Durante i giorni che precedettero la festa, in città si diffuse una certa tensione. Su tutti i muri erano comparsi dei graffiti con i simboli della vecchia religione, un tempio tualita fu profanato, dopodiché la guardia reale invase massicciamente le strade. Teyeo andò al palazzo a chiedere di propria iniziativa che all'inviato non fosse richiesto di apparire in pubblico durante una cerimonia che "con molta probabilità sarebbe stata disturbata da dimostrazioni inappropriate". Fu fatto entrare e trattato da un ufficiale di corte con un misto di insolenza sdegnosa, cenni conniventi e strizzate d'occhio che lo misero veramente a disagio. Quella notte, lasciò quattro uomini di guardia di fronte alla casa dell'inviato. Tornando al suo alloggio, in una piccola caserma in fondo alla strada che era stata ceduta alla guardia dell'ambasciata, trovò la finestra della sua stanza aperta e un pezzo di carta scritto nella sua lingua, sul tavolo: La f del Perd è pronta per un assassisnio.

La mattina successiva raggiunse la casa dell'inviato di buon'ora, e chiese alla sua proprietà di dirle che doveva parlarle. Solly uscì dalla stanza da letto coprendosi il corpo nudo con un drappo bianco. Batikam la seguì mezzo svestito, ancora assonnato, e divertito. Teyeo gli lanciò un'occhiata che gli intimava di andarsene, che il makil accolse con un sorriso superiore, sereno, mormorando alla donna, «Vado a fare colazione. Rewe, hai qualcosa da mangiare?» Poi seguì la schiava fuori dalla stanza. Teyeo affrontò direttamente il Nunzio, tirando fuori il pezzo di carta.

«Ho ricevuto questo ieri sera, signora,» disse. «Devo chiederle di non presenziare alla festa di domani.» Lei studiò il foglio, lesse lo scritto e sbadigliò. «Di chi è?»

«Non lo so, signora.»

«Cosa vuol dire assassisnio? Assassinio? Non sanno neanche scriverlo correttamente?»

Dopo un istante di pausa, lui disse, «Abbiamo un certo numero di altre indicazioni… sufficienti perché io le chieda…»

«Di non presenziare alla festa del Perdono, sì, ti ho sentito.» Si avvicinò a uno sgabello vicino alla finestra. Nel sedersi, la vestaglia si aprì, scoprendole le gambe. I nudi piedi scuri erano piccoli e agili, le piante rosa, le dita piccole e regolari. Teyeo si mise a fissare l'aria dietro la testa della donna. Lei rigirò il pezzo di carta fra le dita. «Se pensi che sia pericoloso, rega, portati dietro una guardia o due,» disse con un vago tono di disprezzo. «Devo andarci assolutamente. Lo sai, il re l'ha richiesto espressamente. Devo accendere il grande fuoco e cose del genere. Una delle poche cose che le donne possono fare in pubblico in questo posto… Non posso tirarmi indietro.» Levò in alto il foglio, e poco dopo lui si avvicinò abbastanza per toglierglielo di mano. Lei lo guardò sorridendo. Quando lo sconfiggeva, gli rivolgeva sempre un sorriso. «Chi pensi che voglia farmi saltare in aria? I Patrioti?»

«O i Vecchi Credenti, signora. Domani è una delle loro festività.»

«I tuoi Tualiti gliel'hanno tolta. Be', non possono dar la colpa all'Ekumene, no?»

«Penso ci sia qualche possibilità che il governo permetta atti di violenza per avere la scusa per un contrattacco, signora.»

Lei stava per rispondere con noncuranza, poi si rese conto di quello che lui intendeva dire e aggrottò le sopracciglia. «Pensi che il consiglio stia cercando di fregarmi? Che prove hai?»

Dopo un momento di pausa, Teyeo le disse, «Molto poche, signora. San Ubattat…»

«San è malato. Quel vecchio che ci hanno mandato non serve a molto, ma è ben poco pericoloso. È tutto qui?» Visto che lui non rispondeva, Solly continuò, «Finché non hai delle vere prove, rega, non interferire nei miei impegni. La tua paranoia militaristica non è accettabile quando si estende alla gente con cui ho a che fare quaggiù. Controllati, per favore, mi aspetto che ci siano una guardia o due in più domani, e mi basta».

