Dopodiché Peter si diresse verso la porta, con Susan che gli teneva una mano sulla spalla. Edmund aveva la mano sulla spalla di Susan e Lucy su quella di Edmund; in una lunga fila seguivano i Telmarini, il primo dei quali si era attaccato a Lucy con la mano. Raggiunta la soglia accadde qualcosa che è difficile descrivere, perché sembrò loro di vedere tre cose contemporaneamente. Una era l’antro di una caverna che si affacciava sul verde splendente e l’azzurro profondo di un’isola nel Pacifico: era l’isola in cui i discendenti di Telmar si sarebbero trovati dopo aver attraversato la porta. La seconda era la radura di Narnia, le facce dei nani e degli animali, gli occhi profondi di Aslan e le chiazze bianche sulle guance del tasso. Ma la terza visione, che cancellò rapidamente le altre due, era il selciato freddo e grigio di una stazione di campagna, una panchina con intorno i bagagli e quattro ragazzi seduti su di essa, come se non si fossero mai mossi. Certo, al momento del passaggio fra quel mondo e questo la stazione era sembrata banale e un po’ triste, ma a ben guardare aveva un suo fascino, con quel buon odore di stazione familiare, il cielo d’Inghilterra e la fine dell’estate che li aspettava.
— Bene — esclamò Peter. — È stato bello, ragazzi.
— Accidenti — piagnucolò Edmund. — Ho dimenticato a Narnia la mia torcia nuova.