— Sembra di tornare indietro nel tempo — esclamò Lucy. — Di essere a Cair Paravel… La sala somiglia in tutto e per tutto a quella dove ci riunivamo per i banchetti.
— Con la differenza che non c’è traccia di banchetto, purtroppo — intervenne Edmund. — Si fa tardi, ragazzi. Stanno calando le ombre della sera e non fa più molto caldo.
— Dobbiamo accendere un fuoco, se abbiamo intenzione di passare la notte qui — suggerì Peter. — Ecco, io ho i fiammiferi. Andiamo a vedere se è possibile procurarci legna da ardere, nei dintorni.
Tutti presero alla lettera le parole di Peter, e per la mezz’ora che seguì furono molto impegnati. Purtroppo il frutteto racchiuso tra le rovine non era il luogo ideale per trovare legna da ardere, e attraverso una porticina che si trovava nella sala centrale i quattro si trasferirono sul lato opposto del castello. Era un varco piuttosto stretto in un dedalo di aperture e pertugi scavati nella pietra: un tempo erano serviti come stanze più piccole o corridoi e adesso erano coperti da rose selvatiche e ortiche. Dietro la porticina, una breccia nelle mura portava in una foresta di alberi più grandi e fitti degli altri. Finalmente i ragazzi trovarono quel che cercavano: rami spezzati, legna da ardere, foglie secche e tante pigne. Cominciò una serie di viaggi per portare indietro la legna, fino a che non ne ebbero ammucchiata un bel po’ sulla predella.
Al quinto viaggio scoprirono il pozzo, nascosto dietro un mucchio di erbacce appena fuori dalla sala. Lo ripulirono e videro che l’acqua era profonda, limpida e fresca, mentre il pozzo era circondato da un pavimento di pietra. Le due ragazze andarono a cogliere altre mele, mentre i fratelli pensavano al fuoco. Decisero di accenderlo sulla predella, vicino all’angolo fra le due pareti, perché erano certi che fosse il posto più caldo e riparato. Accendere il fuoco fu un’impresa bella e buona e sprecarono un mucchio di fiammiferi, ma alla fine ci riuscirono. Finalmente si trovarono tutti e quattro davanti al falò, con la schiena appoggiata al muro. Provarono ad arrostire le mele bucandole all’estremità con dei bastoncini di legno, ma scoprirono ben presto che le mele arrosto senza zucchero non sono un granché. Inoltre, quando le togli dal fuoco scottano talmente che non puoi prenderle con le dita, e quando finalmente puoi toccarle sono troppo fredde per essere mangiate. Così i quattro fratelli si accontentarono delle mele crude che, come precisò Edmund, quasi ti facevano rimpiangere la mensa della scuola.
— Mi farei volentieri una bella fetta di pane e burro — aggiunse Edmund. Ma ormai lo spirito dell’avventura si era impossessato di loro e nessuno dei ragazzi aveva la minima intenzione di tornare a scuola.
Quando ebbero spolverato anche l’ultima mela, Susan andò al pozzo ad attingere dell’acqua da bere. Tornò tenendo qualcosa fra le mani.
— Guardate — disse con voce soffocata. — L’ho trovato vicino al pozzo. — Porse l’oggetto a Peter e sedette. Gli altri la fissarono, certi che da un momento all’altro si sarebbe messa a piangere o a strillare. Pieni di curiosità, Edmund e Lucy si chinarono per vedere quello che Peter aveva fra le mani. Era una cosa piccola, luminosa, e risplendeva alla luce del fuoco.
— Io… non so… sono sorpreso… — farfugliò Peter, con voce tremante. Quindi porse l’oggetto agli altri.
Ora tutti potevano vedere di cosa si trattasse: il cavallo di una scacchiera, delle giuste dimensioni ma straordinariamente pesante perché era d’oro puro. Al posto degli occhi aveva due piccoli rubini, o meglio uno perché l’altro era saltato via.
— Incredibile — esclamò Lucy. — È uguale al cavallo d’oro che usavamo per giocare a scacchi quando eravamo re e regine di Cair Paravel.
— Andiamo, Lucy, non ti agitare — disse Peter rivolto alla sorella.
— Scusatemi, non posso farci niente. Io… mi sembra di tornare a quel periodo meraviglioso. Giocavo a scacchi con fauni e giganti buoni, mentre le sirene cantavano e il mio magnifico cavallo…
— Adesso basta, ragazzi. È arrivato il momento di usare il cervello — sentenziò Peter cambiando tono di voce.
