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Le grida e il clamore delle armi furono coperti dal fragore degli alberi che si erano appena svegliati. Una volta raggiunte le file dell’esercito di Peter, si sarebbero dati all’inseguimento degli uomini di Miraz; pareva di essere nel mare in burrasca. Vi è mai capitato di stare sulla cima di una collina, in una sera d’autunno, con il bosco sotto di voi e un vento formidabile che spira da sud in tutta la sua forza? Provate a immaginare il sibilo del vento e la foresta che, invece di rimanere ben piantata, comincia a muoversi: non una foresta popolata d’alberi, ma di uomini e donne giganteschi vagamente simili ad alberi, le cui braccia lunghissime ondeggiano come rami e le cui teste spargono una pioggia di foglie al più piccolo movimento. Ecco lo spettacolo cui si trovarono di fronte i Telmarini, e bisogna ammettere che anche gli abitanti di Narnia provarono un brivido di paura. In pochi secondi gli uomini di Miraz puntarono a rotta di collo verso il Grande Fiume, nella speranza di attraversare il ponte che conduceva alla città di Beruna: in questo modo sarebbero riusciti a difendersi dietro i bastioni e i portoni chiusi. Raggiunsero il fiume, ma ahimè non c’era più il ponte, visto che era scomparso il giorno prima. Una gran paura si impossessò di loro e furono circondati.

Che fine aveva fatto il ponte?

Quella mattina, di buon’ora, Lucy e Susan si erano svegliate dopo un breve sonno e avevano visto Aslan chino su di loro. Il leone aveva detto: — Stamani ci prenderemo una bella vacanza. — Si erano stropicciate gli occhi e avevano dato un’occhiata intorno. Gli alberi non c’erano più, ma una gran massa nera muoveva verso la Casa di Aslan. Bacco e le menadi, sue formidabili compagne e creature un po’ pazze, erano ancora nei paraggi e così il vecchio Sileno. Lucy, che si sentiva bene e riposata, scattò in piedi; tutti erano svegli e ridevano, suonavano il flauto o anche il cembalo. Gli animali (non quelli parlanti) si erano raccolti intorno alle altre creature, provenienti da ogni direzione.

— Che succede, Aslan? — chiese Lucy, con gli occhi che scrutavano di qua e di là e i piedi frementi dalla voglia di ballare.

— Venite, bambine — rispose Aslan. — Salitemi in groppa, per oggi.

— È fantastico — disse Lucy con un gridolino, e le ragazze si arrampicarono sulla schiena dorata come avevano già fatto molti anni prima. Poi l’allegra compagnia si mise in marcia: Aslan in testa seguito da Bacco e dalle menadi che saltavano, sgambettavano e facevano piroette; gli animali facevano le capriole e Sileno chiudeva la fila in groppa all’asino.

Piegarono a destra, giù per un’erta scoscesa, e si trovarono di fronte al ponte di Beruna. Prima che avessero il tempo di attraversarlo, dalle acque emerse una testa bagnata e barbuta, molto più grande di quella di un uomo e con una corona di giunchi. La testa guardò fisso Aslan, poi si rivolse al leone con voce cavernosa e profonda.

— Salve, signore. Liberami dalle catene.

— E quello chi è? — mormorò Susan.

— Credo che sia il dio del fiume, ma fa’ silenzio — rispose Lucy.

— Bacco — ordinò Aslan — liberalo dalle catene.

"Aslan allude al ponte, ne sono sicura" pensò Lucy. Aveva ragione: Bacco e il suo seguito si tuffarono nelle acque profonde del fiume, e un minuto più tardi avvenne una delle cose più stupefacenti che si fossero mai viste. Grossi fusti d’edera si attorcigliarono intorno alle banchine del ponte e crebbero a vista d’occhio, come fuoco che avvampa in un secondo; i viticci avvolsero le pietre e le spaccarono, separandole l’una dall’altra. Le pareti del ponte si trasformarono per un momento in siepi di biancospino, poi scomparvero insieme alla struttura di legno, che fu inghiottita dalle acque vorticose con un gran fragore. Fra schiamazzi, grida e risate Bacco e compagni nuotavano e ballavano attraverso il guado. (- Urrà, ora è di nuovo il guado di Beruna! — gridavano le ragazze). Alla fine si spinsero sull’altra riva ed entrarono in città.

