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Si trovavano in una sorta di piccolo scompartimento. Moneta era presente sotto forma di un'ombra nell'angolo; un'altra figura, un uomo alto e incappucciato, si mosse a velocità ultralenta per evitare l'improvvisa confusione di braccia e di lame in uno spazio ristretto. Attraverso i filtri della dermotuta, Kassad vide nel locale il campo di energia, azzurro e violetto, di un erg legante: l'erg pulsò e crebbe, poi si ritrasse dalla violenza temporale dei campi organici anti-entropici dello Shrike.

Lo Shrike menò un fendente che attraversò la tuta di Kassad fino a raggiungere carne e muscoli. Il sangue riempì di schizzi le pareti. Kassad infilò a forza la canna del fucile nelle fauci della creatura e sparò. Una nube di duemila fléchettes ad alta velocità piegò all'indietro la testa dello Shrike come se fosse su una molla e sbatté contro la parete il corpo della creatura. Pur cadendo, con le punte della gamba il mostro colpì Kassad alla coscia e mandò una spirale di sangue a schizzare finestre e pareti della cabina del carro a vela.

Lo Shrike traslò.

A denti stretti, sentendo la dermotuta tamponare e suturare automaticamente le ferite, Kassad rivolse un'occhiata a Moneta, annuì una volta e seguì la creatura attraverso il tempo e lo spazio.

Sol Weintraub e Brawne Lamia si guardarono alle spalle, quando un terribile ciclone di calore e di luce parve turbinare e morire. Sol riparò col proprio corpo la donna, mentre vetro fuso schizzava da tutte le parti e cadeva sfrigolando sulla sabbia fredda. Poi il frastuono svanì, la tempesta di sabbia oscurò il laghetto ribollente dove quella violenza si era scatenata e il vento sbatacchiò il mantello di Sol intorno a tutt'e due.

— Cosa diavolo era? — ansimò Brawne.

Sol scosse la testa e l'aiutò a mettersi in piedi nel vento ruggente. — Le Tombe si aprono! — gridò. — Un'esplosione, forse.

Brawne barcollò, trovò l'equilibrio, toccò il braccio di Sol. — Rachel? — domandò ad alta voce per superare il frastuono.

Sol serrò i pugni. Aveva la barba già piena di sabbia. — Lo Shrike… l'ha presa… non mi ha fatto entrare nella Sfinge. Mi aspettava!

Brawne guardò a occhi socchiusi la Sfinge, visibile solo come un profilo risplendente nel furioso turbinio di polvere.

— Stai bene? — le gridò Sol.

— Come?

— Stai… bene?

Brawne annuì con aria assente e si toccò la testa. Lo shunt neurale era sparito. Non solo l'osceno cordone dello Shrike, ma anche lo shunt che Johnny le aveva applicato con un'operazione chirurgica mentre si tenevano nascosti nell'Alveare Sedimento, molto tempo prima. Spariti per sempre shunt e iterazione Schrön, non aveva modo di rimettersi in contatto con Johnny. Ricordò che Ummon aveva distrutto la personalità di Johnny, l'aveva sbriciolata e assorbita, con la stessa fatica con cui lei avrebbe schiacciato un insetto.

— Sto bene — rispose, ma si accasciò, tanto che Sol fu costretto a sorreggerla per impedirle di cadere.

Sol gridò qualcosa. Brawne cercò di concentrarsi, di mettere a fuoco il luogo e il momento. Dopo la megasfera, la realtà le pareva piccola e limitata.

— …non possiamo parlare, qui — gridava Sol. — …tornare nella Sfinge.

Brawne scosse la testa. Indicò le pareti rocciose sul lato nord della valle dove l'immenso albero dello Shrike era visibile fra nuvole di polvere. — Il poeta… Sileno… è là. L'ho visto!

— Non possiamo fare niente per lui! — gridò Sol, usando il mantello per ripararsi e ripararla. La sabbia vermiglia tamburellò contro la fibroplastica col rumore di fléchettes su di una corazza.

