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«E allora scappa?»

Il vecchio annuì con gravità. «Per me la colpa è della televisione che fa vedere ai ragazzi cose che non dovrebbero mai vedere, come Dallas e Dynasty e tutte quelle altre stupidaggini. Io non ho un televisore dall’autunno dell’83, solo uno in bianco e nero che tengo nell’armadio in caso qualcuno di fuori volesse vedere una partita importante.»

«Posso offrirle qualcosa, Hinzelmann?»

«Niente caffè. Mi dà acidità di stomaco. Solo acqua.» Il vecchio scosse la testa. «Il problema più grosso in questa parte del paese è la miseria. Non la miseria della Depressione, qualcosa di più… qual è la parola per dire che si infila dappertutto come gli scarafaggi?»

«Insidiosa?»

«Sì ecco, insidiosa. Il legname non dà più lavoro. Le miniere non danno più lavoro. I turisti non vanno più a nord di Dells, eccetto qualche raro cacciatore e i ragazzini che fanno campeggio sui laghi, però non spendono certo soldi nei negozi e nei locali della città.»

«Lakeside sembra una prospera cittadina.»

Il vecchio chiuse e aprì rapidamente le palpebre. «E non è un’impresa da poco. Credimi. È una bella città ed è l’energia di tutti a renderla bella. Non che la mia famiglia non fosse povera, quand’ero piccolo. Chiedimi che infanzia povera ho avuto.»

Shadow assunse l’espressione seria di chi sta al gioco e disse: «È stata un’infanzia povera la sua, signor Hinzelmann?».

«Solo Hinzelmann, Mike. Eravamo così poveri che non potevamo nemmeno permetterci di accendere il camino. Per festeggiare la notte di Capodanno mio padre succhiava una mentuccia e noi bambini ci mettevamo intorno con le mani tese ad aspettare che la facesse succhiare un pochino anche a noi.»

Shadow fece un fischio di incredulità. Hinzelmann infilò la maschera da sci, abbottonò l’enorme giacca scozzese, prese dalla tasca le chiavi dell’automobile e infine tirò fuori i guanti pesanti. «Se ti annoi vieni a cercarmi in negozio. Ti faccio vedere la mia collezione di mosche da pesca legate a mano. Ti annoierò talmente che dopo tornare quassù ti sembrerà un sollievo.» La voce arrivava soffocata ma comprensibile.

«Verrò» disse Shadow. «Come sta Tessie?»

«È in letargo fino a primavera. Stammi bene, Mike Ainsel.» Uscendo si chiuse la porta alle spalle.

Dopodiché, l’appartamento sembrò ancora più freddo.

Shadow si infilò la giacca e i guanti. Poi gli stivali. Dalle finestre non si riusciva a vedere quasi niente perché lo strato di ghiaccio sulla parte interna dei vetri trasformava il panorama lacustre in un dipinto astratto.

Il suo respiro formava nuvolette nell’aria.

Uscì sul portico di legno e bussò alla porta dei vicini. Sentì una voce femminile gridare a qualcuno di tacere e abbassare il volume della televisione… un bambino, pensò, perché in genere gli adulti non si rivolgono ad altri adulti urlando in quel modo. La porta si aprì e una donna dall’aria stanca con i capelli molto lunghi e molto neri lo fissò con circospezione.

«Sì?»

«Sono Mike Ainsel, signora. Il nuovo vicino.»

La donna rimase impassibile. «Sì?»

«Signora, nel mio appartamento si muore di freddo. Quel po’ di calore che arriva dalla grata non riscalda per niente.»

Lei lo guardò dall’alto in basso, poi l’ombra di un sorriso le sfiorò gli angoli della bocca. «Entri, prego. Se non entra si gelerà anche da noi.»

Shadow entrò. Il pavimento era disseminato di giocattoli di plastica colorati e accanto a un muro c’era un mucchio di carte da regalo strappate dai pacchetti natalizi. Un bambino incollato alla televisione guardava la videocassetta di Hercules, dove al momento un satiro saltellava gridando. Shadow cercò di dare la schiena allo schermo.

«Allora» cominciò la donna, «deve fare così: prima di tutto sigilli le finestre con una specie di striscia adesiva, la trova giù da Hennings. La incolli lungo gli infissi e se vuole fare le cose davvero bene ci passi sopra il phon, così non si stacca più per tutto l’inverno. Questo è il sistema migliore per impedire dispersioni di calore. Poi comperi un paio di termoconvettori. La caldaia del palazzo è vecchia e quando diventa così freddo non ce la fa. Ultimamente abbiamo avuto inverni abbastanza miti, dovremmo esserne contenti, immagino.» Poi gli tese la mano destra. «Sono Marguerite Olsen.»

