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— Uh.

— Va’ su da Nia e dall’oracolo. Io penso che andrò in cerca di una bottiglia di vino. È passato parecchio tempo dall’ultima volta che mi sono ubriacato.

Mi inerpicai su per la scogliera, perdendomi di nuovo. Non saprei dire per quanto tempo mi aggirai alla cieca, impigliandomi nei cespugli, inciampando nelle radici e scivolando lungo pendii di pietre e terriccio per poi arrampicarmi di nuovo, imprecando.

Alla fine trovai il bivacco. Entrai nel cerchio di luce del fuoco. L’oracolo alzò lo sguardo. — Hai i capelli pieni di foglie, e hai della terra sulla faccia.

— Non mi sorprende. — Lasciai cadere le coperte. — Eccole. Maledizione! Ho dimenticato qualcosa in cui mettere l’acqua!

Nia fece il gesto che significava "non ha importanza". L’oracolo prese una coperta e la strofinò con la mano. — Mi piace il tessuto, anche se non è soffice come la lana che si ricava dalle schieneargentate. — Si avvolse nella coperta.

Presi anch’io una coperta e mi coricai nella grotta. Restai qualche tempo a osservare la luce del fuoco che guizzava sulla parete e sul soffitto di roccia.

Mi svegliai con la luce del sole. L’oracolo era seduto nella radura accanto al fuoco ed era occupato ad aggiungere rami. I suoi vestiti, i pantaloncini blu e la camicia di cotone giallo, erano già un po’ sporchi.

— Dov’è Nia?

— È scesa a controllare le sue trappole per i pesci.

Mi alzai e presi il coltello dalla mia tasca. — Avrà bisogno di questo. Vado giù al villaggio a mangiare.

— Sei fortunata! Vorrei avere un posto dove mangiare. Mi sto stancando del pesce.

— Forse posso rimediare qualcosa.

Questa volta il tragitto fu agevole. Il sentiero per scendere era ben visibile. Mi chiesi chi l’avesse tracciato. Era venuto qui qualcuno?

Andai nella mia cupola e mi feci una doccia, poi indossai nuovi vestiti: una tuta di un rosso borgogna, una cintura bianca, calzini bianchi e sandali giapponesi. Mi fissai i capelli alla base del collo e guardai con espressione corrucciata la mia immagine riflessa. Decisamente avevo bisogno di tagliarmi i capelli, ma in quale stile? Forse avrei dovuto aspettare finché non fossi tornata sulla nave. Meiling sapeva sempre che cosa andava di moda. Andai in sala da pranzo.

Eddie e Derek erano seduti insieme. Oggi se ne stavano all’ombra, ed Eddie non portava occhiali. Presi del caffè e una focaccina e mi avvicinai.

— È un bene che ti sia fatta vedere — disse Derek. — Eddie ha deciso che dobbiamo tenere una riunione.

Mi sedetti e mi versai il caffè. Che aroma! Come avevo fatto a sopravvivere senza?

— Stavo dicendo a Derek — cominciò Eddie — che dovresti iniziare a lavorare sui tuoi rapporti. Sei in un nuovo ambiente adesso. Ricevi un nuovo genere di informazioni che incominceranno a interferire.

— La Legge della Memoria di Gresham — osservò Derek.

— Che cosa?

— Le nuove informazioni scacciano quelle vecchie. Le informazioni sbagliate scacciano quelle giuste.

Imburrai la focaccina, che era di crusca, noce e banana. — Non credo che quella formulazione sia esatta.

— È superficiale e inutile — disse Eddie. — Tale quale l’umore di Derek stamattina, a quanto sembra. — Lanciò un’occhiata al taccuino che aveva di fronte. Era aperto e c’erano dei caratteri sullo schermo. — Incomincerai a lavorare sul tuo rapporto, Lixia?

— Sì.

— Oggi?

— Sì.

Eddie premette un tasto del taccuino. Una fila di caratteri sparì. — Il team medico dice di volervi tenere sotto osservazione ancora per un giorno.

— Non noi personalmente — precisò Derek. — Stanno tenendo sotto osservazione le nostre colture. Se entro domani sera non accadrà niente di strano o di terribile, potremo tornare a lavorare.

Eddie sembrava impaziente, ma lasciò che Derek finisse di parlare. Poi si protese in avanti. — La Ivanova e io vogliamo che tu venga con noi quando risaliremo il fiume.

Feci il gesto che significava "lo so".

— Ci verrai?

— Sì.

