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«Questa è una camera massonica?» domandò Saro, distogliendo lo sguardo dal teschio e fissando Langdon.

Lui annuì. «Si chiama gabinetto di riflessione. È una camera pensata come un luogo freddo e austero in cui un massone possa meditare sulla propria mortalità. Pensando all’ineluttabilità della morte, il massone arriva ad avere una preziosa prospettiva sulla natura fugace della vita.»

Sato si guardò intorno in quell’ambiente misterioso. Non sembrava convinta. «Quindi, questa sarebbe una specie di stanza per la meditazione?»

«Sostanzialmente, sì. In queste camere sono sempre presenti gli stessi simboli: teschio e femori incrociati, falce, clessidra, zolfo, sale, carta bianca, una candela e altro. I simboli della morte inducono i massoni a riflettere su come vivere nel migliore dei modi su questa terra.»

«Sembra una specie dì reliquiario» osservò Anderson.

È proprio questo il punto. «La maggior parte dei miei studenti di simbologia all’inizio ha la stessa reazione.» Langdon assegnava spesso ai ragazzi il testo Symboles des Francsmaçons, un libro contenente fotografie che ben illustravano i gabinetti di riflessione.

«E i suoi studenti non trovano inquietante il fatto che i massoni meditino con teschi e falci?» chiese Sato.

«Non più inquietante del fatto che i cristiani preghino ai piedi di un uomo inchiodato a una croce, o che gli induisti intonino salmodie davanti a un elefante con quattro braccia di nome Ganesh. Fraintendere i simboli di una cultura è spesso alla radice del pregiudizio.»

Sato si voltò, evidentemente non nello spirito giusto per una conferenza, e si avviò verso il tavolo. Anderson cercò di rischiararle la via, ma il fascio luminoso stava cominciando ad affievolirsi. Allora provò a picchiare la base della torcia sulla palma della mano.

Mentre tutti e tre avanzavano nello spazio ristretto, l’odore pungente dello zolfo riempì le narici di Langdon. Il sotterraneo era umido, ed era proprio l’umidità dell’aria che faceva reagire lo zolfo sul piattino. Sato arrivò davanti al tavolo e abbassò lo sguardo sul teschio e sugli altri oggetti.

Anderson le andò accanto e fece del suo meglio per illuminare il piano con il raggio di luce, sempre più debole.

Dopo aver osservato, Sato si mise le mani sui fianchi e sospirò. «Cos’è tutta questa cianfrusaglia?»

Gli oggetti in quella stanzetta erano stati scelti e disposti con la massima cura, come Langdon ben sapeva. «Simboli di trasformazione» rispose, sentendosi sempre più oppresso mentre andava a raggiungere gli altri due davanti al tavolo. «Il teschio, o caput mortuum, rappresenta la trasformazione finale dell’uomo attraverso il decadimento; ci ricorda che tutti noi un giorno ci libereremo della nostra carne mortale. Zolfo e sale sono catalizzatori alchemici che facilitano la trasformazione. La clessidra rappresenta il potere di cambiamento del tempo.» Langdon indicò la candela spenta. «Mentre la candela rappresenta il fuoco primordiale e il risveglio dell’uomo dal sonno dell’ignoranza: la trasformazione attraverso l’illuminazione.»

«E… quella?» domandò Sato puntando un dito verso l’angolo.

Anderson spostò il raggio di luce sull’enorme falce appoggiata alla parete.

«Non è un simbolo di morte, come credono quasi tutti» rispose Langdon. «La falce in realtà è un simbolo del nutrimento offerto dalla natura: la mietitura dei suoi doni.»

Sato e Anderson rimasero in silenzio, quasi stessero cercando di assimilare l’ambiente bizzarro che li circondava.

Ma ciò che Langdon voleva più di qualsiasi altra cosa al mondo era uscire da lì. «Mi rendo conto che questa stanza può sembrare strana, comunque non c’è niente da vedere qui dentro: è tutto assolutamente normale. Moltissime logge massoniche dispongono di gabinetti di riflessione esattamente uguali a questo.»

«Ma qui non siamo in una loggia massonica!» protestò Anderson. «Questo è il Campidoglio, e vorrei proprio sapere cosa diavolo ci fa questa stanza nel mio edificio.»