— Cosa vuoi dire? — chiese Edmund.
— Non avete ancora capito dove ci troviamo? — aggiunse Peter.
— Avanti, sputa il rospo. Appena arrivati ho sentito che in questo luogo si cela qualcosa di meraviglioso e misterioso al tempo stesso.
— Peter, siamo tutti orecchi.
— Siamo tra le rovine di Cair Paravel — disse Peter infine.
— Ma… — replicò Edmund. — Come puoi dire una cosa simile? È un posto abbandonato da secoli: guarda gli alberi immensi che si sono abbarbicati ai cancelli. Guarda le pietre: chiunque vedrebbe che nessuno vive più qui da centinaia d’anni.
— Lo so, è difficile credere a quello che ho appena detto. Ma cerchiamo di astrarci, almeno per un momento. Vorrei analizzare la faccenda punto per punto, insieme a voi. Punto primo: questa sala ha la stessa forma e misura della sala grande a Cair Paravel. Provate a immaginarla con un tetto, un pavimento colorato invece dell’erba che la ricopre e la tappezzeria alle pareti. Ecco a voi la gran sala dei banchetti reali.
Nessuno ebbe il coraggio di intervenire.
— Punto secondo — proseguì Peter. — Il pozzo del castello si trova nella stessa posizione del pozzo di Cair Paravel, leggermente a sud rispetto alla grande sala. E ha la stessa forma e grandezza di quello che ben conosciamo.
Nessuno ebbe il coraggio di ribattere.
— Terzo punto. Non ricordate? Avvenne il giorno prima che arrivassero gli ambasciatori del re di Calormen… Avevamo piantato un frutteto davanti alla porta Nord di Cair Paravel, giusto? La più importante e potente delle divinità del bosco, Pomona, venne a offrire i suoi auspici. Furono le talpe a creare l’attuale drenaggio: come non ricordare il buon vecchio Lily Zampa di Velluto, il loro capo, che trascinava la spada dicendo: «Credetemi, Vostra Maestà, un giorno sarete orgoglioso di questi alberi da frutto»? Incredibile, aveva proprio ragione.
— Sì, adesso ricordo — esclamò Lucy, battendo le mani.
— Ma dai un’occhiata intorno, Peter — insisté Edmund. — Non vedi che è andato tutto in malora? E poi non avevamo piantato gli alberi contro il cancello, non saremmo mai stati così avventati.
— Certo — rispose Peter. — Ma è chiaro che sono cresciuti spontaneamente.
— E vorrei anche farti notare che Cair Paravel non era un’isola.
— Lo so, in effetti ci ho pensato a lungo. Cair Paravel era, come si dice, una penisola, dunque qualcosa di molto simile a un’isola. Forse, dai nostri tempi a oggi, si è trasformata definitivamente. Magari qualcuno ha scavato un canale…
— Ehi, un momento — ribatté Edmund. — Hai appena detto "dai nostri tempi". Dimentichi che siamo rientrati da Narnia un anno fa? Vorresti farmi credere che in un anno il castello sia crollato, inghiottito dalla foresta, e gli alberelli da frutto che avevamo piantato siano diventati un frutteto secolare, o Dio sa che altro? No, è impossibile.
— Aspettate un momento — intervenne Lucy. — Se qui siamo veramente a Cair Paravel, deve esserci una porta alla fine della predella. Mi ricordo che ci mettevamo con la schiena appoggiata contro, vi torna? Era la stessa che immetteva nella stanza del tesoro.
— Oh, secondo me qui non c’è nessuna porta — disse Peter.
La parete dietro di loro era ricoperta da una pianta d’edera gigantesca.
— Lo scopriremo subito — rispose Edmund, afferrando uno dei pezzi di legno che avevano preparato per il fuoco. Con il legno cominciò a battere la parete soffocata dall’edera, ma il bastone suonava a vuoto: tap tap, fino a che, inaspettatamente, si sentì un più cupo bum bum. Un effetto diverso, sordo, come se sotto ci fosse del legno.
— Buon Dio — esclamò Edmund.
— Avanti, dobbiamo estirpare quest’edera — li incitò Peter.
— Consiglierei di lasciar perdere, per stasera — intervenne Susan. — Possiamo sempre provarci domani mattina. Se dobbiamo passare la notte qui, non voglio avere una porta aperta alle mie spalle, un grosso buco nero dal quale può uscire di tutto, umidità e correnti d’aria a parte. E poi, sta calando la notte.