Aslan non aveva ancora finito di parlare che la coda, nuova fiammante, era al suo posto. Poi, a un cenno di Aslan, Peter ordinò Caspian cavaliere dell’Ordine del Leone, e il principe, non appena avuta l’onorificenza, nominò Tartufello, Briscola e Ripicì cavalieri a loro volta. Poi fu la volta del dottor Cornelius, che venne nominato Lord Cancelliere, mentre agli orsi giganti spettò il titolo di Guardalinee Ufficiali. Tutti furono salutati da un applauso fragoroso.
In seguito i soldati di Miraz vennero scortati attraverso il guado, in fila e controllati a vista ma senza essere spinti o picchiati. Furono momentaneamente rinchiusi nelle prigioni di Beruna e ricevettero carne e birra. Mentre attraversavano il fiume fecero un gran baccano perché avevano un terrore indicibile dell’acqua corrente, e lo stesso per il bosco e gli animali. Finalmente, risolta ogni seccatura, iniziò la parte più bella di quel lungo giorno.
Lucy, che se ne stava comodamente seduta accanto ad Aslan, si chiese cosa facessero gli alberi. All’inizio, visto che ondeggiavano in due cerchi — un gruppo da destra a sinistra e l’altro da sinistra a destra — pensò che ballassero. Poi si accorse che al centro di ogni cerchio c’era qualcosa, lunghe ciocche di capelli tagliate e gettate a terra dagli alberi. Oppure pezzetti di dita… Ma la seconda ipotesi non era molto realistica, perché avrebbero dovuto avere una quantità di dita di ricambio e non sembrava che provassero dolore a staccarle. Qualunque cosa gettassero a terra, a contatto con il suolo si trasformava in sterpaglia o legna da ardere. Arrivarono tre o quattro Nani Rossi con le scatole dell’acciarino e l’esca, e appiccarono il fuoco alla catasta: all’inizio scricchiolò, poi prese fuoco e cominciò a crepitare. Pareva un falò di quelli che si fanno per pulire il bosco nelle notti d’estate. A quel punto, tutti sedettero intorno al grande fuoco.
Bacco, Sileno e le menadi si lanciarono in una danza ancora più sfrenata di quella degli alberi. Non sembrava una semplice danza per divertirsi e stare in allegria, ma un rituale magico; dove i ballerini toccavano con le mani e poggiavano i piedi, comparivano squisite leccornie da mangiare: pezzi di carne arrostita che spargevano per il bosco un profumino stuzzicante, torte d’avena e di cereali, miele e canditi a volontà, crema solida e compatta, morbida come l’acqua cheta, e ancora pesche, nettarine, pomarance, pere, uva, fragole, mirtilli, piramidi di frutta.
L’uva comparve in enormi coppe di legno, nelle tazze e nei boccali avvolti dall’edera: bei grappoli scuri e densi come sciroppo di more, bei grappoli rossi come gelatine rosse quando si sciolgono, e ancora grappoli gialli e verdi, giallo-verdi e verde-gialli.
Agli alberi vennero offerte vivande diverse. Quando Lucy vide Scavazolletta e le sue talpe che affondavano nell’erba un po’ qua e un po’ là (nei luoghi che Bacco aveva indicato), si rese conto che gli alberi mangiavano terra e per poco non le prese un colpo. Ma quando diede un’occhiata alle zolle che venivano loro offerte, trasse un respiro di sollievo. Era una bella terra marrone che somigliava alla cioccolata. Proprio per questo Edmund volle assaggiarne un pezzetto, ma non la trovò di suo gusto.
Quando si furono sfamati con la terra ricca e fertile, gli alberi assaggiarono un terriccio simile a quello che si può trovare nella campagna inglese, nella regione del Somerset, e che ha un colore vagamente rosato. Secondo gli alberi, era la terra più dolce e delicata. Al posto del formaggio venne offerto loro del suolo calcareo. Come dessert, una delicata mousse della più fine delle ghiaie con sabbia setacciata color argento. Di vino non ne bevvero granché, ma quel poco diede alla testa agli agrifogli, che improvvisamente si fecero ciarlieri e chiacchieroni. La maggior parte degli alberi placò la sete con poderose sorsate di pioggia mista a rugiada, aromatizzata con i fiori della foresta e un gusto leggero di nube sopraffina.