— Forse possiamo — gridò Brawne, sentendo il calore di Sol, mentre lui la riparava tra le braccia. Per un secondo immaginò di potersi rannicchiare contro di lui con la stessa facilità di Rachel e dormire, dormire. — Ho visto… delle connessioni… quando uscivo dalla megasfera! — continuò, superando il ruggito del vento. — L'albero di spine è collegato in qualche modo al Palazzo dello Shrike! Se riusciamo ad andarci, a trovare il modo di liberare Sileno…

Sol scosse la testa. — Non posso lasciare la Sfinge. Rachel…

Brawne capì. Con la mano toccò la guancia dell'anziano studioso, poi gli si accostò, sentì contro la guancia la barba ispida. — Le Tombe si aprono — disse. — Non so quando avremo un'altra possibilità.

Sol aveva gli occhi bagnati di lacrime. — Lo so. Vorrei aiutarti. Ma non posso lasciare la Sfinge, nel caso… nel caso che lei…

— Capisco — disse Brawne. — Torna laggiù. Io vado al Palazzo dello Shrike per vedere se riesco a capire come è collegato all'albero di spine.

Sol annuì, a disagio. — Hai detto di essere stata nella megasfera — disse. — Cos'hai visto? Cos'hai appreso? La personalità Keats… è forse…

— Ne parleremo quanto torno — disse Brawne, scostandosi di un passo, in modo da guardarlo meglio. La faccia di Sol era una maschera di sofferenza: la faccia di un padre che ha perduto il figlio.

— Torna alla Sfinge — disse Brawne, ferma. — Ci vediamo lì, fra un'ora o anche meno.

Sol si lisciò la barba. — Sono spariti tutti, tranne te e me, Brawne. Non dovremmo separarci…

— Sì, per un poco — replicò Brawne, allontanandosi da lui, cosicché il vento le frustò la stoffa dei calzoni e della giacca. — Ci vediamo fra un'ora o meno. — S'incamminò rapidamente, prima di cedere all'impulso di rifugiarsi di nuovo nel tepore delle braccia di Sol. Il vento era più intenso, soffiava dritto giù dall'imboccatura della valle, per cui la sabbia colpiva negli occhi Brawne e le martellava le guance. La donna riuscì bene o male a seguire il sentiero tenendo la testa bassa. Solo il bagliore vivido e pulsante delle Tombe le illuminava la strada. Brawne sentì le maree del tempo tirarla come se l'aggredissero fisicamente.

Minuti dopo, si rese vagamente conto di avere oltrepassato l'Obelisco e di trovarsi sul sentiero cosparso di detriti del Monolito di Cristallo. Sol e la Sfinge erano già persi alle sue spalle, la Tomba di Giada era un semplice bagliore verde chiaro nell'incubo di polvere e di vento.

Brawne si fermò, ondeggiò un poco quando le raffiche e le maree del tempo la tirarono. C'era più di mezzo chilometro per arrivare al Palazzo dello Shrike. Anche se, mentre lasciava la megasfera, aveva capito all'improvviso che c'era un legame fra albero e tomba, cosa avrebbe potuto fare di utile, una volta sul posto? E cosa aveva fatto per lei, il maledetto poeta, se non prenderla a male parole e farla impazzire di rabbia? Perché morire nel tentativo di salvarlo?

Nella valle il vento urlava, ma al di sopra del frastuono Brawne pensò di udire grida più acute, più umane. Guardò verso la scarpata nord, si alzò il colletto della giacca e continuò ad avanzare nel vento.

Prima che Meina Gladstone uscisse dalla cabina astrotel, trillò il segnale delle chiamate in arrivo e la donna tornò ad accomodarsi e fissare con grande intensità la vasca olografica. La nave del Console aveva già notificato la ricezione del messaggio, ma non aveva dato risposta; forse il Console aveva cambiato idea.

No. Le colonne dati che fluttuavano nel prisma rettangolare di fronte a lei mostrarono che la raffica tachionica si era originata nel sistema di Mare Infinitum. L'ammiraglio William Ajunta Lee chiamava il PFE servendosi del codice privato che lei gli aveva dato.

La FORCE:spazio si era esasperata, quando Gladstone aveva insistito sulla promozione del capitano di fregata e l'aveva nominato "Ufficiale di collegamento del governo" per la missione di attacco in origine programmata per Hebron. Dopo i massacri di Porta del Paradiso e di Bosco Divino, l'unità di assalto era stata trasferita nel sistema di Mare Infinitum: settantaquattro navi principali fortemente protette da navi torcia e da vedette a schermo difensivo, l'intera forza navale di assalto, con l'ordine di penetrare con la massima velocità tra le navi da guerra dello Sciame in avanzata per colpirne il centro.