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— Quattro di loro sono uomini.

— Sediamoci — disse Angai. — Qui sotto il lembo della tenda. Non c’è motivo di stare scomode mentre parliamo.

Ubbidimmo. Anche Hua. Angai le rivolse un’occhiata severa. — Non sono certa che questo sia un argomento per bambini.

— L’intero villaggio è qui. Stanno ascoltando tutti.

Angai fece il gesto che significava "molto bene". — Ma sta’ in silenzio! Fa’ attenzione! Impara quello che fa una sciamana!

Hua fece il gesto dell’assenso.

— Ora. — Angai guardò Nia. — Spiegami che cos’è tutta questa faccenda.

— Queste persone sono diverse. Non si tratta soltanto della mancanza di pelo. Guarda i suoi occhi. — Puntò il dito verso di me. — Sono bianchi e marroni come il terreno all’inizio della primavera, quando la neve incomincia a sciogliersi. Chi ha mai visto occhi come questi? Guarda le sue mani. Ha due dita in più, e non sono deformi. Tutta la sua gente ha due dita in più. Amica della mia infanzia, tira un respiro! Hai mai sentito una persona che odori così prima d’ora?

Angai annusò. — No.

Nia si protese in avanti. — Lei non è una persona nel modo in cui lo sei tu, Angai.

Aprii la bocca per protestare, poi la richiusi. Nia era tutt’altro che una stupida. Doveva avere un motivo per quello che faceva.

— Loro hanno utensili diversi dai nostri. La loro lingua ha il suono di un animale che soffia e cinguetta.

"Però…" Nia fece una pausa. "Hanno utensili e hanno una lingua. Non sono animali. E non sono neppure spiriti. Non credo che siano demoni. Sono persone assolutamente strane e sconosciute."

Angai fece il gesto che significava "questo è possibile".

— Fra queste persone gli uomini non sono solitari, ma vivono insieme alle donne.

— Aiya! - esclamò una donna. Altre gridarono: — Uh!

Angai fece il gesto che esigeva silenzio. — Continua.

— È per questo motivo che stanno aspettando. Sanno che noi abbiamo usanze diverse. Non vogliono far arrabbiare il Popolo del Ferro. Non vogliono mostrare mancanza di rispetto né essere disonesti.

— Ma vogliono venire nel villaggio — disse Angai.

Nia mi rivolse un’occhiata.

— Sì — dissi. — Loro… noi… abbiamo una difficoltà. Una controversia che non siamo in grado di appianare. Vogliamo il vostro consiglio, il consiglio del tuo popolo.

— Non c’è da stupirsi che bisticcino — saltò su a dire una donna. — Uomini e donne insieme! Che perversione!

Un’altra donna aggiunse: — Salvo che nel periodo dell’accoppiamento.

— I cornacurve si accoppiano in autunno — disse Angai. — E ci sono animali che hanno due o tre figliate in un’estate. Siete così? È questo il vostro periodo dell’accoppiamento?

Esitai.

Nia disse: — Ho osservato con attenzione queste persone e le ho ascoltate. È mia opinione che siano sempre pronte ad accoppiarsi.

Dal pubblico si levò un’altra serie di esclamazioni. Angai fece il gesto che esigeva silenzio. Restammo tutti in attesa. Lei aggrottò la fronte. — Sei sicura che queste siano persone, Nia?

— Sei tu la sciamana. Questa ti sembra uno spirito? Un demonio? O uno spettro?

Angai mi toccò il braccio. — È solida. Siamo in pieno giorno. Non può essere uno spettro.

— E se fosse un demonio? — chiese una delle donne del villaggio. — Loro sono solidi. Possono uscire alla luce del sole.

Angai mi fissò. — Ho visto demoni nei miei sogni. I loro occhi ardono come fuoco. Le loro mani e i loro piedi hanno lunghi artigli ricurvi. Per il resto sono simili alle persone. Non ho mai sentito parlare di un demonio senza pelo. — Fece una pausa. — Sei sicura che non siano spiriti, Nia?

— Gli spiriti hanno molti travestimenti — disse Nia. — Perfino una donna esperta può non riuscire a scoprirli. Ma ho viaggiato con queste persone per tre cicli della grande luna. Non hanno mai cambiato forma. Non hanno mai cambiato dimensioni. Mangiano. Dormono. Producono sterco e urina. Il loro sterco e la loro urina sono comuni, sebbene non emanino esattamente lo stesso odore dei nostri. Anche quando sono adirati, anche quando sembrano essere in pericolo, non fanno niente di spiritico.

