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Adesso sullo schermo si vedeva l’immagine di una strada. La telecamera avanzò a sobbalzi come in un documentario girato con una cinepresa a spalla.

Un uomo con i capelli radi, l’abbronzatura e l’aria avvilita, riempì lo schermo. Era in piedi accanto a un muro e sorseggiava caffè da un bicchiere di plastica. Guardò in macchina e disse: «I terroristi si nascondono dietro definizioni astute come "combattenti per la libertà". Voi e io sappiamo che sono soltanto una banda di assassini».

Shadow riconobbe la voce. Una volta era stato dentro la testa di quell’uomo. Anche se dall’interno la voce del signor Town gli era sembrata diversa — più profonda, con più risonanza — era certo di non sbagliarsi.

Le telecamere si allontanarono mostrando Town davanti a un edificio di mattoni in una strada americana. Sopra la porta c’era un’insegna: una squadra a triangolo e un compasso intorno alla lettera G.

«Posizione» disse una voce fuori campo.

«Vediamo se dentro stanno girando» ribatté la voce femminile fuori quadro.

La parola DIRETTA continuava a lampeggiare nell’angolo sinistro dello schermo. Adesso si vedeva una piccola sala male illuminata. In fondo c’era un tavolo con due uomini seduti. Uno dei due dava la schiena alla telecamera che all’improvviso fece una strana zoomata. Per un momento i due andarono fuori fuoco, poi vennero ripresi in un’inquadratura perfetta. L’uomo che guardava in macchina si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro come un orso in gabbia. Era Wednesday. In un certo senso sembrava che si stesse divertendo. Quando vennero inquadrati entrò, con un pop, anche il sonoro.

L’uomo che dava la schiena alla telecamera stava dicendo «… stiamo offrendo è la possibilità di mettere fine a questa storia seduta stante, senza ulteriore spargimento di sangue, senza altre violenze, altre sofferenze, altre vite sprecate. Non merita forse qualche concessione?»

Wednesday si fermò e si voltò. Aveva le narici dilatate dall’ira. «Prima di tutto» ruggì «voi dovete capire che mi state chiedendo di parlare a nome degli altri, il che è palesemente irragionevole. E poi cosa diavolo ti fa pensare che io creda alla tua parola?»

L’uomo che dava le spalle alla telecamera mosse la testa. «Fai un torto a te stesso» disse. «È ovvio che non avete capi. Però i tuoi ascoltano te. Ti danno retta. E in quanto al fatto che io mantenga o meno la mia parola, queste trattative preliminari sono filmate e trasmesse in diretta.» Indicò la telecamera. «Qualcuno dei tuoi in questo momento ci sta guardando. Altri vedranno le videocassette. La telecamera non mente.»

«Tutti e tutto mentono» rispose Wednesday.

Shadow riconobbe la voce dell’uomo che dava le spalle alla macchina. Era il signor World, quello che aveva parlato con Town al cellulare mentre Shadow era nella testa di Town.

«Tu non credi» disse World «che manterremo la nostra parola?»

«Io credo che le vostre promesse siano fatte per non essere mantenute e i vostri giuramenti per essere rinnegati. Invece io ho una parola sola.»

«Un salvacondotto è un salvacondotto» disse World, «e abbiamo concordato una tregua. A proposito, devo dirti che il tuo giovane protégé è di nuovo nelle nostre mani.»

Wednesday sbuffò. «No» disse. «Non è vero.»

«Stavamo parlando di come affrontare l’imminente cambio di paradigma. Non dobbiamo essere necessariamente nemici. Non credi?»

Wednesday sembrava turbato. Disse: «Farò qualsiasi cosa in mio potere per…».

Shadow notò qualcosa di strano nell’immagine di Wednesday. Un puntino rosso nell’occhio sinistro, quello di vetro. Muovendosi il puntino lasciava un’aura fosforescente. Lui non sembrava rendersene conto.»

«È un grande paese» disse Wednesday con l’aria di chi si sforzi di mettere ordine nei propri pensieri. Mosse la testa e il puntolino rosso del laser scivolò sulla guancia. Poi ritornò sull’occhio. «C’è spazio per…»

Si sentì un bang, attutito dagli altoparlanti del televisore, e la metà sinistra della testa di Wednesday esplose. Il suo corpo ricadde all’indietro con un tonfo.

