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La compagnia lasciò dietro di sé la costa verde e boscosa, poi fu la volta delle piccole baie e promontori, mentre la barca andava su e giù nel mare calmo e gentile. Tutt’intorno la distesa d’acqua sembrava sconfinata: di un blu scuro in lontananza e un bel verde vicino alla barca, dove la corrente gorgogliava. Ogni cosa odorava di sale e c’era un gran silenzio, interrotto solo dallo sciabordare dell’acqua che si frangeva sul fianco della barca, dai remi che fendevano le onde e dallo scalmo, che di tanto in tanto sobbalzava. Il sole picchiava sempre più forte.

Per Susan e Lucy era piacevole stare in plancia. Ogni tanto si sporgevano con le mani protese verso il mare, ma non riuscivano a raggiungerlo. L’acqua era talmente limpida che si poteva distinguere il fondo, con la sabbia bianca interrotta di tanto in tanto da macchie di erba marina d’un colore violaceo.

— Proprio come ai vecchi tempi — esclamò Lucy. — Ricordate il viaggio a Terebinthia? E a Galma? Arrivammo fino alle Sette Isole e alle Isole Solitarie…

— Sì… e la nostra bella nave, la Splendida Hyaline, aveva la testa di un cigno scolpita sulla prua e ali da cigno intagliate che l’abbracciavano per quasi tutta la lunghezza.

— E le vele di seta? E le enormi lanterne a poppa?

— E le feste sul ponte con i musicanti?

— Ricordate quando i musicanti, che si erano sistemati sull’impalcatura dell’arsenale, cominciarono a suonare i flauti, regalandoci una musica che veniva dal cielo?

Dopo un po’ Susan prese il remo di Edmund e il fratello andò a riposare con Lucy. Avevano superato l’isola e si avvicinavano alla spiaggia opposta, deserta e boscosa. La ricordavano diversa, accarezzata da una brezza leggera, aperta e sempre affollata dagli amici più cari.

— Uff, che fatica — si lamentò Peter.

— Posso sostituirti per un po’? — chiese Lucy.

— I remi sono troppo grandi, per te — tagliò corto Peter. Non rispose così perché fosse nervoso e intrattabile, ma perché aveva bisogno di risparmiare fiato.

9

Quello che vide Lucy

Rimaneva da circumnavigare l’ultima insenatura: da lì, finalmente, avrebbero cominciato a risalire il fiume di Acquacorrente. Susan e i due ragazzi erano stanchi di remare e a Lucy doleva la testa: colpa delle lunghe ore sotto il sole cocente e del riflesso dell’acqua. Anche Briscola non vedeva l’ora che il viaggio finisse. Il posto in cui sedeva per guidare la barca era stato creato per gli uomini, non per i nani, con il risultato che i suoi piedi non toccavano il fondo. Immaginate quanto fosse scomodo!

A mano a mano che la stanchezza aumentava, il morale si abbassava. Fino a quel momento i ragazzi avevano avuto un pensiero fisso: come raggiungere Caspian. Adesso si chiedevano cosa avrebbero fatto una volta arrivati, e come un gruppo sparuto di nani e creature della foresta avrebbe sconfitto il grande esercito degli esseri umani.

Mentre solcavano le anse tortuose del fiume di Acquacorrente, calò il crepuscolo. La luce si fece più debole e il cielo più scuro, le sponde opposte si avvicinarono e gli alberi incombenti sulle due rive formarono una specie di cupola verde. Quando il rumore del mare morì dietro di loro, scese la quiete della notte; si sentiva il lento gorgoglio dei ruscelli che dalla foresta sfociavano nel corso dell’Acquacorrente. Finalmente raggiunsero la riva e si resero conto che era troppo tardi per accendere il fuoco. A quel punto (anche se i ragazzi giurarono che non avrebbero più voluto vedere una mela in vita loro), una magra cena a base di frutta sembrò la cosa più adatta: a quell’ora non si poteva andare a caccia o procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti. Quindi, dopo aver mangiato in silenzio le mele, si distesero su un tappeto di muschio e foglie morte in mezzo a quattro grossi faggi, e ammucchiati l’uno addosso all’altro caddero in un sonno profondo. Tutti tranne Lucy: la ragazza, infatti, non era stanca come gli altri e lì per terra si sentiva scomoda; e poi aveva ricordato che i nani russano. Lucy aveva sempre saputo che il modo migliore per addormentarsi consiste nel non pensarci e si comportò di conseguenza, cercando di tenere gli occhi aperti.

