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— Ci ha portato anche dei vestiti — disse Nia.

— Ho visto che aspetto aveva mia madre. Trasandato! E straniero! Non capisco proprio che cosa stia succedendo. E voi chi siete, in ogni caso? Perché avete bisogno dell’aiuto della nostra sciamana?

Aprii la bocca per spiegare. Il ragazzo sollevò una mano.

— Ma so che Nia c’entra qualcosa e mi sembra che dovrebbe essere vestita con abiti decenti.

— Quanti anni hai? — gli chiesi.

— Tredici. Tutti dicono che sono cresciuto in fretta. Non so se sia una buona cosa. La gente si aspetta che lasci presto il villaggio. Credo che non mi dispiaccia.

— Non deve dispiacerti — disse Nia. — Tuo padre si è messo nei pasticci perché non voleva lasciare il villaggio.

— Ne ho sentito parlare. — Il ragazzo s’interruppe e volse il capo, poi saltò giù dal parapetto.

Ci fu un movimento fra il fogliame. Eddie salì sull’imbarcazione. — Buongiorno, Lixia. — Rivolse un’occhiata al ragazzo. — Il figlio di Nia?

Feci il gesto dell’affermazione.

— Presentami.

Lo feci.

Il ragazzo lo scrutò dalla testa ai piedi. — Questo è un uomo?

— Sì.

— È un uomo grande e grosso — commentò il ragazzo.

Eddie indossava jeans, una camicia color turchese e un gilè ricoperto di guarnizioni di perline. Il gilè era Anishinabe: un disegno ben delineato di fiori dai vivaci colori. Le perline erano minuscole, di vetro. Luccicavano alla luce del primo mattino. I capelli erano legati in due trecce. La fibbia della cintura era in oro e turchese. Naturalmente era un uomo grande e grosso. Feci il gesto dell’affermazione.

— C’è la probabilità che affronti qualcuno? — s’informò il ragazzo.

— No.

Il ragazzo fece il gesto che significava "bene".

Nia si alzò. — Non l’hai sentito dire al villaggio? Queste persone non sono come nessun altro popolo.

— L’ho sentito dire — rispose il ragazzo.

Agopian si sporse dall’uscio della cabina. — La colazione è pronta.

— Questo è un altro maschio — disse Nia.

— Sei veramente sicura che non si affronteranno? — chiese il ragazzo.

— Sì.

— Uh!

L’oracolo alzò lo sguardo. — Quello piccolo non recederà e non fuggirà, benché sia evidente che non potrebbe tenere testa a Eddie.

— Noi dobbiamo mangiare — dissi nel linguaggio dei doni.

L’oracolo fece il gesto che significava "andate".

Eddie e io entrammo nella cabina. Sul tavolo c’era già un piatto di panini, tostati e imburrati. Derek stava appoggiando un piatto di uova strapazzate. Tatiana uscì dalla cambusa portando una caffettiera piena.

— La Ivanova rimane sull’altra barca — disse Eddie. — Credo che stia cercando di guadagnare punti con i cinesi mangiando la loro colazione.

— Mai anteporre la politica alla digestione — osservò Agopian. Si sedette e allungò la mano per prendere un panino.

Mangiammo in silenzio, consapevoli, credo, della presenza degli alieni all’esterno. Le loro voci ci giungevano attraverso la porta aperta, basse e tranquille, mentre parlavano la lingua della loro tribù.

Tatiana sparecchiò la tavola. Eddie lavò i piatti e io li asciugai. Arrivò la Ivanova e parlò con Tatiana in russo. Guardai fuori dalla cambusa. Era evidente che discutevano, parlando in tono sommeso e attento, entrambe accigliate. Agopian ascoltava e non diceva niente.

Finimmo con i piatti.

La Ivanova disse: — Ci sono stati rumori nel bosco. Voci. Ho visto un paio di bambini fra gli alberi, che ci osservavano e non facevano niente. Ma non credo che sarebbe una buona idea lasciare le barche incustodite.

— Io devo rimanere — disse Tatiana. — E anche Yunqi. Voi altri dovete andare tutti al villaggio. Ho fatto un viaggio così lungo e adesso mi tocca fare il cane da guardia mentre a poche centinaia di metri di distanza si fa la storia.

— Potrebbe rimanere Agopian — suggerii.

Agopian disse: — Non ti perdonerò mai questa osservazione.

La Ivanova scosse il capo. — Lui è uno storico. Voglio che venga con noi.

