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— È Duré. Ma… danneggiato. Scoraggiato.

— E si trova ancora nella valle?

— No. È scomparso in una delle Grotte. Non so cosa gli sia accaduto.

Gladstone guardò il comlog. Cercai di immaginare la confusione e il caos che regnavano nel resto dell'edificio, del pianeta, della Rete. Era chiaro che il PFE si era ritirato per quindici minuti in quel salottino, prima di tenere il discorso al Senato. Forse sarebbe stato l'ultimo momento di solitudine di cui avrebbe goduto nelle prossime settimane. Forse per sempre.

— Il capitano Masteen?

— Morto. Sepolto nella valle.

Gladstone trasse un sospiro. — Weintraub e la piccina?

Scossi la testa. — Ho sognato cose fuori sequenza, fuori tempo. Credo che sia già accaduto, ma sono confuso. — Alzai gli occhi: Gladstone aspettava pazientemente. — La piccina aveva solo alcuni secondi di vita, quando lo Shrike è venuto. Sol l'ha offerta. Penso che lo Shrike l'abbia portata dentro la Sfinge. Le Tombe brillavano di luce molto intensa. Ne uscivano… altri Shrike.

— Allora le Tombe si sono aperte?

— Sì.

Gladstone toccò il comlog. — Leigh? Dica all'ufficiale di servizio del centro trasmissioni di mettersi in contatto con Theo Lane e i responsabili militari su Hyperion. Devono lasciare libera la nave in quarantena. Inoltre, Leigh, dica al governatore generale che fra qualche minuto gli invierò un messaggio personale. — Il comlog trillò e lei tornò a guardarmi. — C'è stato altro, nei suoi sogni?

— Immagini. Parole. Non capisco che cosa accade. Questi sono i punti principali.

Gladstone sorrise appena. — Si rende conto di sognare eventi che non rientrano nell'esperienza dell'altra personalità Keats?

Rimasi in silenzio, stordito dalla sorpresa provocata da quelle parole. Il mio contatto con i pellegrini era stato possibile mediante un legame basato su tecnologie del Nucleo con l'impianto/persona nell'iterazione Schrön di Brawne, attraverso di esso e attraverso la primitiva sfera dati che avevano condiviso. Ma la persona era stata liberata; la sfera dati era stata distrutta dal distacco e dalla distanza. Anche un ricevitore astrotel non può ricevere messaggi, se non c'è trasmettitore.

Il sorriso di Gladstone sparì. — Come lo spiega? — domandò.

— Non lo spiego. — Alzai gli occhi. — Forse erano soltanto sogni. Sogni reali.

Gladstone si alzò. — Forse lo sapremo, quando e se troveremo il Console. O quando la nave arriverà nella valle. Fra due minuti devo presentarmi al Senato. C'è altro?

— Una domanda. Io chi sono? Perché sono qui?

Un nuovo accenno di sorriso. — Tutti ci poniamo queste domande, signor Se… signor Keats.

— Dico sul serio. Sono convinto che lei lo sappia meglio di me.

— Il Nucleo l'ha inviata a me per fare da collegamento con i pellegrini. E da osservatore. In fin dei conti, lei è poeta e pittore.

Sbuffai e mi alzai. Ci avviammo lentamente al teleporter privato che l'avrebbe portata al Senato. — A cosa serve, l'osservazione, quando è la fine del mondo?

— Lo scopra. Vada a vedere la fine del mondo. — Mi tese una microcarta per il comlog. La inserii, guardai il diskey: era un chip universale che mi permetteva l'accesso a tutti i teleporter, pubblici, privati e militari. Il biglietto per la fine del mondo.

— E se resto ucciso?

— Allora non udremo mai le risposte alle sue domande — disse Gladstone. Mi sfiorò il polso, si girò e varcò il portale.

Per alcuni minuti rimasi da solo nel suo ufficio, apprezzando la luce, il silenzio, l'arte. C'era davvero un Van Gogh alla parete, un quadro che valeva più di quanto molti pianeti potessero pagare. Era la veduta della casa dell'artista, ad Arles. La follia non è invenzione nuova.

Dopo un poco uscii e lasciai che la memoria del comlog mi guidasse nel labirinto della Casa del Governo, finché non trovai il terminex centrale del teleporter e lo varcai per vedere la fine del mondo.