Attraverso i rami e le fronde vide un tratto del fiume e il cielo che rifletteva; poi, come se riandasse con la memoria nel passato, guardò le stelle lucenti di Narnia. Quanto tempo fa!

Una volta sapeva riconoscere le stelle, perché, come principessa di Narnia, non era costretta ad andare a letto presto come tutti i ragazzi in Inghilterra. Ecco le costellazioni estive. Sdraiata, riusciva a distinguerne almeno tre: la Nave, il Martello e il Leopardo. Il caro, vecchio Leopardo, sospirò fra sé.

Ma invece di addormentarsi, Lucy era sempre più sveglia. Per meglio dire, era sprofondata in una sorta di dormiveglia, come se sognasse a occhi aperti. Intanto l’acqua del fiume si era fatta più luminosa. Lucy sapeva che la luna splendeva su di essa, anche se non riusciva a vederla. Sembrava che la foresta si fosse a un tratto risvegliata, proprio come lei: spinta da una forza sconosciuta, Lucy si alzò e a passo svelto si allontanò dal bivacco. "Che meraviglia" pensò. L’aria era fresca e frizzante, pervasa da mille profumi. Poco lontano sentì un usignolo cantare, fermarsi e cominciare di nuovo. Lucy ebbe l’impressione che più avanti ci fosse una luce; si diresse verso di essa e arrivò in una radura con qualche albero intorno. Il resto era un susseguirsi di chiazze d’acqua grandi e piccole in cui si rifletteva la luna, ma siccome luna e ombre si mescolavano e intrecciavano fra loro, era difficile farsi un’idea precisa del luogo. In quel momento l’usignolo, che fino ad allora aveva fatto solo le prove, cominciò a cantare a pieni polmoni.

Gli occhi di Lucy si erano abituati alla luce magica e poteva distinguere chiaramente gli alberi più vicini. Una grande nostalgia dei giorni passati le riempì il cuore e con la mente tornò ai bei tempi in cui gli alberi parlavano. Ricordava perfettamente il modo di esprimersi di ognuno e la forma quasi umana che potevano assumere. Se solo fosse riuscita a svegliarli…

Si fermò sotto un’argentea betulla. Un tempo la voce dell’albero era stata dolce e delicata, e le sembianze ricordavano quelle di una ragazza alta e slanciata, con lunghi capelli che le incorniciavano il viso e innamorata della danza. Poi lo sguardo di Lucy si posò su una quercia: una volta era stata un vecchio con il volto buono e sincero, solcato di rughe e ornato da una bella barba ricciuta; la faccia e le mani erano coperte di protuberanze nodose, e sulle protuberanze crescevano peli. Lucy guardò di nuovo la betulla. Che magnificenza! Si trasformava in una dea bellissima, elegante e delicata signora dei boschi.

— Alberi, voi alberi… — invocò Lucy (che fino a un momento prima non aveva avuto alcuna intenzione di parlare). — Svegliatevi, svegliatevi! Non mi riconoscete? Che mi dite dei tempi passati? Oh driadi, e voi amadriadi, uscite, venite da me.

Anche se non tirava un alito di vento, le foglie degli alberi vibrarono e i fruscii sembrarono parole. L’usignolo smise di cinguettare, come se volesse ascoltare. Pareva che Lucy dovesse capire da un momento all’altro quello che gli alberi cercavano di dirle, ma il momento non venne e gli alberi tacquero. Fu allora che l’usignolo riprese a cantare e la foresta immersa nella luce lunare tornò quella di sempre. Lucy sentiva di aver tralasciato qualcosa d’importante, come quando vuoi ricordare un nome o una data, ce l’hai sulla punta della lingua e sul più bello scompare. Era come se si fosse rivolta agli alberi un secondo troppo presto o troppo tardi; come se avesse usato tutte le parole adatte tranne una, e avesse pronunciato la parola sbagliata. Improvvisamente avvertì una grande stanchezza. Tornò al bivacco, si stese accanto a Susan e a Peter e in pochi minuti si addormentò.