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Lei batté le palpebre, lo guardò meglio. Un attimo di perplessità, poi, riconoscendolo, cominciò a sorridere. «Ciao» disse.

«Devo controllare il forno» esclamò Marguerite con il tono nervoso di chi pensa che brucerebbe tutta la cena, assentandosi anche solo per un momento dalla cucina.

Sam si sfilò il piumino e il berretto. «E così saresti tu il vicino malinconico e misterioso» disse. «Chi l’avrebbe mai detto?» Aveva parlato a bassa voce.

«E tu» disse lui «sei Sam femmina. Possiamo parlarne in privato?»

«Solo se mi prometti che mi spiegherai cosa sta succedendo.»

«Promesso.»

Leon gli tirò una gamba dei pantaloni. «Me lo fai vedere adesso?» domandò, mostrandogli la moneta.

«D’accordo. Però ricorda che un grande mago non rivela a nessuno i suoi segreti.»

«Prometto» rispose Leon tutto serio.

Shadow prese la moneta con la sinistra e l’infilò nella destra del bambino mostrandogli in che modo si creava l’illusione di afferrarla mentre in realtà la si lasciava nell’altra mano. Poi gli fece ripetere il movimento da solo.

Dopo alcuni tentativi Leon riusciva a eseguirlo bene. «Adesso conosci metà del trucco» gli disse Shadow. «L’altra metà consiste nel concentrare e insieme attirare l’attenzione dove dovrebbe essere la moneta. Guarda. Se ti comporti come se fosse nella mano destra, nessuno baderà alla sinistra, anche se sei un po’ imbranato.»

Sam rimase a osservare la scena senza dire una parola.

«In tavola!» gridò Marguerite emergendo dalla cucina con una zuppiera di spaghetti fumanti. «Vai a lavarti le mani, Leon.»

C’era il pane croccante all’aglio, un’ottima salsa di pomodoro, le polpette piccanti. Shadow si complimentò con Marguerite per la cena.

«Una vecchia ricetta di famiglia» gli disse lei, «dalla parte còrsa.»

«Credevo che foste indiane.»

«Papà è cherokee» disse Sam. «Il nonno materno di Mag veniva dalla Corsica.» Sam era l’unica a bere il cabernet. «Papà ha lasciato la mamma di Mag quando lei aveva dieci anni ed è andato a vivere dall’altra parte della città. Sei mesi dopo sono nata io. Quando ha ottenuto il divorzio ha sposato mia madre e quando avevo dieci anni se n’è andato. Credo che un decennio sia il suo massimo di capacità di concentrazione.»

«Be’, sono dieci anni che è in Oklahoma» disse Marguerite.

«Invece nella mia famiglia materna erano ebrei dell’europa» continuò Sam, «venuti da uno di quei posti che fino a poco fa erano comunisti e adesso sono nel caos. Credo che alla mamma piacesse l’idea di sposare un cherokee, con tutto quel che ne consegue di etnico.» Bevve un altro sorso di vino rosso.

«La mamma di Sam è scatenata» aggiunse Marguerite con un tono che sembrava di approvazione.

«Sai dov’è, adesso?» chiese Sam. Shadow scosse la testa. «In Australia. Su Internet ha conosciuto un tizio che vive a Hobart. Quando si sono incontrati lo ha trovato disgustoso, però la Tasmania le è piaciuta molto e quindi adesso vive lì con un gruppo di donne, insegna a fare i batik e cose del genere. Non è forte, alla sua età?»

Shadow disse di sì e si servì altre polpette. Sam raccontò che gli inglesi avevano cercato di portare gli aborigeni della Tasmania all’estinzione e che quando avevano fatto una catena umana intorno all’isola per prendere i sopravvissuti in trappola c’erano finiti soltanto un vecchio e un bambino malato. Spiegò a Shadow che i tilacini, i lupi del deserto, erano stati tutti uccisi dai contadini preoccupati per le pecore, e che negli anni Trenta qualche uomo politico si era accorto che i tilacini andavano protetti, però ormai non ce n’era più mezzo. Finì il secondo bicchiere di vino e si versò il terzo.

«Allora» disse all’improvviso, con le guance arrossate, «parlaci della tua famiglia. Come sono, gli Ainsel?» Sorrideva con malizia.

«Siamo molto banali» rispose Shadow. «Nessuno di noi si è spinto fino in Tasmania. Dunque frequenti l’università di Madison… Come ti trovi?»

