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Shadow sospirò. «Non ho mai ucciso nessuno. Davvero. Adesso andiamo al bar e beviamo qualcosa. Oppure, a un tuo ordine, faccio inversione e ti riporto a casa. In un caso o nell’altro spero che non chiamerai la polizia.»

Attraversarono il ponte in assoluto silenzio.

«Chi ha ucciso quei due?»

«Se te lo dicessi non mi crederesti.»

«Ti crederò.» Adesso sembrava arrabbiata. Shadow si domandò se portare la bottiglia di vino a cena fosse stata una buona idea. Certo in quel momento la vita non era un cabernet.

«Non sarà facile.»

«Io posso credere a qualsiasi cosa. Non hai idea di quello che riesco a credere.»

«Ah sì?»

«Credo in cose reali e in altre che non lo sono e credo in altre cose ancora che nessuno sa se sono reali o no. Credo in Babbo Natale e nel coniglietto di Pasqua e in Marilyn Monroe e nei Beatles, in Elvis e Mister Ed. Guarda… credo che gli uomini siano esseri perfettibili, che il sapere sia infinito, che il mondo sia nelle mani di un cartello bancario segreto e che gli alieni vengano a trovarci regolarmente, alieni bravi e tutti rugosi che assomigliano ai lemuri e alieni cattivi che mutilano il bestiame e vogliono rubarci l’acqua e le donne. Credo che il futuro sia preoccupante e che un giorno la Donna-Bufalo-Bianco tornerà a prenderci tutti a calci nel sedere. Credo che gli uomini siano soltanto bambini troppo cresciuti con gravi problemi di comunicazione e che il declino del sesso in America coincida con la chiusura dei drive-in. Credo che gli uomini politici siano dei disonesti senza principi e credo che siano comunque preferibili all’alternativa. Credo che quando verrà il grande terremoto la California affonderà nell’oceano, mentre la Florida si dissolverà, inghiottita dalla follia, dagli alligatori e dalle scorie tossiche. Credo che il sapone antibatterico stia distruggendo la nostra capacità di resistenza alla sporcizia e alle malattie e che quindi un giorno verremo tutti annientati da un banale raffreddore come i marziani nella Guerra dei Mondi. Credo che i più grandi poeti del secolo scorso siano Edith Sitwell e Don Marquis e che la giada sia sperma di drago secco, e che migliaia di anni fa, in una vita precedente, sono stata una sciamana siberiana monca. Credo che il destino dell’umanità sia scritto nelle stelle. Credo che le caramelle fossero davvero più buone quand’ero piccola, che da un punto di vista aerodinamico per il bombo sia impossibile volare, che la luce sia un’onda e una particella e che da qualche parte ci sia un gattino chiuso dentro una scatola vivo e morto allo stesso tempo (ma che se non si sbrigano ad aprire la scatola e a dargli da mangiare finirà per essere morto e basta) e che nell’universo ci siano stelle miliardi di anni più vecchie dell’universo stesso. Credo in un dio tutto mio che si preoccupa per me e protegge tutte le mie azioni. Credo in un dio impersonale che ha messo in moto l’universo e poi è andato a spassarsela e non sa nemmeno che esisto. Credo in un universo privo di dèi mosso da caos, rumore di fondo e una grande fortuna. Credo che tutti quelli che dicono che il sesso sia un’attività sopravvalutata non l’hanno mai fatto come si deve. Credo che chiunque sostienga di sapere come va il mondo sia capace di mentire anche sulle piccole cose. Credo nell’onestà assoluta e nella necessità di ragionevoli menzogne sociali. Credo nel diritto delle donne di scegliere, nel diritto di un bambino di vivere, che se ogni vita umana è sacra non c’è niente di male nella pena di morte, sempre che sia possibile fidarsi del sistema legale, e che solo uno scemo si fiderebbe. Credo che la vita sia un gioco, uno scherzo crudele, e che sia quella cosa che ti capita quando sei vivo, quindi tanto vale godersela.» Si fermò, senza fiato.

Shadow fu tentato di staccare le mani dal volante per applaudire. Invece disse: «Va bene. Allora se ti racconto quello che ho scoperto non penserai che sono matto da legare».

«Può darsi. Prova.»

«Ci crederesti se ti dicessi che tutti gli dèi immaginati sono ancora con noi?»

«… Può darsi.»

