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— Se l’onestà non funziona, potremo sempre tentare con una menzogna — intervenne una donna.

La moderatrice disse: — Per favore.

Le persone continuavano a parlare. Non dicevano niente di nuovo e nessuno tornò alla domanda fatta dalla donna indiana, né per rispondervi né per riproporla. Non stiamo parlando di un soggiorno permanente. Non è vero?

La riunione terminò. Saltai giù dal banco del bar. Harrison mi raggiunse e mi abbracciò.

— Dove sei stato?

— Su uno degli aerei. Eddie mi sta tenendo occupato, a inviare rapporti alla nave.

Dovevo aver assunto un’aria dubbiosa o forse ferita.

— Ha detto che avevi qualche problema a riadattarti al campo. Che avevi bisogno di stare da sola un po’ di tempo.

— Può darsi.

Le persone se ne stavano andando, portando via le sedie. Gustavo riprese il suo posto dietro il banco. I suoi occhi erano verdi e splendenti. Disse: — Sto riaprendo. Posso servirvi qualcosa?

Harrison e io ordinammo del vino.

Eddie disse: — Fa’ attenzione con quella roba. Vogliamo partire presto domattina.

— Quando? — chiesi.

— All’alba.

— Starò attenta. Sei sicuro di volere che sia io a esporre le ragioni del non intervento? Se non potrai farlo tu, voglio dire?

— Tu conosci le ragioni. Sai come parlare con i nativi. Credi nella democrazia. — Sorrise. — Forse più di me. Se i nativi dovranno prendere una decisione basata su informazioni, dovranno sapere quello che ho da dire. Tu farai in modo che ricevano l’informazione.

— Immagino di sì.

Esitò per un momento. — Come direbbe Derek, dobbiamo imparare a trattare con le persone come sono. Se non possiamo corromperle, dobbiamo trovare un modo di servirci della loro onestà.

— Stai parlando alla prima persona plurale, Eddie. È sempre un sintomo pericoloso.

— Hai ragione. — Fece il gesto del commiato.

Harrison restò a osservarlo allontanarsi, poi chiese: — Che cos’è questa faccenda?

— Eddie ha qualche problema ad affrontare l’attuale situazione.

Harrison annuì. — Se non mette un po’ d’ordine in se stesso, credo che dovremo trovare un altro coordinatore per il team.

— Basta con la politica! Dimmi che cosa sta succedendo sulla nave. I pettegolezzi. Non la lotta fra fazioni.

Lo fece. Io finii il mio vino.

Gustavo disse: — Nel mio ruolo di barista dovrei offrirvene un altro. Ma sono anche uno psicoterapista, e non vi serve altro alcol.

— Lo sei davvero?

— Certo. La mia area di competenza è la psicofarmacologia. — Prese il mio bicchiere, poi asciugò il cerchio di umidità dal banco. — Non devi preoccuparti. Ho fatto un corso per baristi. Sono in grado di mischiare quasi qualsiasi cosa ti venga in mente di bere.

Harrison sorrise. — E poi spiegarti che tipo di danno ti farà.

Gustavo annuì. Prese il bicchiere di Harrison. — All’alba, Lixia. Forse vorrai fare i bagagli questa sera.

Aveva ragione. Harrison e io lasciammo il salone. Fuori l’aria era fresca e umida e le nuvole sopra le scogliere del fiume si erano sparpagliate. Ora coprivano un terzo del cielo.

— Tempo diverso — osservò Harrison. — Ti invidio. Io devo tornare all’aeroplano.

— Davvero?

Fece cenno di sì col capo. — Eddie vuole che mi occupi delle comunicazioni fra voi e la nave, il che significa che sarò intrappolato laggiù. — Fece un cenno della mano in direzione del lago. — Non mi dispiace realmente. C’è il più bel giovanotto della squadra delle telecomunicazioni. L’hanno disgelato di recente. I suoi occhi sono come il cielo d’estate e i suoi capelli come il grano in autunno.

— Mmm — dissi.

Harrison mi rivolse un’occhiata e sorrise. — Suvvia, Lixia, lo sai che non mi innamoro di nessuno da molto, molto tempo. Da prima che ci addormentassimo. Credo che possa essere un effetto secondario dell’ibernazione. Gli orsi sono amorosi non appena si risvegliano?

— Non ne ho la più vaga idea. Ma certe persone lo sono. Ricordi com’era Derek quando stavamo entrando in questo sistema?