«Sai com’è» disse lei, «studio storia dell’arte, storia del movimento femminile e con ogni probabilità mi fondo da sola le mie sculture in bronzo.»

«Quando sarò grande farò le magie. Puf» disse Leon. «Mi insegni, Mike Ainsel?»

«Certo. Se alla mamma non dispiace.»

«Mags, dopo cena, mentre tu metti a letto Leon, mi faccio portare da Buck Stops Here per un’oretta» annunciò Sam.

Marguerite non rispose con l’alzata di spalle che ci si sarebbe aspettati. Girò la testa e sollevò un sopracciglio.

«Mike mi sembra un uomo interessante» continuò Sam. «E abbiamo un sacco di cose di cui parlare.»

Marguerite guardò Shadow, impegnato ad asciugare con un tovagliolo di carta una macchia immaginaria di pomodoro sul mento. «Be’, siete adulti» disse in un tono di voce che sottintendeva il contrario, oppure che, anche nel caso lo fossero davvero, non avrebbero dovuto essere considerati tali.

Dopo cena Shadow aiutò Sam in cucina, asciugando i piatti, e poi fece vedere un trucco a Leon contandogli i penny nella manina: ogni volta che il bambino apriva la mano e contava le monete ne trovava sempre una in meno del previsto. E l’ultimo penny — «Stringilo eh! Stringilo forte!» — quando Leon aprì la mano scoprì che era stato trasformato in una moneta da dieci centesimi. Gli strilli lamentosi di Leon «Ma come hai fatto? Mamma, ma come fa?» lo seguirono fin nel corridoio.

Sam gli diede il cappotto. «Vieni» disse. Il vino le aveva arrossato le guance.

Fuori era freddo.

Shadow si fermò a prendere il Minutes of the Lakeside City Council e a infilarlo in un sacchetto della spesa. Poteva darsi che giù al Buck ci fosse Hinzelmann, e voleva fargli vedere la pagina in cui si parlava di suo nonno.

Percorsero il vialetto fianco a fianco.

Lui aprì la porta del garage e lei cominciò a ridere. «Oddiosanto» esclamò vedendo la 4-Runner. «La macchina di Paul Gunther. L’hai comprata tu. Oddiosanto.»

Shadow le aprì la portiera, poi fece il giro e salì. «La conosci?»

«Sì, un paio d’anni fa, una volta che sono rimasta un po’ da Mags. Sono stata io a convincere Paul a dipingerla di rosso.»

«Ah. Fa piacere avere qualcuno con cui prendersela.»

Arrivato in strada scese per andare a chiudere il garage, poi tornò al volante. Sam lo guardò in modo strano, come se tutta la sua sicurezza stesse abbandonandola. Shadow allacciò la cintura e lei disse: «D’accordo. È stato stupido da parte mia, vero, salire in macchina con un assassino psicopatico?».

«L’altra volta sei arrivata sana e salva.»

«Hai ammazzato due uomini. Sei ricercato dall’Fbi. E adesso scopro che vivi sotto falso nome porta a porta con mia sorella. A meno che Mike Ainsel non sia il tuo vero nome.»

«No» rispose Shadow con un sospiro. «Non lo è.» Detestava ammetterlo, era come perdere qualcosa di importante, abbandonare Mike Ainsel negando di essere lui, era come dire addio a un amico.

«Li hai uccisi tu?»

«No.»

«Sono venuti a casa mia, hanno detto di averci visti insieme. E uno dei due mi ha mostrato una tua foto. Come si chiamava… Cappello? No, Città. Era come nel Fuggitivo. Io ho risposto che non ti avevo mai visto.»

«Grazie.»

«Perciò dimmi che cosa sta succedendo. Mantengo il segreto, se tu mantieni il mio.»

«Non conosco nessun segreto che ti riguardi.»

«Be’, sai che l’idea di dipingere questa macchina di rosso è stata mia, e quindi sono colpevole di aver condannato Paul Gunther a diventare oggetto di derisione e disprezzo da parte di tutta la zona, costringendolo a lasciare la città per sempre. Credo che fossimo piuttosto fumati» ammise.

«Dubito che sia un grande segreto» disse lui. «A Lakeside lo sapranno tutti. È una tonalità di rosso da strafatti.»

E poi, molto in fretta, e a voce molto bassa, lei disse: «Se vuoi uccidermi ti prego di non farmi soffrire. Non dovevo venire in macchina con te. Sono così cogliona, cazzo. Ti posso identificare. Merda».