Il dottore mise nelle mani di Caspian qualcosa che il principe riuscì a malapena a vedere. Al tatto capì che si trattava di un corno.
— Questo — spiegò il dottor Cornelius — è il più prezioso e il più sacro tesoro di Narnia. Quanta paura, quanto terrore ho dovuto sopportare! Quante parole magiche ho dovuto pronunciare… Ma alla fine sono riuscito a trovarlo, ed ero ancora giovane. È il corno magico della regina Susan, che lo perse quando scomparve da Narnia alla fine dell’età dell’oro. La leggenda dice che chiunque soffi nel corno riceverà un aiuto inatteso e straordinario. Nessuno sa quanto straordinario: forse il corno avrà il potere di richiamare dal passato la regina Lucy e re Edmund, la stessa Susan e Peter, il re dei re. Se è così, una volta fra noi faranno in modo che tutto torni a posto. O magari comparirà Aslan in persona… In ogni caso prendete questo corno, re Caspian, e usatelo solo in caso di straordinaria necessità. Adesso via, veloce come il vento. La porticina in fondo alla torre, quella che conduce al giardino, è aperta. Qui noi ci separiamo.
— Posso portare Destriero, il mio cavallo?
— È già stato sellato e vi aspetta all’angolo del frutteto.
Durante la discesa della scala a chiocciola Cornelius sussurrò all’orecchio del principe altre parole che volevano essere consigli e rassicurazioni sulla strada da seguire. Caspian era triste e il suo cuore sanguinava, ma cercò di farsi coraggio. Lo accolse l’aria fresca del giardino; dopo una calorosa stretta di mano con il dottore, una rapida corsa attraverso il prato e l’affettuoso saluto di Destriero, Caspian Decimo lasciò il castello dei suoi padri. Si voltò indietro per l’ultima volta e vide i fuochi d’artificio che solcavano il cielo per festeggiare la nascita del nuovo principe.
Per tutta la notte Caspian cavalcò verso sud inoltrandosi nei sentieri appartati e seminascosti della foresta, almeno fino a quando si trovò nel territorio che conosceva meglio; in seguito cavalcò sulla strada maestra. Destriero era eccitato quanto il suo padrone per il viaggio insolito e imprevisto. Il ragazzo, i cui occhi si erano riempiti di lacrime al momento di separarsi dal dottor Cornelius, adesso si sentiva forte e coraggioso. In un certo senso era felice di essere un re che andava in cerca di fantastiche avventure in groppa al fido destriero, con la spada a sinistra e il corno della regina Susan a destra. Poi venne il giorno: pioveva, e il principe, che aveva davanti a sé foreste mai conosciute prima, picchi selvaggi e montagne azzurre, pensò che il mondo fosse davvero immenso e strano. In tanta immensità si sentì piccolo ed ebbe paura.
Quando fu giorno pieno, Caspian lasciò la strada maestra e si soffermò in una verde radura al limitare della foresta, per poter riposare un poco. Tolse le briglie a Destriero e lo lasciò pascolare, poi mangiò un po’ di pollo freddo, bevve un sorso di vino e cadde addormentato. Si svegliò che era pomeriggio inoltrato. Assaggiò qualcosa e proseguì nel viaggio, sempre in direzione sud, scegliendo strade secondarie e poco frequentate. Adesso si trovava nella regione delle colline e non faceva che cavalcare su e giù: anzi, a dire il vero, sempre più su che giù. Da ogni crinale vedeva le montagne ingrandire e farsi più nere, e quando stava per calare la sera si trovò sulle pendici dei monti. Si era alzato il vento e presto cominciò a scrosciare la pioggia; Destriero era nervoso, forse perché i tuoni rimbombavano ovunque. A un tratto entrarono in una buia foresta di pini che sembrava non aver fine: Caspian, che ricordava i racconti sentiti a corte sugli alberi nemici dell’uomo, non riusciva a pensare ad altro. Si disse che in definitiva lui era un discendente degli abitanti di Telmar, e che il suo popolo aveva distrutto gli alberi e combattuto contro le creature selvatiche; purtroppo, benché fosse diverso da quelli della sua razza, gli alberi non potevano saperlo.
E così fu. Dopo il vento fu la tempesta, e la foresta ululava e stormiva tutt’intorno. Improvvisamente sentirono uno schianto assordante: un albero era caduto sul sentiero, un attimo dopo il loro passaggio.
