Mentre procedevano nel cammino, il letto del Rapido si fece sempre più scosceso e il viaggio si trasformò in una scalata in piena regola. In alcuni punti dovettero scalare una roccia così liscia e sdrucciolevole, che a cadervi sarebbero finiti in un baratro buio in fondo al quale le correnti tuonavano minacciose. Potete star certi che i cinque non toglievano gli occhi dalle pendici sulla sinistra, nella speranza di trovare il posto adatto a scalarle. Ma niente, le rocce sembravano inaccessibili. C’era da diventare pazzi… sapevano che, procedendo su quel lato e una volta fuori della gola, sarebbe rimasto solo un dolce pendio: un breve tratto prima del quartier generale di Caspian.
Ai ragazzi e al nano era venuta voglia di accendere un bel fuoco per cuocere la carne dell’orso. Susan era contraria perché voleva proseguire, lasciarsi alle spalle quell’orrenda foresta e raggiungere il campo. Dal canto suo, Lucy era troppo stanca per esprimere qualsiasi opinione. Ma dal momento che nei dintorni non c’era legna asciutta per il fuoco, i loro desideri contavano ben poco. A questo punto i ragazzi cominciarono a chiedersi se la carne cruda sia cattiva come dicono, ma Briscola confermò quell’opinione.
Naturalmente, se i ragazzi avessero intrapreso un viaggio simile pochi giorni prima, quando si trovavano ancora in Inghilterra, non ce l’avrebbero fatta e la fatica li avrebbe sfiniti. Come ho accennato, però, l’aria di Narnia li aveva resi diversi: prendiamo ad esempio Lucy. Per un terzo sapeva di essere una ragazzina che per la prima volta andava in collegio, e per due terzi si sentiva la regina Lucy di Narnia.
— Finalmente — esclamò Susan.
— Urrà! — gridò Peter.
C’era una grande curva, e dopo la curva, verso il basso, un panorama meraviglioso. L’aperta campagna si spingeva alla linea dell’orizzonte, e fra il gruppetto e l’orizzonte, come un enorme nastro d’argento, scorreva il Grande Fiume. Arrivarono in vista di quelli che un tempo erano i guadi di Beruna, molto estesi e dalle acque poco profonde. Adesso erano attraversati da un ponte con molte arcate, e in lontananza si scorgeva addirittura una piccola città.
— Accidenti — esclamò Edmund. — Combattemmo la battaglia di Beruna proprio dove adesso sorge quella città.
Questo colpì i ragazzi più di ogni altra cosa, e del resto è comprensibile: se hai davanti il luogo dove sei uscito vittorioso da una grande battaglia e hai conquistato un regno, non puoi che sentirti forte e invincibile. Peter e Edmund erano così impegnati a discutere dell’antica battaglia di Beruna da non accorgersi dei piedi bagnati e da non avvertire neppure il peso della cotta di maglia. Del resto, anche il nano era interessato alla loro conversazione.
Ripresero a camminare a passo svelto, anche perché la strada era sempre più facile e tranquilla. Infatti, anche se a sinistra c’erano ancora delle falesie, a destra il terreno era meno scosceso e ben presto la gola si trasformò in una valle. Di cascate non ce n’erano più e si trovarono di nuovo nel bosco fitto.
Fu allora che sentirono un sibilo, whizz, seguito dal ticchettio di un picchio. Per un attimo i ragazzi si chiesero dove avessero già sentito un fischio del genere (erano passati secoli) e perché lo trovassero così fastidioso, quando Briscola gridò: — Giù! — Poi afferrò Lucy, che era accanto a lui, la costrinse ad acquattarsi in mezzo alle frasche. Peter, che si guardava intorno alla ricerca di uno scoiattolo, aveva osservato la scena e capito di cosa si trattasse. Una lunga freccia assassina si era conficcata nel tronco di un albero, poco sopra la sua testa. Riuscì ad afferrare Susan, a farla abbassare e a imitarla, mentre un’altra terribile freccia sibilava sulle sue spalle, conficcandosi nel terreno accanto a lui.
— Presto, indietro. Fate in fretta, accidenti — gridò Briscola.
Tornarono indietro, in direzione della collina, e sgusciarono fra i cespugli, in mezzo a un nugolo di orribili insetti. Piovvero altre frecce, sibilando pericolosamente. Una colpì l’elmo di Susan con un suono acuto, poi cadde sul terreno. I membri del gruppetto si chinarono e cominciarono a correre, madidi di sudore e sempre curvi. I ragazzi tenevano la spada in mano, per paura di inciamparvi.