«Piacere di conoscerla» disse Shadow. Si sfilò un guanto e ricambiò la stretta. «Sa una cosa? Ho sempre pensato che Olsen fosse un cognome per persone più bionde di lei.»

«Il mio ex marito era biondo come da manuale. Biondo e roseo. Non si abbronzava nemmeno sotto la minaccia di un’arma da fuoco.»

«Missy Gunther mi ha detto che lei scrive per il giornale locale.»

«Missy Gunther racconta tutto a tutti. Non capisco che bisogno ci sia di un giornale locale, con lei intorno.» Annuì. «Comunque sì. Raccolgo qualche notizia qui e là, anche se è il caporedattore a fare la cronaca. Io curo la rubrica della natura, quella di giardinaggio, tutte le domeniche la rubrica dei lettori e le "Notizie della Comunità", dove si racconta, con un’abbondanza di dettagli estenuante, chi è uscito a cena con chi nel raggio di venti chilometri.»

Quando lei lo guardò con i suoi occhi neri, Shadow sperimentò un istante di puro déja vu. Sono già stato qui, pensò.

No, lei mi ricorda qualcuno.

«Comunque se vuole riscaldare la casa deve fare come le ho detto.»

«Grazie. Quando sarà calda venga a trovarmi con il bambino.»

«Si chiama Leon. Piacere di averla conosciuta, signor… scusi…»

«Ainsel» disse Shadow. «Mike Ainsel.»

«Che tipo di nome è Ainsel?»

Shadow non ne aveva la minima idea. «Il mio» rispose. «Temo di non essermi mai interessato troppo alla storia di famiglia.»

«Norvegese, forse?»

«Non che io sappia» disse. Poi gli tornò in mente lo zio Emerson Borson e aggiunse: «Dal lato paterno, perlomeno».

Prima che arrivasse Wednesday, Shadow aveva sigillato tutte le finestre, sistemato un termoconvettore nel salotto e un altro in camera da letto. L’appartamento era quasi confortevole.

«Che cosa cazzo è quella porcheria rossa che guidi?» chiese Wednesday come formula di saluto.

«Be’, tu ti sei preso la mia porcheria bianca. A proposito, dov’è?»

«L’ho scambiata con un’altra a Duluth. La prudenza non è mai troppa. Non preoccuparti… quando abbiamo finito ti darò la tua parte.»

«Che cosa ci faccio qui?» chiese Shadow. «A Lakeside, voglio dire. Non al mondo.»

Wednesday sorrise in quel suo modo speciale che a Shadow faceva venire voglia di tirargli un cazzotto. «Sei venuto a vivere qui perché è l’ultimo posto dove verrebbero a cercati. A Lakeside ti posso tenere al riparo da sguardi indiscreti.»

«Chi dovrebbe cercarmi? I berretti neri?»

«Esattamente. Ho paura che ormai per noi la House on the Rock sia territorio proibito. È un momento difficile, comunque ce la faremo. Si tratta soltanto di battere i piedi, agitare i gagliardetti e fare qualche capriola prima che l’azione vera e propria cominci, leggermente più tardi del previsto. Credo che aspetteranno la primavera. Fino ad allora non dovrebbe succedere niente di grosso.»

«Come mai?»

«Perché possono anche blaterare discorsi su micromillisecondi e mondi virtuali e slittamenti paradigmatici e quello che ti pare, ma abitano in questo pianeta e sono pur sempre vincolati al ciclo delle stagioni. Questi sono i mesi morti. Una vittoria ottenuta adesso sarebbe una vittoria morta.»

«Non so di cosa stai parlando» disse Shadow. Non era del tutto vero. Una vaga idea ce l’aveva, ma sperava che fosse sbagliata.

«Sarà un inverno duro, e noi due impiegheremo il tempo nel modo più saggio, radunando le truppe e scegliendo il campo di battaglia.»

«D’accordo» disse Shadow. Sapeva che Wednesday gli stava dicendo la verità, o quantomeno una parte di verità. La guerra era vicina. No, non era esatto: la guerra era già cominciata, adesso stava per iniziare lo scontro finale. «Mad Sweeney mi ha detto che quando ci siamo incontrati la prima volta lui lavorava per te. Me l’ha detto prima di morire.»