C'erano due percorsi teleporter a pieno accesso, nella Rete: il Concourse e il fiume Teti. Mi teleportai nel Concourse, dove la striscia di mezzo chilometro di Tsingtao-Hsishuang Panna si collegava a quella di Nuova Terra e alla breve striscia marittima di Nevermore. Tsingtao-Hsishuang Panna era uno dei mondi della prima ondata, trentaquattro ore più tardi avrebbe subito l'assalto degli Ouster. Nuova Terra era nell'elenco della seconda ondata, annunciato adesso, e aveva poco più di una settimana standard, prima dell'invasione. Nevermore era nel cuore della Rete, ad anni di distanza dall'attacco.

Non c'erano segni di panico. La gente si dedicava alla sfera dati e alla Totalità, anziché alle vie. Camminando per gli stretti vicoli di Tsingtao, udivo la voce di Gladstone, da decine di ricevitori e di comlog personali: un bizzarro sottofondo verbale alle grida degli ambulanti e ai sibili di pneumatici sull'asfalto bagnato, mentre i risciò elettrici ronzavano più in alto, nei livelli di trasporto.

« …come un altro leader disse al suo popolo, alla vigilia di un attacco, quasi otto secoli fa: "Non ho niente da offrire, tranne sangue, fatica, lacrime e sudore". Vi chiedete: qual è la nostra linea politica? Vi rispondo: fare guerra, nello spazio, sulla terraferma, nell'aria, per mare; fare guerra, con tutta la nostra potenza e con tutta la forza che giustizia e diritto ci concedono. Ecco la nostra linea politica…»

C'erano soldati della FORCE, nei pressi della zona di traslazione fra Tsingtao e Nevermore, ma il flusso di pedoni pareva normale. Mi chiesi quando i militari avrebbero requisito il viale pedonale del Concourse per adibirlo al traffico di veicoli e se l'avrebbero indirizzato verso il fronte o dalla parte opposta.

Passai su Nevermore. Le vie lì erano asciutte, a parte di tanto in tanto qualche spruzzo dell'oceano, trenta metri al di sotto dei bastioni di pietra del Concourse. Il cielo aveva le normali sfumature minacciose grigio e ocra, crepuscolo di malaugurio in pieno giorno. Negozietti di pietra risplendevano di luce e di mercanzie. Mi accorsi che le vie erano meno affollate del solito; la gente era nei negozietti o sedeva sui muriccioli di pietra o sulle panche, a capo chino, con espressione distratta, e ascoltava.

«…chiedete: a cosa miriamo? Rispondo con una parola sola: vittoria. Vittoria a tutti i costi, vittoria nonostante tutti i terrori, vittoria per quanto possa essere lunga e dura la strada. Perché, senza vittoria, non ci sarà sopravvivenza…»

Al terminex principale di Edgartown non c'era molta coda. Battei il codice per Mare Infinitum e varcai il portale.

Il cielo era del solito verde sereno, l'oceano era di un verde più cupo, sotto la città galleggiante. Le fattorie di fuchi arrivavano all'orizzonte. La folla, così lontano dal Concourse, era ancora minore; le passerelle erano quasi vuote, alcuni negozi erano chiusi. Un gruppo di uomini, fermo vicino a un molo di barche-letto, ascoltava un antiquato ricevitore astrotel. Nell'aria riccamente salmastra, la voce di Gladstone era piatta e metallica.

« …proprio ora, unità della FORCE si trasferiscono senza soste alle proprie stazioni, ferme nel proposito e fiduciose nell'abilità di salvare non solo i mondi minacciati, ma tutta l'Egemonia dell'Uomo, dalla tirannia più sporca e devastante che abbia mai macchiato gli annali della storia…»

Mare Infinitum era a diciotto ore dall'invasione. Guardai verso il cielo, quasi aspettandomi di vedere qualche segno della flotta nemica, qualche indicazione di difese orbitali, movimenti di truppe nello spazio. C'era solo il cielo, il giorno caldo, il lieve rollio della città sulla superficie del mare.

Porta del Paradiso era al primo posto nell'elenco dell'invasione. Varcai il portale VIP di Piana Fangosa e guardai da Rifkin Heights la bella città che smentiva il proprio nome. Era notte fonda, così fonda che circolavano gli spazzini mecc; ma c'era movimento, lunghe file di gente silenziosa al termincx pubblico di Rifkin Heights e code ancora più lunghe, in basso, ai portali della Passeggiata. Gli agenti della polizia locale spiccavano, alte figure in tuta blindata marrone; ma se unità della FORCE accorrevano a rinforzare la zona, non se ne vedeva segno.