Così Aslan banchettò in compagnia dei Narniani fino a notte fonda, quando il sole già da tempo era andato a dormire e le stelle brillavano in cielo. Il gran falò, pieno di legna ardente, aveva adesso un crepitio più leggero, e brillava come un faro nelle tenebre della foresta. Gli uomini di Miraz potevano vederlo in lontananza e, terrorizzati, si chiedevano che cosa fosse. La cosa più piacevole consisté nel fatto che nessuno aveva deciso che fosse arrivata l’ora di salutare e andarsene, ma non appena la quiete scese sulla foresta, una dopo l’altra le creature cominciarono a salutarsi con un cenno della testa e caddero addormentate con i piedi rivolti al fuoco, fino a che il silenzio scese intorno al cerchio e si sentì solo lo scrosciare dell’acqua sulle pietre, al guado di Beruna.
Per tutta la notte Aslan e la luna si guardarono con occhi dolci e sognanti.
Il giorno successivo numerosi messaggeri, soprattutto scoiattoli e uccellini, furono inviati nella regione perché diffondessero un proclama indirizzato a tutti i discendenti di Telmar che vivevano in Narnia, compresi, naturalmente, quelli prigionieri a Beruna.
Nel proclama si diceva che Caspian era diventato re e che da allora in poi Narnia sarebbe appartenuta di diritto agli animali parlanti, ai nani, alle driadi, ai fauni, alle creature in genere e, naturalmente, agli uomini. Chi voleva restare, doveva accettare questo dato di fatto.
A quelli che non erano d’accordo, Aslan avrebbe trovato un’altra patria. Coloro che avessero deciso per la seconda soluzione, avrebbero dovuto recarsi al cospetto di Aslan e dei re, al guado di Beruna, a mezzogiorno del quinto giorno a partire dalla lettura del proclama.
Che rompicapo per i discendenti di Telmar! Alcuni di loro, soprattutto i più giovani che, come Caspian, avevano sentito parlare degli antichi giorni di Narnia, furono felici di essere tornati ai vecchi tempi e anzi avevano già familiarizzato con le creature: per questo decisero di rimanere a Narnia.
Ma gli uomini, soprattutto quelli che sotto Miraz avevano rivestito cariche importanti, non se la sentivano di vivere in una terra in cui non avrebbero contato più nulla. — Vìvere in compagnia di un branco di animali da circo? Non se ne parla nemmeno — dissero. — E poi ci sono i fantasmi — aggiunsero altri, scrollando le spalle. — Guardate le driadi. Sono spiriti, ecco la verità. No, non mi piace per nulla. — Qualcuno era più sospettoso e si lasciò sfuggire espressioni del tipo: — Non c’è da fidarsi di un leone pericoloso. Vedrete, non passerà molto che ci ridurrà a brandelli. — Ma quando fu offerta loro una nuova patria, si mostrarono sospettosi anche di quella. — Ci porterà nella sua tana e ci mangerà tutti, uno a uno — brontolarono. E più parlottavano fra loro, più sospettosi diventavano.
Comunque, nel giorno fatidico dell’appuntamento si presentarono in molti.
In fondo alla radura Aslan aveva fatto sistemare due pezzi di legno a una distanza di circa tre metri l’uno dall’altro, più in alto della testa di un uomo. Un bastone più leggero era stato sistemato sopra gli altri due, in posizione orizzontale, inquadrando una specie di porta che conduceva chissà dove.
Aslan era di fronte a essa, Peter alla sua destra e Caspian alla sinistra. Intorno a loro c’erano Susan e Lucy, Tartufello e Briscola, lord Cornelius, il centauro, Ripicì e tutti gli altri.
I ragazzi e i nani avevano fatto un’incursione nel guardaroba reale, in quello che era stato il castello di Miraz (ora passato a Caspian per diritto), e risplendevano, forse eccessivamente, in abiti di seta e d’oro, con le maniche aperte che lasciavano intravedere il candido lino, cotte di maglia d’argento, foderi tempestati di gioielli, elmi e cappelli piumati.
Anche gli animali portavano preziose catene intorno al collo, ma nessuno aveva occhi per quello splendore regale. I vecchi abitanti di Narnia stavano ai margini della radura, chi da una parte e chi dall’altra. In fondo c’erano i discendenti di Telmar.