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Ancora in fase di guarigione, con la carne che riformava i tessuti sotto la guida di un milione di selettori RNA, con i nervi che si rigeneravano allo stesso modo grazie alla miracolosa medicina moderna (non tanto miracolosa, si disse Duré, da eliminare il terribile prurito in tutto il corpo), il gesuita rimase a letto e pensò a Hyperion e allo Shrike e alla propria lunga vita e al confuso stato di affari nell'universo di Dio. Alla fine si addormentò e sognò Bosco Divino in fiamme e la Vera Voce dell'Albero Mondo che lo spingeva attraverso il portale; e sognò sua madre e una donna di nome Semfa, ora morta, che un tempo aveva lavorato nella piantagione Perecebo, nella periferia della Periferia, il territorio della fibroplastica a est di Port Romance.

E in questi sogni fondamentalmente tristi, Duré si accorse a un tratto di un'altra presenza: non un'altra presenza di sogno, ma la presenza di un altro sognatore.

Duré camminava con qualcuno. L'aria era fredda, il cielo era di un azzurro sconvolgente. Avevano appena superato una curva della strada e ora davanti a loro si vedeva un lago, con le rive costeggiate di graziosi alberi, una cornice di montagne alle spalle, una fila di basse nubi che davano colore e profondità alla scena, e una singola isola che pareva galleggiare molto lontano nelle acque calme come specchio.

— Il lago Windermere — disse il compagno di Duré.

Il gesuita si girò lentamente, con il cuore che gli batteva forte per l'ansia e l'anticipazione. Qualsiasi cosa si fosse aspettato, la vista del compagno non ispirava timore reverenziale.

Un giovane di bassa statura camminava a fianco di Duré. Indossava una giacca antiquata con bottoni di pelle e un'ampia cintura di cuoio, scarpe robuste, un vecchio berretto di pelo, uno zaino logoro, calzoni dal taglio insolito e rattoppati di frequente; teneva un ampio plaid gettato sulla spalla e nella destra un robusto bastone da montagna. Duré smise di camminare e l'altro si fermò come se accettasse con piacere una sosta.

— Le Colline Rocciose di Furness e i Monti Cumbri — disse il giovane, usando il bastone per indicare il paesaggio al di là del lago.

Duré vide i riccioli castano chiaro sporgere da sotto il bizzarro berretto, notò i grandi occhi castani e la bassa statura dell'uomo e capì di sognare pur pensando: "Non è un sogno!"

— Chi… — cominciò Duré, sentendo spuntare la paura e il cuore battere all'impazzata.

— John — disse il suo compagno e la quieta ragionevolezza di quella voce scacciò una parte della paura di Duré. — Penso che riusciremo a fermarci a Bowness, stasera. Brown mi ha detto che c'è una locanda molto graziosa quasi sul lago.

Duré annuì. Non sapeva proprio di che cosa parlasse il giovanotto.

Questi si sporse a stringere il braccio di Duré, con gentilezza ma con insistenza. — Ci sarà uno che viene dopo di me — disse. — Né l'alfa né l'omega, ma essenziale perché noi troviamo la via.

Duré annuì con aria da sciocco. La brezza increspò il lago e portò dalle colline lontane il profumo di vegetazione fresca.

— Costui sarà nato molto lontano — disse John. — Più lontano di quanto la nostra razza abbia saputo da secoli. Lei ha ora un compito identico al mio… preparare la via. Non vivrà per vedere il giorno dell'insegnamento di questa persona, ma il suo successore lo vedrà.

— Sì — disse Paul Duré e scoprì di avere la bocca secca.

Il giovane si levò il berretto, lo infilò nella cintura, si chinò a raccogliere un ciottolo. Lo lanciò lontano nel lago. Le increspature si allargarono in lenta progressione. — Accidenti — disse John — volevo farlo rimbalzare. — Guardò Duré. — Deve lasciare la clinica e tornare subito su Pacem. Ha capito?

Duré batté le palpebre. Quella frase sembrava non appartenere al sogno. — Perché?

— Non chieda perché. Si limiti a tornare. Non perda tempo. Se non si muove subito, non ne avrà la possibilità, in seguito.