Correre sulla collina e rifare la strada che avevano appena percorso fu un’impresa faticosa ed estenuante. Quando capirono che non ce l’avrebbero più fatta — pur essendo questione di vita o di morte — si lasciarono cadere sul muschio bagnato, vicino a una cascatella protetta da un masso enorme; erano distrutti dalla fatica e furono sorpresi quando si resero conto di aver risalito gran parte della collina.
Tutto taceva, e nonostante tenessero ben dritte le orecchie, non sentirono alcun rumore che facesse pensare a un inseguimento.
— Pfui, ce l’abbiamo fatta — sospirò Briscola. — Non hanno il coraggio di venire a cercarci nel bosco. Dovevano essere sentinelle, il che significa che Miraz ha un avamposto qui. Per mille palette, l’abbiamo scampata bella.
— Mi darei un colpo in testa, accidenti. Sono io che vi ho condotti qui — disse Peter.
— Al contrario, Maestà — replicò il nano. — Tanto per cominciare, non siete stato voi ma vostro fratello, Sua Altezza re Edmund. È lui che ci ha suggerito di passare per l’Acquacorrente.
— Credo che il P.C.A. abbia ragione — sospirò Edmund, che, da quando le cose avevano cominciato ad andare nella maniera sbagliata, aveva dimenticato questo piccolo particolare.
— Inoltre — proseguì Briscola — se avessimo seguito la via che avevo indicato io, saremmo finiti dritti tra le braccia del nemico. Nella migliore delle ipotesi, avremmo dovuto trovare il modo di evitare l’avamposto. Secondo me, non potevamo seguire altra via.
— Dunque non tutto il male viene per nuocere — sospirò Susan.
— Che male, però! — osservò Edmund.
— Adesso non ci rimane che risalire il pendio — propose Lucy.
— Sei davvero fantastica — le disse Peter. — Hai sprecato l’unica, grande occasione della giornata per dire: ve l’avevo detto! Avanti, ragazzi, in marcia.
— Non appena saremo nella foresta — proseguì Briscola — accenderò un bel fuoco e preparerò la cena, checché ne diciate. Ma dobbiamo andarcene da qui.
Inutile descrivervi il cammino faticoso che dovettero affrontare per risalire la gola. Si trattò di un’impresa quasi disperata, ma il morale delle truppe, per così dire, era alto. Percorrevano quella strada per la seconda volta e la parola "cena" aveva avuto un magnifico effetto.
Ben presto arrivarono in prossimità dell’abetaia che la volta precedente aveva procurato non poche difficoltà. Era ancora giorno, e decisero di bivaccare in una sorta di grotta al limitare del boschetto. Certo era faticoso raccogliere la legna da ardere, ma fu fantastico quando il fuoco cominciò a scoppiettare ed essi tirarono fuori i pacchetti unti e bisunti con la carne dell’orso (cosa che farebbe inorridire chi se ne è stato per tutto il giorno al calduccio, fra le pareti domestiche).
Bisogna riconoscere che il nano era davvero un gran cuoco. Le mele rimaste furono sbucciate e avvolte nelle braciole d’orso, come se invece di essere in crosta, vale a dire avvolte nella pasta, fossero in carne; l’unica differenza era che l’involucro aveva uno spessore maggiore. Il tutto fu infilzato su un bel bastone appuntito e messo al fuoco.
Dopo un po’ il succo delle mele cominciò a bagnare la carne, come nella ricetta del maiale arrosto. Gli orsi che hanno vissuto cibandosi a lungo di altri animali non hanno una carne eccezionale, ma quelli che si sono nutriti quasi esclusivamente di miele e frutta fresca hanno una carne squisita, e l’esemplare che avevano ucciso apparteneva alla seconda categoria.
Fu una cena fantastica: alla qualità del cibo si aggiungeva il fatto che in questo caso non si dovevano lavare i piatti. C’era soltanto da sdraiarsi, imbambolarsi davanti al fumo che usciva dalla pipa di Briscola, stendere le gambe e mettersi a chiacchierare amabilmente. Adesso tutti si sentivano più tranquilli, certi che l’indomani avrebbero trovato Caspian e sconfitto Miraz in pochi giorni. In una situazione disperata non aveva troppo senso sentirsi tranquilli, ma lo erano e caddero addormentati uno dopo l’altro.