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Un uomo grande e grosso con un vestito chiaro siede al tavolo dell’uomo in grigio; vedendolo, la cameriera che non ha notato l’uomo in grigio ed è troppo magra per essere considerata bella, troppo palesemente anoressica per lavorare al Luxor o al Tropicana e che conta i minuti che mancano alla fine del turno, si avvicina al tavolo con un sorriso. L’uomo in chiaro ricambia con un sorriso ancora più cordiale: «Stasera sei bellissima, mia cara, un bello spettacolo per questi poveri vecchi occhi», e lei, avvertendo la possibilità di una buona mancia, sorride con molto calore. L’uomo vestito di chiaro ordina un Jack Daniel’s per sé e un Laphroaig con un bicchiere d’acqua per l’uomo in grigio che gli siede accanto.

«Sai» dice l’uomo vestito di chiaro quando arriva il whiskey, «il più bel verso poetico nella storia di questo maledetto paese è stato pronunciato da Canada Bill Jones nel 1853, a Baton Rouge, mentre al tavolo di una partita di faraone truccata veniva derubato fino alle mutande. George Devol, che come Canada Bill non era un uomo incapace di sgamare l’inganno, prese in disparte Bill e gli chiese se non si fosse reso conto che stavano barando. Canada Bill sospirò, scrollò le spalle e disse: "Lo so. Ma è l’unico tavolo da gioco della città". E tornò a farsi spennare.»

Due occhi scuri fissano con sospetto l’uomo vestito di chiaro. L’uomo in grigio replica qualcosa. L’uomo vestito di chiaro, che ha una barba rossiccia che sta incanutendo, scuote la testa.

«Senti» dice, «mi dispiace per quello che è successo nel Wisconsin. Ma vi ho portati tutti in salvo, non è vero? Nessuno si è fatto male.»

L’uomo in grigio sorseggia il Laphroaig allungato con l’acqua assaporandone il gusto torbato. Fa una domanda.

«Non so. Sta succedendo tutto più in fretta del previsto. Sono tutti eccitati per il ragazzo che ho assunto per fare i lavori pesanti… l’ho lasciato fuori, aspetta in taxi. Ci stai sempre?»

L’uomo in grigio risponde.

L’uomo con la barba scuote la testa. «Non la si vede da duecento anni. Se non è morta è uscita di scena.»

Viene detto altro.

«Senti» dice l’uomo con la barba trangugiando d’un fiato ciò che resta del Jack Daniel’s, «tu sei con noi, cerca di essere presente quando avremo bisogno e io mi prenderò cura di te. Che cosa vuoi? Del soma? Te ne posso procurare una bottiglia. Di quello vero.»

L’uomo in grigio lo fissa. Poi annuisce con riluttanza e fa un commento.

«Certo che sì» risponde l’uomo con la barba con un sorriso tagliente come una lama. «Che cosa credi? Mettiamola in questo modo: è l’unico tavolo da gioco della città.» Tende una delle sue manone grandi come zampe e stringe la mono ben curata dell’altro. Se ne va.

La cameriera magra si avvicina perplessa; adesso al tavolo d’angolo c’è un uomo solo, un uomo vestito con un abito grigio scuro molto elegante. «Tutto a posto?» chiede. «Il suo amico ritornerà?»

L’uomo in grigio sospira e spiega che il suo amico non tornerà e quindi lei non sarà pagata per il suo tempo e le sue attenzioni. E poi, vedendo che l’ha ferita e provando pietà per lei esamina i fili d’oro nella sua mente, osserva la matrice, segue il denaro fino a quando non individua un nodo e le dice che se alle sei in punto si troverà davanti al Treasure Island, trenta minuti dopo la fine del suo turno al bar, incontrerà un oncologo di Denver che ha appena vinto quarantamila dollari ai dadi e che ha bisogno di un mentore, di una socia, di qualcuno che lo aiuti a spenderli nelle quarantott’ore che mancano al suo ritorno a casa.

Le parole evaporano nella mente della cameriera ma la lasciano felice. Sospira quando si accorge che i tizi del tavolo d’angolo se ne sono andati senza pagare e senza nemmeno lasciarle la mancia. Le viene in mente che invece di tornare subito a casa, quando avrà finito di lavorare, quella sera andrà al Treasure Island; ma se le si chiedesse perché, mai e poi mai potrebbe spiegarlo.