Confuso, Duré si girò, come se potesse tornare al letto di ospedale. Da sopra la spalla guardò il giovane, basso e magro, fermo sulla riva ghiaiosa. — E lei?

John raccolse un secondo ciottolo, lo lanciò, scosse la testa quando lo vide rimbalzare solo una volta prima di sparire sotto la superficie liscia e riflettente. — Sto bene qui, per il momento — disse, più a se stesso che a Duré. — Sono stato davvero bene, in questo viaggio. — Parve scuotersi dalle fantasticherie e sollevò la testa per sorridere a Duré. — Vada. Muova le chiappe, Santità.

Sorpreso, divertito, irritato, Duré aprì la bocca per ribattere e si trovò disteso sul lettino della clinica. I medici avevano abbassato le luci per permettergli di dormire. Monitor a goccia erano attaccati alla sua pelle.

Duré rimase disteso per un minuto, soffrendo il prurito e il disagio di guarire da ustioni di terzo grado; ripensando al sogno, si disse che si trattava solo di un sogno, che poteva tornare a dormire, prima che monsignor… che il vescovo Edouard e gli altri venissero a scortarlo su Pacem. Chiuse gli occhi e ricordò il viso mascolino ma bello, gli occhi castani, il dialetto arcaico.

Padre Paul Duré della Compagnia di Gesù si alzò a sedere, si mise in piedi a fatica, trovò che gli abiti erano spariti e non poteva indossare altro che il pigiama di carta dell'ospedale, si avvolse in una coperta e si allontanò, scalzo, prima che i medici potessero reagire alle proteste dei sensori.

In fondo al corridoio aveva visto un teleporter riservato ai medici. Se quello non andava bene per tornare a casa, ne avrebbe trovato un altro.

Leigh Hunt trasportò il corpo di Keats fuori della casa di Piazza di Spagna. Si aspettava di trovare in attesa lo Shrike: c'era invece un cavallo. Hunt non era un esperto nel riconoscere i cavalli, visto che nel suo tempo la razza equina era estinta, ma gli parve che quello fosse lo stesso che li aveva portati a Roma. L'impressione era suffragata dal fatto che il cavallo era attaccato allo stesso piccolo carro (Keats l'aveva chiamato vettura) su cui avevano fatto il viaggio di andata.

Hunt sistemò il corpo sul sedile della carrozza, rimboccò con cura le lenzuola e, tenendo con la mano il sudario, camminò accanto al veicolo che si era messo lentamente in moto. Prima di morire, Keats aveva chiesto di essere sepolto nel Cimitero Protestante vicino alle mura aureliane e alla piramide di Caio Cestio. Hunt ricordava vagamente che avevano attraversato le mura aureliane, nel loro viaggio bizzarro, ma non sarebbe mai riuscito a ritrovarle, anche se ne fosse andato della sua vita… o della sepoltura di Keats. A ogni modo, pareva che il cavallo conoscesse la strada.

Hunt continuò a camminare, notando la freschezza primaverile dell'aria mattutina e in sottofondo un odore di vegetazione marcia. Possibile che il cadavere di Keats si decomponesse già? Hunt sapeva poco, della morte, e non voleva saperne di più. Diede una manata sul posteriore del cavallo per farlo muovere più in fretta, ma l'animale si fermò, si girò lentamente per dare a Hunt uno sguardo di rimprovero, e riprese l'andatura lenta.

Fu un lampo di luce colto con la coda dell'occhio, più che un rumore, a mettere Hunt sull'avviso; ma quando lui si girò di scatto, lo Shrike era lì… una quindicina di metri più indietro: seguiva l'andatura del cavallo, in una marcia solenne ma in un certo modo comica, alzando a ogni passo un ginocchio munito di spine e di lame. La luce del sole brillò sul carapace, sui denti metallici, sulle lame.

Il primo impulso di Hunt fu di lasciare il carro e fuggire; ma il senso del dovere e la sensazione più profonda di essere perduto soffocarono l'impulso. Dove poteva fuggire, se non di nuovo in Piazza di Spagna? E lo Shrike bloccava la sola strada di ritorno.

Hunt accettò la creatura come un dolente al seguito di quel folle funerale, girò la schiena al mostro e continuò a camminare accanto al carro, la mano posata fermamente sulla caviglia dell'amico, sopra il sudario.