Uscii sul ponte e guardai verso l’alto. Il cielo era sereno se si escludeva un gruppetto di nuvole. Avevano la forma di squame ed erano disposte in tante file.

— Nuvole a pelle di lucertola — disse Nia. Si alzò in piedi, poi si chinò e mise un coperchio sulla pentola dello stufato. L’impugnatura era fatta a forma di bipede, un carnivoro, chino e impegnato a mangiare un altro bipede che giaceva morto, un rilievo sul coperchio ricurvo.

Il ragazzo era sparito.

Feci il gesto della domanda.

— Gli ho detto che dovremmo essere presto al villaggio. È andato avanti.

La Ivanova uscì. — È meglio che andiamo.

La seguii sulla riva. I nativi mi vennero dietro. Il signor Fang era sulla pista, appoggiato a un bastone da passeggio. Gli altri ci raggiunsero: Agopian, Eddie, Derek, che si era cambiato. Adesso era vestito completamente di bianco: jeans aderenti e una camicia ampia e sottile. Le maniche erano a pieghe sciolte. Le spalle erano ricoperte di ricami, bianco su bianco.

— Dove te la sei procurata? — gli chiesi. — Non al reparto approvvigionamento.

— Un baratto.

Le sue scarpe erano di tela bianca assai riflettente, guarnite di cuoio bianco. Scintillavano e balenavano perfino nell’ombra della foresta.

— Mmm! — esclamò Eddie.

Salimmo su per la scogliera. Nia ci precedette nel villaggio. Era deserto. Il vento sollevava polvere e la spingeva attorno a noi. Le campanelle sulle insegne metalliche tintinnavano.

Agopian disse: — Dove sono tutti quanti?

Derek fece il gesto che significava che non lo sapeva.

Arrivammo nello spazio aperto: la piazza del villaggio. Era piena di persone: donne e bambini, tutti elegantemente vestiti. Ovunque guardassi, vedevo vivaci colori, ricami, gioielli.

Una donna gridò. Tutti si voltarono a guardarci.

— Aiya! - disse l’oracolo. — Devo andare lì in mezzo?

— Puoi tornare indietro — gli rispose Derek.

— No. Il mio spirito mi ha ordinato di restare con voi.

La folla si divise. Vi passammo in mezzo. L’oracolo teneva il capo chino e non guardò nessuno finché non arrivammo di fronte ad Angai.

Lei era ritta davanti alla propria tenda, sotto il lembo che fungeva da riparo. C’erano tanti di quei ricami sulla sua veste che non riuscivo a distinguere il colore del tessuto sottostante.

I suoi gioielli erano meno solenni: una borchia d’oro nel naso e una collana che sembrava dover appartenere a una ragazza. Ogni maglia era un piccolissimo e delicato uccello d’argento. Non certo la cosa adatta a una sciamana di mezza età, abbigliata per un importante evento sociale.

— Sedetevi. — Parlò con voce alta in modo che tutti potessero sentire. — Riferitemi il vostro problema. Il villaggio ascolterà. Faremo quello che potremo.

C’erano coperte distese sotto il riparo. Angai fece un gesto e noi ci sedemmo.

Le abitanti del villaggio si avvicinarono. Le vecchie erano le più vicine. Si sedettero per terra. Dietro di loro c’erano le matrone. Non riuscivo a vedere le ragazze o i bambini. Ma sentivo le voci dei bambini, voci acute che gridavano: — Tsa! Tsa! Tsa!

Angai disse: — Cominciate.

Mi presentai, poi presentai gli altri umani.

— Di che sesso sono? — domandò Angai.

Glielo dissi.

— Quattro uomini — dichiarò Angai. — Uno di loro sembra vecchio. È esatto?

Feci il gesto dell’affermazione.

— Ma gli altri tre?

— Non sono né vecchi né giovani.

— Due di loro — guardò di sfuggita Derek ed Eddie — hanno l’aspetto di uomini notevoli. Il modo in cui si vestono è notevole, così come il loro portamento.

— Sì.

— Ma sono capaci di stare seduti fianco a fianco, e anche accanto a donne e a un paio di uomini piccoli, senza fare nulla.

— Sì.

— Nia ha ragione. La tua gente è molto diversa. — Guardò l’oracolo. — Li-sa non mi ha detto il tuo nome. Chi sei e perché viaggi con la gente senza pelo? Perché sei venuto in questo villaggio? Sei un pervertito?