Angai fece un gesto che non conoscevo. — Non sono animali. Non sono spiriti. Non sono spettri né demoni. Dunque devono essere persone. Ci hanno chiesto aiuto. È mia opinione che dovremmo aiutarli. Hanno chiesto di venire nel nostro villaggio. È mia opinione che dovremmo dar loro il permesso.

Una donna parlò ad alta voce, ma non nel linguaggio dei doni.

Angai alzò una mano. — Loro non sono come noi. Non possiamo giudicarli nello stesso modo in cui giudichiamo noi stessi.

Parecchie donne parlarono nella lingua tribale. Mi voltai a guardare la folla.

Il sole ormai era basso. Raggi di luce, quasi orizzontali, risplendevano fra le tende, illuminando lo spiazzo, la vegetazione e le persone: robuste matrone, vecchie curve, ragazze flessuose, numerosi bambini. Le donne adulte sbraitavano e gesticolavano. I loro gioielli scintillavano.

Conoscevo la maggior parte dei gesti. "Sì." "No." "Hai torto o sei pazza." "Siamo d’accordo." "L’accordo è assolutamente impossibile."

Tornai a guardare Angai. Lei osservava e ascoltava, il volto inespressivo.

— Che cosa sta succedendo? — domandai a Nia.

— Alcune di loro sono d’accordo con Angai. Altre no. Grideranno tutte finché non si saranno stancate.

Mi voltai a guardare la folla. La discussione proseguì. I bambini, quelli più grandicelli, se ne andarono alla chetichella, evidentemente annoiati. I bambini più piccoli incominciarono a piangere. Le loro madri li presero in braccio, li abbracciarono e li cullarono.

Le altre donne continuarono la discussione, ma con meno impeto a questo punto. Le voci si erano fatte più sommesse, i gesti meno ampi.

La luce abbandonò gradualmente lo spiazo. Solo le sommità delle tende erano illuminate, e le punte delle insegne di metallo. L’oro, l’argento e il bronzo luccicavano contro il cielo, che era limpido e di un intenso verdeazzurro.

Alla fine regnò il silenzio rotto solo dal piagnucolio dei neonati e dalle voci acute e chiare di un gruppetto di bambini che avevano dato inizio a un nuovo gioco.

— Hai! Hai! Ah-tsa-hai!

Le donne guardavano Angai, che parlò con voce alta e ferma.

Le donne risposero con gesti di dubbiosa approvazione.

Angai mi guardò. — La giornata è quasi finita. È una cattiva idea incominciare qualcosa di importante al buio. Pertanto, ti chiedo di fare ritorno presso le vostre barche. Torna domattina con tutti. Tutta la tua gente. Ascolteremo il vostro problema.

Feci il gesto della gratitudine e mi alzai in piedi.

— Tu, Nia. — Angai guardò la mia compagna. — Va’ con la persona senza pelo. La gente qui ti conosce da troppo tempo. Dimenticherà che ora sei una straniera e non ti tratterà con la cortesia dovuta a una viaggiatrice.

Nia fece il gesto dell’assenso.

Hua disse: — Voglio andare con loro.

Angai si accigliò.

— No — ribatté Nia. — Non voglio che la gente dica che sei uguale a me.

— Nia ha ragione — dichiarò Angai. Guardò la figlia adottiva. — Domani vedrai le persone senza pelo. Questa notte resterai qui.

Hua fece il gesto della riluttante acquiescenza. La folla si divise. Nia e io vi passammo in mezzo.

— Aiya! - esclamò Nia. — Che giornata!

Scendemmo lungo la scogliera. Le luci sulla prima imbarcazione erano state accese. Tenui e regolari, illuminavano il ponte scoperto sulla parte posteriore della barca. L’oracolo se ne stava seduto lì, rosicchiando la zampa anteriore di un bipede. Alzò lo sguardo quando salimmo a bordo. — Che cosa è successo? Ti sei procurata del cibo?

— No — rispose Nia.

— È meglio che ti sbrighi. È finito tutto a parte questa e il cibo della gente di Lixia.

— Non mi hai lasciato niente?

— Credevo che avresti mangiato al villaggio.

— Aiya!

Lui le porse l’osso.