di tremolare, entrò in fase con l'adesso, fu orribilmente a fuoco.

Sol venne avanti, implorando a braccia tese, mentre lo Shrike arretrava nella luce e svaniva. Esplosioni incresparono le nuvole e sbatterono Sol in ginocchio, con la pressione delle onde d'urto.

Dietro Sol, intorno a Sol, le Tombe del Tempo si aprivano.