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Nia disse:

"Ora, finalmente,

c’è abbastanza spazio.

"Aiya!

C’è spazio!

"La mia persona interiore

può raddrizzarsi.

"La mia persona interiore

può espandersi."

Alla nostra sinistra, in lontananza, c’era un villaggio di tende e di carri. Il fumo saliva da molti fuochi. Oltre il villaggio, a nord e a ovest, la pianura era costellata di animali. Cornacurve. I margini della mandria. O questi erano semplicemente gli animali domestici?

— Muoviamoci — disse Nia. — Voglio che questo incontro finisca alla svelta.

C’erano bambini che giocavano ai margini del villaggio: una dozzina circa. Alcuni portavano gonnellini, altri erano nudi, fatta eccezione per alcuni ornamenti di diverso genere: cinture fatte di cuoio e ottone, braccialetti di rame, collane di perline dai vivaci colori.

I bambini erano organizzati in due file, che si fronteggiavano. Fra le file c’erano due bambini con in mano un bastone. I bambini delle file lanciavano avanti e indietro una palla; i bambini con i bastoni cercavano di buttarla giù.

Riuscii a capire solo questo prima che i bambini ci vedessero. Uno gridò. Altri due fuggirono. Gli altri si voltarono a fissarci.

Nia disse: — Questa persona ha un aspetto strano, ma è più o meno normale. Ce ne sono altre come lei più sotto, lungo il fiume. Sono venute in visita. Hanno bei doni e storie interessanti.

— Uh! — esclamò uno dei ragazzini. Non riuscii a capire se fosse un maschio o una femmina. Era alto e snello, con la pelliccia color castano dorato e un gonnellino giallo, ricamato con filo blu scuro. Il bambino, o bambina che fosse, portava un paio di braccialetti d’argento, uno per polso, e teneva in mano un bastone. — Sei sicura che non siano demoni?

— Ho viaggiato con questa persona per tutto il tragitto dalla foresta orientale. Non ha mai fatto niente che fosse minimamente demoniaco. È una buona amica.

— Uh! — ripeté quello. — È meglio che veniate con me. La mia madre adottiva è la sciamana.

— Come ti chiami? — chiese Nia.

— Hua.

— Io sono Nia.

La bambina — perché ora sapevo che era una femmina — si era voltata, pronta a guidarci. Ora si girò di nuovo, osservando Nia con i grandi e limpidi occhi gialli.

— Come sta tuo fratello? — s’informò Nia.

— Si sta facendo difficile. Angai dice che si sta avvicinando il cambiamento.

Nia aggrottò la fronte. — Non è troppo giovane?

— Avverrà presto. Ma non tanto presto. Sei stata lontana per molto tempo.

— Questo è vero — disse Nia.

La bambina ci condusse nel villaggio. Le tende ai margini erano piccole e molto distanti fra loro. Non vidi nessuno lì attorno.

— Che cosa sono? — chiesi.

Nia rispose. — Appartengono agli uomini. Quelli vecchi, che sono tornati nel villaggio.

— Non vedo nessuno. Dove sono?

— A caccia. O forse seduti dove nessuno li vede. Gli uomini alzano le loro tende in modo che l’entrata guardi verso la pianura. Se sono in casa, saranno… — Fece un ampio gesto circolare.

— Che cos’ha che non va questa persona? — domandò Hua. — Non sa niente?

— Non molto — rispose Nia.

Quando ci addentrammo di più nel villaggio, vidi che le tende erano più grandi e più vicine fra loro. Erano fatte di cuoio steso su una serie di pali. Ogni tenda aveva da sei a otto punte. Sebbene fossero spaziose, non erano particolarmente alte; somigliavano più a una catena montuosa che a un tipì.

I lembi erano aperti, sorretti da pali in modo da formare dei ripari che facevano ombra alle entrate. C’erano donne sedute sotto questi ripari, e bambini che giocavano nelle strade.

Le donne gridavano verso di noi in una lingua che non capivo. Hua rispondeva nella stessa lingua. Le donne si alzarono, abbandonando il loro lavoro. Radunarono i bambini e ci seguirono. Ben presto ci trovammo alla testa di una processione.

— Che cosa succede? — chiesi.

— Si stanno informando su di noi. Hua sta dicendo loro di venire ad ascoltare mentre Angai scopre che cosa sei.

