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Una luna, non la Luna della Vecchia Terra, a giudicare dalle tempeste di polvere e dalle nubi visibili sulla superficie, si era alzata e adesso era sospesa sopra la curva scura delle pareti del Colosseo. Hunt sedeva sui sassi al centro e fissava con odio il bagliore azzurrino del portale. Da un punto alla sue spalle provenne il rumore di colombi che svolazzavano spaventati e di un sassolino sulla pietra.

Hunt si alzò penosamente, tolse dal taschino la penna laser e rimase lì in piedi, a gambe larghe, a frugare con gli occhi nell'ombra delle numerose nicchie e arcate del Colosseo. Niente si mosse.

Un rumore improvviso indusse Hunt a girarsi di scatto e quasi a spruzzare col sottile raggio del laser la superficie del portale. Vi comparve un braccio. Poi una gamba. Una persona emerse. Poi un'altra.

Il Colosseo echeggiò delle grida di Leigh Hunt.

Meina Gladstone sapeva già che, per quanto fosse stanca, avrebbe commesso una pazzia ad addormentarsi anche solo per trenta minuti. Ma fin da bambina si era allenata a sonni brevi che andavano da cinque a quindici minuti, per eliminare con quei brevi intervalli la stanchezza e le tossine della fatica, senza pensare a niente.

Ora, nauseata per lo sfinimento e la vertigine delle precedenti quarantotto ore di confusione, si distese per qualche minuto sul divano dello studio e svuotò la mente di banalità e di ripetizioni, lasciò che il subcosciente trovasse la via nella giungla di pensieri e di avvenimenti. Per qualche minuto si addormentò e sognò.

Si alzò a sedere, scostò la leggera afgana e batté sul comlog, prima ancora di aprire gli occhi. — Sedeptra! Convoca il generale Morpurgo e l'ammiraglio Singh. Nel mio ufficio, fra tre minuti.

Entrò nel bagno adiacente, fece una doccia di acqua e di ultrasuoni, tirò fuori abiti puliti — l'abito più formale, di morbido velluto a coste nero, fascia rossa e oro del Senato tenuta a posto da una spilla di oro che raffigurava il simbolo geodesico dell'Egemonia, orecchini che risalivano alla Vecchia Terra pre-Errore, il bracciale con comlog, di topazi, ricevuto in dono dal senatore Byron Lamia, prima che lui si sposasse — e tornò nello studio in tempo per accogliere i due ufficiali della FORCE.

— Signora, la scelta del momento non è delle più felici — esordì l'ammiraglio Singh. — Stavamo analizzando gli ultimi dati provenienti da Mare Infinitum e discutevamo i movimenti della flotta per la difesa di Asquith.

Gladstone ordinò che il suo teleporter privato si materializzasse e rivolse ai due il gesto di seguirla.

Singh si guardò intorno, mentre emergeva nell'erba dorata sotto il minaccioso cielo color bronzo. — Kastrop-Rauxel — disse. — Corre voce che una precedente amministrazione abbia ordinato alla FORCE:spazio di costruire qui un teleporter privato.

— Il PFE Yevshenky l'ha fatto aggiungere alla Rete — disse Gladstone. Con un gesto del braccio eliminò il portale. — Aveva la sensazione che al Primo Funzionario Esecutivo servisse un posto dove la presenza di congegni di ascolto del Nucleo fosse poco probabile.

Morpurgo guardò a disagio la muraglia di nubi all'orizzonte e il gioco dei fulmini globulari. — Nessun luogo è totalmente al sicuro dal Nucleo — disse. — Ho informato l'ammiraglio Singh dei nostri sospetti.

— Non sospetti — precisò Gladstone. — Fatti. E so dove si trova il Nucleo.

I due ufficiali della FORCE reagirono come se fossero stati colpiti da un fulmine globulare. — Dove? — dissero quasi all'unisono.

Gladstone camminò avanti e indietro. I corti capelli grigi parvero brillare nell'aria carica di elettricità. — Nella rete teleporter — disse. — Fra i portali. Le IA vivono nello pseudomondo dell'anomalia, come ragni in una tela buia. E noi l'abbiamo tessuta per loro.

Morpurgo fu il primo a ritrovare la parola. — Mio Dio. E ora cosa facciamo? Abbiamo meno di tre ore, prima che la nave torcia con l'ordigno del Nucleo si teleporti nel sistema di Hyperion.

Gladstone spiegò loro esattamente che cosa avrebbero fatto.