Premette di nuovo il tasto. Un’altra riga di caratteri sparì. — Derek ha suggerito di chiedere a Nia e all’oracolo di venire con noi.

— Non so se sia una buona idea. Nia viene da quel villaggio. Loro l’hanno mandata in esilio. Non le faranno del male se tornerà, ma è probabile che non le riservino un’accoglienza particolarmente calorosa.

— Chiediglielo — fece Derek.

— Perché vuoi che venga?

— Lei e l’oracolo ne sanno di più sugli umani di chiunque altro su questo pianeta. Potrebbero avere qualcosa di utile da dire sul problema che abbiamo per le mani. E non voglio lasciare loro due da soli in mezzo a un posto estraneo. Non possiamo dare loro viveri, e non so come la penseranno le persone riguardo al problema di fornire loro utensili e armi. Dio solo sa che cosa accadrà se questi selvaggi si procureranno ami da pesca o coltelli con la lama di acciaio inossidabile. E… — Sorrise. — Mi preoccupa l’idea di lasciarli qui indifesi. Quelli del team medico vogliono esaminarli. E così i biologi e gli psicologi e…

— Che cosa ne pensi? — domandò Eddie.

Finii la focaccina, mandandola giù con il caffè. — Tanto vale chiederglielo. Derek ha ragione. Nia ha una certa esperienza dell’umanità. Non possiamo lasciarla sola sulla pianura. E non vorrei proprio tornare e scoprire che se ne è andata a causa di quelli del team medico. Non mi stupirei se lo facesse. Non è del tutto a suo agio con noi, e un esame medico può essere abbastanza disumanizzante, perfino quando si sa che cosa sta succedendo.

Eddie annuì. Altri caratteri sparirono dal taccuino. Vi diedi un’occhiata. Lo schermo era vuoto fatta eccezione per due caratteri. Strizzai gli occhi. Il numero quattro e un punto interrogativo. — È tutto?

Lui mi guardò con aria malinconica, gli occhi non riparati dalle lenti. Indossava una camicia azzurra questa mattina: semplice chambray, aperta sul collo a rivelare una collana d’osso e conchiglie. I capelli erano trattenuti da un fermaglio sulla nuca. Il fermaglio era guarnito di perline: un disegno geometrico. Lavorazione Dakota come la collana. La maggior parte dei suoi antenati erano Anishinabe, ma alcuni provenivano dai Sette Fuochi del Consiglio. Altri erano francesi o inglesi.

— C’è ancora una cosa. — Esitò.

— Gliene ho parlato — disse Derek.

— Che ne pensi, Lixia?

— Credo che sia un’idea disgustosa.

Eddie sospirò. La riga numero quattro sparì. Lui spense il taccuino e lo chiuse, ripiegando lo schermo sulla tastiera. Il taccuino era ancora troppo grande per entrare in una normale tasca. Il problema era costituito dalle dita umane. Non erano state miniaturizzate. La tastiera doveva essere larga almeno venti centimetri perché la maggior parte delle persone potessero usarla.

— È quello che temevo — disse Eddie. — Ti parlerò più tardi. Per favore, incomincia con il rapporto. — Si allontanò, portando il taccuino in una mano.

— Sarà una conversazione spiacevole — osservai.

Derek fece il gesto dell’assenso.

— Se tu gli avessi detto di no, avrei potuto evitarla.

— Uuh.

— Se tu gli avessi detto di no, sarebbe in collera con te. Ora si arrabbierà con me.

— Forse.

— Avevi programmato tutto?

— Io non programmo affatto quanto credi.

— Mmm. — Portai i miei piatti al tavolo riciclante, poi mi recai nella cupola degli approvvigionamenti e mi procurai un taccuino con una memoria di 256 K.

Trascorsi la mattinata nella mia stanza. Per prima cosa buttai giù le storie che avevo sentito la sera prima: il Popolo il cui dono è la follia.

Dopo di che feci un abbozzo del mio rapporto.

Smisi a mezzogiorno e andai a prendermi un sandwich. Mi stavo perdendo una splendida giornata. Grosse nuvole viaggiavano nel cielo. Il lago scintillava. C’erano persone sulla banchina, che scaricavano altre casse. Mi riportai il sandwich nella mia stanza e lo mangiai mentre scrivevo.

Alla fine mi accorsi che mi faceva male la schiena. Dalla finestra non entrava più la luce del sole e il cielo era più verde che azzurro. Il colore del pomeriggio inoltrato. Salvai il mio lavoro e spensi il taccuino, poi mi alzai e mi stiracchiai.