«E che nel mondo ci sono dèi nuovi, dèi dei computer e dei telefoni e cose così, e che tutti sembrano credere che non ci sia posto per entrambe le categorie. E che molto probabilmente scoppierà una specie di guerra.»

«Sono stati questi dèi a uccidere i due uomini?»

«No, li ha uccisi mia moglie.»

«Mi pareva che avessi detto che tua moglie era morta.»

«Infatti.»

«Allora li ha uccisi prima di morire?»

«Dopo. Non chiedermi di più.»

Sam alzò una mano e allontanò i capelli dalla fronte.

Si fermarono davanti al Buck Stops Here, sulla Main Street. Nell’insegna sul vetro c’era un cervo con l’aria stupita che, ritto sulle zampe posteriori, teneva tra quelle anteriori un boccale di birra. Shadow afferrò il sacchetto con il libro e scese dalla macchina.

«Perché devono farsi la guerra?» domandò lei. «Sembra superfluo. Che cosa c’è in palio?»

«Non lo so.»

«È più facile credere nell’esistenza degli alieni. Magari Town e Come Cavolo Si Chiama erano Uomini Neri di tipo alieno.»

Erano in piedi sul marciapiede davanti al bar. Sam smise di parlare e guardò Shadow mentre il suo respiro rimaneva sospeso nell’aria come una pallida nuvoletta. «Dimmi solo che sei dalla parte giusta.»

«Non posso» rispose lui. «Mi piacerebbe ma… sto facendo del mio meglio.»

Sam, senza smettere di guardarlo, si morse il labbro inferiore. Poi annuì. «Mi basta» disse. «Non ti denuncerò. Puoi offrirmi una birra.»

Shadow le aprì la porta e furono assaliti da un’ondata di caldo e musica. Entrarono.

Sam si avvicinò a salutare gli amici. Shadow fece un cenno ad alcune persone le cui facce — ma non i loro nomi — ricordava dal giorno delle ricerche di Alison McGovern, o che aveva incontrato da Mabel’s di mattina. Chad Mulligan era in piedi al banco, con un braccio intorno alle spalle di una donna con i capelli rossi, piccolina, la cugina probabilmente; Shadow si chiese che aspetto avesse, però al momento lei gli dava la schiena. Vedendolo, Chad alzò la mano in un cenno di saluto scherzoso. Shadow gli sorrise e ricambiò, poi si guardò intorno per cercare Hinzelmann, ma il vecchio non sembrava nei paraggi. Individuò un tavolino libero in fondo e partì.

A quel punto qualcuno cominciò a gridare.

Un urlo orribile, sguaiato, tipo ho-visto-un-fantasma, un urlo isterico che interruppe di colpo ogni conversazione nel locale. Shadow si voltò, sicuro che stessero uccidendo qualcuno, poi si rese conto che invece stavano tutti guardando lui. Perfino il gatto nero, che durante il giorno dormiva sul davanzale, era in cima al jukebox con la coda ritta e la schiena a gobba e lo stava fissando.

Il tempo rallentò la sua corsa.

«Prendetelo!» strillò una voce femminile molto prossima all’isteria. «Oh, per amor del Cielo, qualcuno lo fermi! Non fatelo scappare! Vi prego!» Shadow la conosceva.

Nessuno si mosse. Lo fissavano. E lui fissava loro.

Chad Mulligan si avvicinò passando in mezzo ai clienti del locale. La donna piccolina lo seguiva con aria circospetta, gli occhi sbarrati come se si stesse preparando a urlare daccapo. Shadow la conosceva. Eccome.

Chad teneva ancora in mano il bicchiere di birra, che appoggiò sul tavolo più vicino. «Mike» disse.

«Chad» ribatté lui.

Audrey Burton afferrò una manica di Chad. Era pallidissima e aveva gli occhi gonfi di lacrime. «Shadow» disse, «brutto bastardo. Schifoso bastardo assassino.»

«Sei sicura di conoscere quest’uomo, cara?» chiese Chad. Sembrava a disagio.

Audrey Burton lo guardò incredula. «Ma sei matto? Ha lavorato per anni con Robbie. Quella troia di sua moglie era la mia migliore amica. È ricercato per omicidio. Sono venuti a interrogarmi. È un evaso.» Aveva perso completamente il controllo, tremava e singhiozzava cercando di dominare i nervi come l’attrice di una telenovela decisa a vincere l’Oscar per l’interpretazione più melodrammatica dell’anno. La cugina in carne e ossa, pensò Shadow, per niente colpito dall’esibizione.