«Sissignore,» disse lui, e uscì. Gli fischiavano le orecchie per la rabbia. Gli venne in mente che la nuova guida aveva detto che San Ubattat non era potuto venire per certi doveri religiosi, non perché era malato. Non si girò. A cosa serviva? «Stai di guardia per un'ora o due, va bene, Seyem?» disse alla guardia al cancello, e risalì a grandi passi la strada, cercando di allontanarsi da lei, dalle sue cosce brune e soffici, e dalle piante rosa dei suoi piedi, e dalla sua stupida voce insolente da puttana che gli dava degli ordini. Cercò di farsi distrarre dall'aria fredda, dalla luce per le strade, dalle vie a gradoni scintillanti per gli stendardi della festa, dal luccichio delle grandi montagne, dal clamore dei mercatini. Ma mentre camminava vedeva solo la sua stessa ombra cadergli davanti come un coltello fra le pietre, conscia della futilità della sua esistenza.

«Il veot sembrava preoccupato,» disse Batikam con la sua voce vellutata, e Solly rise, mentre infilzava un frutto dal piatto e se lo ficcava in bocca.

«Sono pronta per la colazione, adesso, Rewe,» chiamò Solly, e si sedette di fronte a Batikam. «Ho fame! Quello stava facendo una delle sue solite scenate fallocratiche. Non mi ha salvato da niente, in questi ultimi tempi. È la sua sola funzione, dopotutto. Così deve inventarsi delle occasioni. Vorrei tanto che stesse lontano da me. È così bello non avere il povero vecchio San intorno come una specie di piattola. Se solo riuscissi a sbarazzarmi anche del maggiore!»

«È un uomo d'onore,» disse il makil. Il suo tono non sembrava affatto ironico.

«Come fa un proprietario di schiavi a essere un uomo d'onore?»

Batikam la guardò coi suoi grandi occhi scuri. Lei non riusciva a leggere negli occhi della gente di Werel, belli com'erano, colmi di buio.

«I rappresentanti della gerarchia maschile blaterano di continuo del loro onore prezioso,» proseguì lei. «E dell'onore delle loro donne, naturalmente.»

«L'onore è un gran privilegio,» disse Batikam. «Glielo invidio. E invidio anche lui.»

«Oh, al diavolo tutta quella falsa dignità, è solo piscia per marcare il tuo territorio. La sola cosa che gli devi invidiare, Batikam, è la sua libertà.»

Lui sorrise. «Tu sei la sola persona che abbia mai conosciuto che non fosse né posseduta né possidente. Questa sì che è libertà. Mi chiedo se tu te ne renda conto.»

«Naturale che me ne rendo conto,» disse Solly. Lui sorrise, e continuò a mangiare, ma c'era stato qualcosa nella sua voce che lei non aveva mai sentito prima. Commossa e un po' turbata, poco dopo gli disse, «Te ne andrai presto».

«Mi leggi nel pensiero. Sì, fra dieci giorni la compagnia va in tournée per i Quaranta Stati.»

«Oh, Batikam, mi mancherai tanto! Sei l'unica persona di qui con cui possa parlare… a parte il sesso…»

«L'abbiamo mai fatto?»

«Non spesso,» fece lei ridendo, ma con voce un po' turbata. Lui le tese la mano, lei gli andò incontro e gli si sedette in grembo, con la vestaglia che si apriva. «Piccoli e dolci seni da diplomatico,» disse il makil, sfiorandola con le labbra e accarezzandola, «dolce pancino da diplomatico…» Rewe entrò con un vassoio e lo appoggiò piano. «Mangia la tua colazione, piccolo Nunzio,» disse Batikam, e lei si liberò dal suo abbraccio per tornare sorridente alla sua sedia.

«Visto che sei libera, sta a te essere onesta,» disse lui, sbucciando meticolosamente un frutto. «Non essere troppo dura con quelli di noi che non lo sono e non possono esserlo.» Tagliò un pezzetto e la imboccò dall'altra parte del tavolo. «È stato un assaggio di libertà conoscerti,» disse. «Un accenno, un'ombra…»

«Nel giro di pochi anni al massimo, Batikam, tu sarai libero. Questa intera struttura idiota di padroni e schiavi collasserà completamente appena Werel entrerà nell'Ekumene.»

«Se avverrà.»

«Certo che avverrà.»

Lui si strinse nelle spalle. «La mia casa è Yeowe,» asserì.

Lei lo guardò fisso, confusa. «Tu vieni da Yeowe?»

«Non ci sono mai stato,» disse lui. «Probabilmente non ci andrò mai. Cosa se ne fanno quelli dei makil? Ma è la mia patria, quella è la mia gente, quella è la mia libertà. Quand'è che capirai?» Il suo pugno era serrato, e l'aprì con un gesto leggero, come se lasciasse cadere qualcosa. Poi sorrise e ritornò alla sua colazione. «Devo tornare a teatro,» disse. «Dobbiamo fare le prove di una rappresentazione per il giorno del Perdono.»