«Chi era il tipo che hai incontrato?» chiese Shadow mentre attraversavano il salone dell’aeroporto di Las Vegas. C’erano slot machine anche lì. A quell’ora del mattino c’era già gente che le stava rimpinzando di monete. Shadow si domandò se ci fosse qualcuno che non usciva mai dall’aeroporto, che scendeva dall’aereo, percorreva la pista, entrava nell’edificio e si fermava lì, intrappolato dalle immagini rotanti e dalle luci abbaglianti fino a quando non aveva infilato l’ultimo quarto di dollaro nelle macchinette e poi, a tasche vuote, tornava sui propri passi e prendeva il volo che l’avrebbe riportato a casa.

E a quel punto si accorse di essersi distratto proprio mentre Wednesday gli spiegava chi era l’uomo in grigio che avevano seguito col taxi: non aveva sentito.

«Comunque ci sta» disse Wednesday. «Anche se mi costerà una bottiglia di soma.»

«Cos’è?»

«È una bevanda.» Si avvicinarono a piedi all’aeroplano: oltre a loro a bordo c’erano soltanto tre industriali che dovevano essere di ritorno a Chicago prima dell’inizio della giornata di lavoro.

Wednesday si accomodò e ordinò un Jack Daniel’s. «La mia gente vede la vostra gente…» esitò «è come con le api e il miele. Ogni ape produce una gocciolina minuscola di miele e ci vogliono migliaia di api, forse milioni, che lavorano tutte insieme, per riempire il vasetto di miele che metti sul tavolo della colazione. Ora immagina di non poter mangiare altro che miele. Per la mia gente è così… noi ci nutriamo di fede, preghiere, amore.»

«E il soma è…»

«Per riprendere l’analogia, il soma è un vino ricavato dal miele. Come l’idromele.» Ridacchiò. «È una bevanda inebriante. Preghiere e fede concentrate in un succo potente.»

Volavano sopra il Nebraska intenti a mangiare un’enorme colazione quando Shadow disse: «Mia moglie».

«La morta.»

«Laura. Non vuole essere morta. Me l’ha detto lei. Dopo avermi salvato dai tizi sul treno.»

«Il gesto di una brava moglie. Liberarti dall’orrenda prigionia e uccidere chi voleva farti del male. Dovresti tenerla da conto, nipote Ainsel.»

«Lei vuole tornare viva come prima. Possiamo farlo? Si può?»

Wednesday rimase in silenzio così a lungo che Shadow cominciò a chiedersi se avesse sentito la domanda o se per caso non si fosse addormentato con gli occhi aperti. Poi, guardando fisso davanti a sé, parlò: «Conosco l’incantesimo che cura il dolore e la malattia, e libera il cuore da ogni pena.

«L’incantesimo che con un gesto risana.

«L’incantesimo che paralizza i nemici e ne neutralizza le armi.

«L’incantesimo che mi libera da ogni laccio e prigionia.

«Il quinto: posso acchiappare al volo una freccia senza ferirmi.»

Parlava a voce bassa, con urgenza. Non c’era più nessuna traccia del suo solito tono prepotente né di sarcasmo. Wednesday parlava come se stesse recitando la formula di un rito, o come se ricordasse qualcosa di oscuro e doloroso.

«Il sesto: i malefici contro di me si ritorceranno contro chi li ha scagliati.

«Il settimo: posso spegnere il fuoco con un’occhiata.

«L’ottavo: se un uomo mi odia, posso farmelo amico.

«Il nono: so placare il vento e calmare la tempesta il tempo necessario a portare una nave in salvo.

«Questi sono i nove incantesimi che imparai per primi. Io, che fui impiccato all’albero per nove notti complete, ferito nel fianco dalla punta di una lancia, ondeggiai all’albero battuto dai venti, senza cibo e senz’acqua, sacrificato a me stesso, e i mondi si spalancarono sotto di me.

«Con il decimo incantesimo imparai a scacciare le streghe, a farle roteare nei cieli in modo che non ritrovassero più la strada di casa.

«L’undicesimo: se canto quando infuria la battaglia il fuoco e l’acciaio nulla possono contro i miei guerrieri che torneranno sani e salvi al focolare.

«Un dodicesimo incantesimo conosco: se vedo un uomo impiccato posso staccarlo dall’albero per fargli sussurrare tutto ciò che ricorda.