Davanti a facce tanto singolari, la gente nelle strade se la dava a gambe. Il corteo si fermò davanti a una scuola, il convitto femminile che ospitava tante bambine di Narnia. Le alunne avevano i capelli raccolti severamente, sfoggiavano orribili colletti inamidati e spesse calze. In quel momento si teneva la lezione di storia, ma quel che insegnavano a Narnia sotto re Miraz era più noioso della storia più vera che abbiate mai letto e meno autentico del più entusiasmante racconto di avventure.

— Guendalina, se non stai attenta e non la smetti di guardare fuori dalla finestra — disse la maestra — mi costringerai a darti un brutto voto.

— Ma signorina Pizzichi… — balbettò Guendalina.

— Hai sentito quello che ho detto? — chiese la signorina Pizzichi.

— Signorina, il fatto è che… là fuori c’è un leone.

— Eccoti un bel due per questa stupidaggine — rispose la maestra. — E ora… — Un ruggito la interruppe. L’edera s’insinuò e coprì le finestre della classe, le pareti divennero una massa di verde dai mille riflessi e al posto del soffitto comparvero rami pieni di foglie, come una cupola. La signorina Pizzichi si trovò in un bel prato, una rada nel bosco. Tentò di reggersi alla cattedra, ma scoprì che si era tramutata in un cespuglio di rose e che dappertutto sciamavano creature selvatiche, come non ne aveva mai viste. Poi scorse il leone, urlò e se la diede a gambe come una lepre, seguita dalla classe che era composta da ragazzine grassottelle e dalle gambe grosse. Solo Guendalina ebbe un attimo di esitazione.

— Vuoi rimanere con noi, tesoro? — le chiese Aslan.

— Posso davvero? Grazie, grazie — rispose Guendalina. Strinse la mano a due menadi che ballavano intorno a lei e che la aiutarono a spogliarsi degli orribili vestiti che indossava, così poco confortevoli.

Ovunque andassero nella piccola città di Beruna, la scena era la stessa. La maggior parte degli abitanti fuggiva a gambe levate, altri si univano a loro. Quando si lasciarono Beruna alle spalle, erano una compagnia allegra e numerosa.

Attraversarono i prati in riva al fiume, sull’argine nord, e a ogni fattoria che incontravano gli animali li salutavano e si univano a loro. Poveri vecchi asini che non avevano mai conosciuto la gioia si fecero a un tratto giovani e baldanzosi, i cani incatenati spezzarono le catene, i cavalli ridussero a pezzi i carri che erano costretti a trascinare e trotterellando si unirono alla comitiva, calpestando il fango con gran nitriti.

In un cortile accanto a un pozzo incontrarono un uomo che picchiava un bambino. Il bastone nelle mani di quel crudele si tramutò in un fiore, il braccio si trasformò in un ramo, il corpo in un tronco d’albero e i piedi in radici. Il ragazzo, che fino a quel momento aveva pianto a dirotto, scoppiò in una fragorosa risata e si unì al gruppo.

In una piccola città a metà strada dalla Diga dei Castori, dove due fiumi confluivano, l’allegra compagnia raggiunse una scuola in cui una ragazza dall’aria stanca spiegava una lezione di matematica a un gruppo di ragazzi che sembravano tanti bei maialini. La ragazza guardò dalla finestra e vide il gruppo allegro e festoso che cantava nelle strade. A quella vista una gran gioia le invase il cuore; Aslan si fermò sotto la finestra e la guardò.

— Non insistere, ti prego. Mi piacerebbe tanto venire con voi, ma non posso. Devo andare avanti con il lavoro, e poi se i ragazzi vi vedessero si spaventerebbero — lamentò.

— Perché dovremmo spaventarci? — chiesero in coro i ragazzi-maialini. — Con chi parla la maestra? Chi c’è fuori della finestra? Diremo al preside che la signorina si intrattiene con estranei durante le ore di lezione.

— Andiamo a vedere di che si tratta — suggerì un bambino, e tutti si ammassarono intorno alla finestra. Appena quelle belle facce tonde fecero capolino, Bacco gridò: — Euan, euoi-oi-oi-oi - e i ragazzi corsero a nascondersi, terrorizzati, calpestandosi nel tentativo di raggiungere la porta. Alcuni saltarono addirittura dalla finestra. In seguito si raccontò (sarà la verità?) che quei ragazzini così particolari non furono più trovati, ma in compenso comparvero dei bei maialini, speciali anche loro, che dovevano appartenere a una razza nuova.