Harrison rise. — Forse le persone si riprendono dall’ibernazione a ritmi diversi. Forse alcuni orsi sono amorosi non appena si risvegliano. — Fece una pausa. — È meglio che mi informi quando parte l’ultima barca. Se la perdo, dovrò farla a nuoto.

Ci salutammo. Andai alla cupola degli approvvigionamenti e presi una borsa, poi tornai nella mia stanza e feci i bagagli.

Non dormii bene. Nei miei sogni il pianeta si mescolava con la nave. Camminavo lungo un corridoio fatto di cermet e ceramica. C’erano dei nativi lì che si aggiravano fra gli umani a bordo della nave. Voltai un angolo e mi trovai in un giardino. Un enorme quadrupede mangiava piante di lattuga. Mi osservò tranquillo con un minuscolo occhio scuro. Il brutto-cattivo scappava su un pavimento di mattonelle gialle. Sentii il ticchettio delle sue unghie.

Voltai un altro angolo. C’era un accampamento indigeno al centro di una sala per riunioni in ceramica. Da un fuoco saliva del fumo. Una donna indigena era china sopra una pentola di metallo. Un bambino indigeno giocava con un gatto. Era un comunissimo gatto terrestre, un gatto domestico dal pelo corto, poco più che un cucciolo. Il suo pelo era a macchie bianche e nere. La pelliccia del bambino era bruna.

Derek mi svegliò. Lo fissai, pensando al gatto. Marina aveva ragione. Dovevamo allevarne qualcuno.

— Sorgi e risplendi — disse Derek.

— Stavo facendo dei sogni maledettamente strani.

— Hai ricevuto troppe informazioni e stai cercando di elaborarle.

Mi alzai e andai in bagno.

Facemmo colazione nella sala da pranzo. Era deserta se si escludevano le persone che dovevano risalire il fiume e Pace-con-giustizia. Lui ci consigliò uova alla benedict.

— Le uova ti fanno venire il colesterolo, il prosciutto danneggia il tuo karma e la salsa contiene abbastanza calorie da…

— Abbiamo iniziato a uccidere i maiali?

Lui annuì. Provai un senso di disgusto. Erano una speciale razza in miniatura, prodotta in origine per le ricerche di laboratorio. Erano vivaci, puliti, ben educati e assai graziosi. Potevo mangiare i polli. Potevo mangiare le iguane. Ma non ero sicura per quanto riguardava i maiali.

— Sai che cosa ti dico? — fece Pace-con-giustizia. — Ti preparo un piatto senza prosciutto. Dalla tua espressione capisco che sei disposta a recarti danno solo in questa vita. Così… eccoti. — Mi porse un piatto. — Colesterolo e calorie, ma niente karma negativo.

— Grazie — dissi.

Mangiai. Sorse il sole. Il paesaggio all’esterno della cupola divenne visibile.

— È ora di andare — disse la Ivanova.

Tracannai la mia seconda tazza di caffè. Pace-con-giustizia disse: — Arrivederci. — Ci dirigemmo verso le barche.

Nia e l’oracolo erano già lì, ritti sulla banchina, e apparivano a disagio. Nia aveva un arco e mezza dozzina di frecce con penne di un grigio chiaro. Il colore mi ricordava il bipede di Marina, quello che non voleva mangiare.

— Cinque persone su ogni barca — disse la Ivanova. — Ho riflettuto su come dividerci. I nativi dovrebbero stare insieme. Lixia andrà con loro. E anche Agopian e Tatiana. Gli altri di noi prenderanno l’altra barca.

Eddie si accigliò.

— Stai mettendo tutti i politici sulla stessa barca — osservò Derek. — Sarà una cosa saggia?

— Ci daremo fastidio a vicenda — replicò la Ivanova. — Ma gli altri saranno al sicuro.

— Per me va bene — dissi.

— Anche per me — disse il signor Fang. Con lui c’era la sua apprendista. - Probabilmente sarà una sofferenza per la povera Yunqi. Lei non ha alcun interesse per la politica.

La giovane donna arrossì e annuì col capo.

— Ma è un bene per i giovani fare esperienza delle avversità.

Salii sull’imbarcazione e riposi la mia borsa, poi uscii sul ponte. La Ivanova aveva già avviato il motore. Agopian stava mollando gli ormeggi per lei. I due nativi se ne stavano sulla banchina e osservavano. Sembravano interessati e nervosi.