World si alzò, sempre dando la schiena alla macchina, e uscì dall’inquadratura.

«Rivediamo la scena al rallentatore» disse in tono rassicurante la voce dell’annunciatrice.

La parola DIRETTA venne sostituita da REPLAY. Molto lentamente il pallino rosso centrò l’occhio di vetro e ancora una volta metà della faccia di Wednesday si dissolse in una nuvola di sangue. Ci fu un fermo immagine.

«Sì, è ancora la Terra di Dio» disse l’annunciatore, lo speaker del telegiornale incaricato di pronunciare la battuta finale, «ma la domanda è: di quale dio stiamo parlando?»

Un’altra voce — quella di World, secondo Shadow, perché ne riconosceva l’intonazione vagamente familiare che aveva già notato la prima volta — disse: «Adesso torniamo alla nostra programmazione regolare».

In Cheers Coach tranquillizzò la figlia dicendole che era davvero bellissima, proprio come sua madre.

Squillò il telefono e l’agente Liz si svegliò di soprassalto. Alzò il ricevitore. Disse: «Okay. Okay. Sì. Okay». Riagganciò. Si alzò. «Devo metterti dentro» disse a Shadow. «Non usare il gabinetto. Ti stanno venendo a prendere dal dipartimeno dello sceriffo di Lafayette.»

Gli tolse le manette e i ceppi alle caviglie e lo rinchiuse nella cella. La puzza era ancora più forte con la porta chiusa.

Shadow sedette sulla branda di cemento, sfilò il dollaro d’argento della Libertà dal calzino e cominciò a farlo scivolare da un dito all’altro, da una mano all’altra, concentrato soltanto nel non farlo vedere a nessun eventuale curioso. Era un modo per passare il tempo, per stordirsi.

Sentiva la mancanza di Wednesday. Una nostalgia improvvisa e profonda. Gli mancavano la sua sicurezza, il suo modo di fare. Le sue convinzioni.

Aprì la mano, guardò la Signora Libertà, il profilo argenteo. Chiuse le dita intorno alla moneta e strinse forte. Si chiese se sarebbe diventato uno di quelli che finiscono condannati a morte per un reato che non hanno commesso. Sempre che fosse arrivato al processo. Da quanto sembrava, World e Town ci avrebbero impiegato un attimo a farlo fuori. Magari sarebbe finito vittima di un disgraziato incidente, mentre lo portavano a destinazione. Potevano sparargli perché aveva cercato di fuggire. Non era improbabile.

Nella stanza dall’altra parte del vetro c’era un certo movimento. Entrò l’agente Liz, premette un pulsante e una porta che Shadow non poteva vedere si aprì: un uomo di pelle scura con l’uniforme marrone dello sceriffo entrò e si avvicinò svelto al banco.

Shadow infilò il dollaro d’argento nel calzino.

Il nuovo arrivato diede alcuni documenti a Liz che li lesse in fretta e firmò. Arrivò Chad Mulligan, scambiò qualche parola con l’uomo, aprì la porta della cella e si rivolse a Shadow:

«Ecco. Sono venuti a prenderti. A quanto pare sei una questione di sicurezza nazionale. Lo sapevi?»

«Una bella storia per la prima pagina del "Lakeside News".»

Chad lo guardò inespressivo. «Cosa, che un balordo è stato arrestato per aver violato i termini di libertà vigilata? Non è granché, come storia.»

«È di questo che si tratta?»

«Così dicono a me» rispose Chad Mulligan. Shadow incrociò le mani davanti, questa volta, e Chad lo ammanettò. Poi gli mise i ceppi e fissò la catena tra questi e le manette.

Mi porteranno fuori, pensò Shadow. Forse potrei tentare la fuga, con i ceppi, le manette e tutto vestito di arancione sulla neve, ma l’idea gli sembrò stupida e disperata già mentre la formulava.

Chad lo riportò nell’ufficio. Liz aveva spento il televisore. L’uomo di colore lo guardò dall’alto in basso. «È un omone grande e grosso» disse rivolto a Chad. Liz gli consegnò il sacchetto di carta che conteneva tutti gli effetti personali di Shadow e l’uomo firmò.

Chad guardò prima Shadow, poi l’altro e a voce bassa, ma non abbastanza perché Shadow non sentisse, disse: «Senta, questo modo di procedere non mi piace».