— Oh.

Nia aggiunse: — Non mi piace essere seguita.

Feci il gesto dell’approvazione.

Appariva evidente che il villaggio si trovava da poco tempo in quel luogo. Fra le tende e sotto i carri crescevano piante e sbocciavano fiori. Gli insetti saltellavano e ronzavano. Un cornacurve legato mangiava le foglie di un arbusto in mezzo a quella che sembrava essere la strada principale.

Passammo accanto all’animale. Quello smise di mangiare e ci guardò, poi alzò la coda e defecò.

Un altro segno che il villaggio era recente. Avevo visto pochissimi rifiuti e sterco.

Osservai i carri. Erano dappertutto, sparpagliati fra le tende. Avevano una struttura principale rettangolare fatta di legno e la copertura curva fatta di cuoio steso su un’intelaiatura di legno. I lati erano intagliati in modo elaborato. La parte superiore era decorata con strisce di stoffa dai vivaci colori che pendevano sul davanti e sul retro, formando tende di nastri che ondeggiavano al vento: rossi, gialli, azzurri, verdi, arancione. Ogni carro aveva quattro ruote, tenute insieme con ferro. I raggi erano intagliati e dipinti.

Attraversammo uno spazio aperto, pieno di altre piante. Hua si fermò di fronte a una tenda. Era grande e c’erano pali tutt’attorno: insegne. Una rappresentava un albero di metallo, pieno di uccelli d’oro e d’argento. Dai rami inferiori pendevano campanelle che si muovevano al vento e suonavano.

— Quella la conosco — disse Nia. — L’ho fatta io. — Si guardò le mani. — È da troppo tempo che viaggio. Ho bisogno di avere di nuovo degli utensili.

Le altre insegne erano animali fatti di bronzo o di ottone: un cornacurve, un assassino-delle-pianure, un bipede.

— Le altre le ha fatte la mia madre di nome — disse Hua. — Sono molto vecchie.

La maestra di Nia. Adesso me ne ricordavo. — L’hai conosciuta? — domandai alla ragazzina.

Hua assunse un’aria scandalizzata. — No! Mai! Come puoi fare una domanda simile? Che cosa intendi dire con questo?

— Questa persona viene da molto lontano — spiegò Nia. — La prima volta che l’ho incontrata, non conosceva il linguaggio che stiamo parlando. A volte penso che non lo conosca ancora. Non preoccuparti troppo delle cose che dice.

Hua fece il gesto del tacito consenso, ma sembrava preoccupata.

Una donna uscì dalla tenda. Era alta e magra e indossava una veste lunga color arancione. Il suo pelame era di un bruno scuro screziato di grigio, anche se non mi sembrò che fosse vecchia. Aveva indosso almeno una dozzina di collane fatte in oro, argento e ambra. Braccialetti le coprivano le braccia dal polso al gomito. Come le collane, erano una mescolanza di oro, argento rame e avorio. Ce n’erano perfino un paio di legno intagliato. Aveva una borchia d’oro nel fianco del naso basso, piatto e peloso.

Ci osservò, poi si rivolse a Nia. — Non riesci mai a comportarti in modo accettabile? Perché sei tornata qui? E dove hai scovato una persona come quella?

— Questa è la mia madre adottiva — spiegò Hua.

— Il suo nome è Angai — disse Nia. Fece un cenno della mano nella mia direzione. — Questa persona si chiama Li-sa. L’ho incontrata nell’est, nel villaggio del Popolo del Rame della Foresta. Era là che vivevo.

— Questa non è una Persona del Rame — ribatté Angai.

Nia fece il gesto dell’assenso. — Non so da dove venga. Da molto, molto lontano, mi ha detto. Ma l’ho incontrata nel villaggio del Popolo del Rame, nella casa della loro sciamana, Nahusai.

Alle mie spalle la gente mormorò. Un neonato si mise a piangere.

— Ci sono altre persone senza pelo a valle del villaggio su due imbarcazioni. Chiedono il permesso di venire quassù.

Angai si accigliò — Che cosa hai raccontato loro di noi, Nia? Hai mentito? Noi accogliamo sempre gli ospiti! Non c’è ragione perché aspettino giù a valle. — Fece una pausa. — A meno che non siano ammalati. È questo che è successo al loro pelo?