— Impossibile — disse Singh. Senza accorgersene si tirava la corta barba. — Semplicemente impossibile.

— No — disse Morpurgo. — Funzionerà. C'è tempo sufficiente. E con gli spostamenti frenetici e casuali della flotta negli ultimi due giorni…

L'ammiraglio scosse la testa. — Dal punto di vista logistico, forse è possibile. Dal punto di vista razionale ed etico, no. Ripeto, è impossibile.

Meina Gladstone si avvicinò. — Kushwant — disse, rivolgendosi all'ammiraglio per nome, per la prima volta da quando lei era una giovane senatrice e lui un comandante della FORCE:spazio anche più giovane — hai dimenticato quando Byron Lamia ci mise in contatto con gli Stabili? Con l'IA di nome Ummon? La predizione dei due futuri… che avrebbero comportato l'uno il caos e l'altro l'estinzione certa della razza umana?

Singh si girò da una parte. — Il mio dovere è nei confronti della FORCE e dell'Egemonia.

— Il tuo dovere è lo stesso del mio — sbottò Gladstone. — Nei confronti della razza umana.

Singh alzò i pugni, come se fosse pronto a combattere contro un avversario invisibile ma potente. — Non lo sappiamo con sicurezza! — obiettò. — Da dove viene, l'informazione?

— Da Severn. Il cìbrido.

— Cìbrido? — sbuffò il generale. — Vuoi dire quel pittore. O almeno quella miserabile scusa di un pittore.

— Cìbrido — ripeté Gladstone. E si spiegò meglio.

— Severn è una personalità ricuperata? — Morpurgo parve dubbioso. — E ora l'hai trovato?

— Lui ha trovato me. In sogno. Chissà come, è riuscito a mettersi in contatto con me, dal luogo dove si trova. Era questo, il suo ruolo, Arthur, Kushwant. Per questo Ummon l'ha inviato nella Rete.

— Un sogno — disse l'ammiraglio Singh, in tono beffardo. — Questo… cìbrido… ti ha detto che il Nucleo è nascosto nella rete dei teleporter. In un sogno!

— Sì. E ci resta poco tempo per agire.

— Ma fare come hai suggerito tu… — obiettò Morpurgo.

— Condannerebbe milioni di persone — terminò Singh. — Forse miliardi. L'economia crollerebbe. Mondi come TC2, Vettore Rinascimento, Nuova Terra, i Deneb, Nuova Mecca… Lusus, Arthur… e decine di altri, dipendono dalle Rete, per il cibo. I mondi urbani non possono sopravvivere, lasciati a se stessi.

— Non come mondi urbani — convenne Gladstone. — Ma la gente può imparare a coltivare la terra, finché il commercio interstellare non riprende.

— Certo! — sbuffò Singh. — Dopo le pestilenze, dopo il crollo dell'autorità, dopo milioni di morti per mancanza di attrezzature, di medicinali, di supporto della sfera dati.

— A tutto questo ho già pensato — disse Gladstone, con voce più ferma di quanto Morpurgo non le avesse mai udito. — Sarà il più grande omicidio di massa della storia… più grande di quelli di Hitler, di Tze Hu, di Horace Glennon-Height. L'unica cosa peggiore è continuare di questo passo. Nel qual caso, io… e voi, signori… saremo i traditori finali della razza umana.

— Questo non lo sappiamo! — brontolò Kushwant Singh, come se le parole gli fossero strappate di bocca a furia di pugni allo stomaco.

— Lo sappiamo, invece. Al Nucleo, la Rete non serve più. D'ora in poi, i Volatili e i Finali manterranno alcuni milioni di schiavi rinchiusi sottoterra nei nove mondi labirinto e useranno le sinapsi umane per le restanti necessità di calcolo.

— Sciocchezze — disse Singh. — Quegli umani si lascerebbero morire.

Meina Gladstone sospirò e scosse la testa. — Il Nucleo ha progettato un congegno organico parassitario, chiamato crucimorfo. Riporta in vita i morti. Dopo alcune generazioni, gli esseri umani saranno ritardati mentali, indifferenti, privi di futuro; ma i loro neuroni continueranno a servire agli scopi del Nucleo.

Singh girò di nuovo la schiena agli altri due. La sua figura piccolina si stagliò contro una muraglia di fulmini, mentre la tempesta si avvicinava in un ribollire di nubi color bronzo. — Te l'ha detto il sogno, Meina?