«A volte i massoni allestiscono spazi di meditazione, cioè stanze come questa, nel luogo di lavoro o nelle loro abitazioni. Non è insolito.» Lo stesso Langdon conosceva un cardiochirurgo di Boston che aveva trasformato un ripostiglio del suo studio in un gabinetto di riflessione, in modo da poter meditare sulla mortalità prima di entrare in sala operatoria.

Sato sembrava turbata. «Lei sta dicendo che Peter Solomon viene quaggiù per riflettere sulla morte?»

«Proprio non lo so» ammise Langdon con sincerità. «Forse ha creato questa stanza come una sorta di rifugio per altri massoni che lavorano nell’edificio, dando loro uno spazio spirituale lontano dal caos del mondo materiale… un luogo in cui un potente legislatore possa meditare prima di prendere decisioni che riguardano i suoi fratelli.»

«Sentimenti lodevoli» commentò Sato sarcastica. «Ma ho la sensazione che gli americani avrebbero qualche problema a immaginare i loro leader che pregano fra teschi e falci chiusi dentro un ripostiglio.»

Be’, non dovrebbero, pensò Langdon, riflettendo su come forse il mondo avrebbe potuto essere diverso se un maggior numero di leader politici si fosse preso il tempo di meditare sul carattere definitivo della morte, prima di scatenare qualche guerra.

Sato sporse le labbra ed esaminò con attenzione i quattro angoli della stanza. «Qui dentro deve esserci qualcosa di più di ossa umane e un po’ di paccottiglia, professore. Qualcuno l’ha fatta venire fin qui da Cambridge perché lei arrivasse esattamente dove ci troviamo ora.»

Langdon si strinse la borsa al fianco, ancora incapace di immaginare in che modo il pacchetto che aveva con sé si collegasse a quella stanza. «Signora, mi dispiace, ma qui dentro non vedo niente fuori dall’ordinario» dichiarò, sperando che adesso si sarebbero finalmente dedicati alla ricerca di Peter.

La torcia di Anderson lampeggiò di nuovo e Sato si voltò di scatto verso di lui, cominciando a mostrare segni di collera. «Cristo santo, è troppo chiedere un po’ di luce?» Infilò una mano in tasca ed estrasse un accendino. Lo fece scattare con il pollice e lo avvicinò alla candela sulla scrivania. Lo stoppino faticò ad accendersi, ma poi la fiamma cominciò a diffondere una luminescenza spettrale nello spazio angusto e sulle pareti di pietra si disegnarono lunghe ombre. Quando la fiamma si fece più decisa, davanti ai tre si materializzò una visione imprevista.

«Guardate!» esclamò Anderson indicando qualcosa.

Alla luce della candela, adesso potevano vedere alcuni graffiti sbiaditi: sette lettere maiuscole incise sulla parete di fondo.

VITRIOL

«Strana scelta» osservò Sato mentre la luce della candela proiettava sui caratteri una spaventosa ombra a forma di cranio.

«In effetti, si tratta di un acrostico» spiegò Langdon. «Compare sulla parete di fondo di quasi tutti i gabinetti di riflessione, come abbreviazione del mantra meditativo massonico: Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem.»

Sato lo fissò, quasi impressionata. «E significa?»

«Penetra nelle viscere della terra e, percorrendo il retto sentiero, scoprirai la pietra che si cela ai tuoi occhi.»

Lo sguardo di Sato si fece più attento. «E questa pietra ha qualche relazione con la piramide nascosta?»

Langdon si strinse nelle spalle. Non voleva incoraggiare l’idea di quel collegamento. «Quelli che si divertono a fantasticare di piramidi nascoste a Washington le direbbero che sì, occultum lapidem si riferisce alla piramide di pietra. Altri le direbbero che si tratta di un riferimento alla pietra filosofale, che gli alchimisti credevano potesse assicurare la vita eterna o trasformare il piombo in oro. Altri ancora sostengono che il riferimento è al sancta sanctorum, una camera segreta in pietra nascosta al centro del tempio di Gerusalemme. Alcuni, invece, affermano che è un riferimento cristiano agli insegnamenti di san Pietro. Ogni tradizione esoterica interpreta la "pietra" a modo suo, ma in tutti i casi l’occultum lapidem è invariabilmente fonte di Potere e illuminazione.»