— Buono, Destriero, buono — lo tranquillizzò Caspian, carezzando il collo del cavallo. Ma anche lui tremava per la paura, sapendo bene di essere vivo per miracolo. Guizzò un lampo, seguito dal fragore di un tuono che parve spaccare il cielo in due parti.
Destriero galoppava come una freccia, e sebbene Caspian fosse un bravo cavaliere non riusciva a farlo rallentare. Continuò a stare in sella, ma durante la folle corsa che seguì si rese conto che un’oscura minaccia gravava sulla sua vita. A mano a mano che gli alberi sfilavano intorno a loro, la minaccia si faceva più vicina; poi, senza che Caspian potesse rendersene conto, qualcosa lo colpì alla testa. Da quel momento fu tutto buio.
Quando rinvenne, il giovane capì di essere disteso in un ambiente illuminato dalla luce del fuoco, con un terribile mal di testa e ferite alle gambe. Vicino a lui parlavano sottovoce.
— Prima che si svegli — sussurrò qualcuno — dobbiamo decidere cosa vogliamo farne, di questo.
— Uccidiamolo — propose un altro. — Potrebbe sempre tradirci, deve morire.
— Avremmo dovuto ucciderlo subito o lasciarlo dov’era — intervenne una terza voce. — Ormai non possiamo farlo. Come si fa a eliminare qualcuno dopo averlo raccolto e medicato le ferite? Sarebbe come assassinare un ospite.
— Signori — disse Caspian con voce debole — fate di me quello che volete, ma vi prego, siate generosi con il mio cavallo.
— Il tuo cavallo ha preso il volo molto prima che ti trovassimo — rispose la prima voce. Aveva un timbro stranamente rauco e cavernoso, notò Caspian.
— Ehi, adesso non lasciamoci incantare dalle belle parole — replicò la seconda voce. — Io rimango dell’idea che…
— Per tutte le corna e gli halibut — esclamò la terza voce — non lo uccideremo! Nemmeno per sogno, capito? Dovresti vergognarti, Nikabrik. Cosa hai detto, Tartufello? Che ne facciamo di questo?
— Intanto diamogli da bere — rispose la prima voce, quasi sicuramente Tartufello. Una sagoma scura si avvicinò al giaciglio. Caspian sentì un braccio che lo sorreggeva gentilmente, ammesso che fosse un braccio. La sagoma, in effetti, aveva contorni strani e la faccia china su di lui lo era altrettanto. A Caspian parve che fosse troppo pelosa e il naso decisamente troppo lungo; inoltre, sulle guance c’erano macchie bianche qua e là.
"Sembra una maschera" pensò Caspian. "O più semplicemente ho la febbre e questo è frutto della mia immaginazione." Qualcuno gli bagnò le labbra con un liquido caldo e dolce, mentre un altro attizzava il fuoco. La stanza fu inondata da un vivido bagliore e a Caspian per poco non prese un colpo quando la luce gli rivelò le sembianze dell’essere che lo fissava. Non era la faccia di un uomo, ma di un tasso. Certo, del tasso più intelligente, aperto e simpatico che avesse mai visto, ma questo non cambiava la sostanza delle cose: perché il tasso aveva parlato, Caspian ne era sicuro.
Si rese conto di essere steso su un giaciglio di erica, dentro una caverna. Vicino al fuoco sedevano due uomini con la barba, ed erano talmente piccoli, pelosi e dall’aspetto selvatico — anche rispetto al dottor Cornelius — che Caspian capì immediatamente di trovarsi di fronte a veri nani, quelli di una volta, senza una goccia di sangue umano nelle vene. Così seppe di aver trovato gli antichi abitanti di Narnia. Intanto, la testa cominciò a girargli di nuovo.
Nei giorni che seguirono, il principe imparò a chiamare per nome le strane creature. Il tasso si chiamava Tartufello ed era il più vecchio e gentile dei tre. Il nano che voleva uccidere Caspian era un nano nero (nel senso che aveva capelli e barba neri, spessi e duri come la criniera di un cavallo) e si chiamava Nikabrik. L’altro era un nano rosso, con i capelli che somigliavano al pelo della volpe e si chiamava Briscola.