«Peggio», sospirò Cazaril. «Si tratta di teologia.»
«Eh?»
«A proposito…» Cazaril si premette la sella del naso, cercando di capire se la sua emicrania stava peggiorando. «Informa dy Yarrin che le sue riunioni vengono riferite da una spia a dy Jironal… Anche se forse lui se n’è già accorto da solo.»
«Di male in peggio», osservò Palli. «Stai dormendo a sufficienza, Caz?»
«No», rispose lui, con un’aspra, amara risata.
«Ti sei sempre comportato in modo strano quando sei stanco. Comunque, non intendo andare da nessuna parte unicamente sulla scorta di qualche accenno oscuro…»
«Se deciderai di partire, ti verranno fornite tutte le informazioni necessarie.»
«In tal caso, quando sarò adeguatamente informato, deciderò il da farsi.»
«Mi sembra giusto», sospirò Cazaril. «Ne parlerò alla Royesse. Non volevo proporle un uomo che potesse venirle meno.»
«Ehi!» protestò dy Palliar, indignato. «Quando mai ti sono venuto meno?»
«Mai, Palli, ed è stato per questo che ho pensato a te», sorrise Cazaril, poi si alzò con un piccolo grugnito di dolore. «Ora devo tornare allo Zangre.» In breve, descrisse all’amico il pericoloso sviluppo subito dalla ferita di Teidez.
«Quanto è grave?» chiese Palli, facendosi di colpo serio.
«Io non…» cominciò Cazaril, ma la cautela intervenne a temperare la sua franchezza. «Teidez è giovane, forte e ben nutrito… Non vedo perché non dovrebbe sconfiggere questa infezione.»
«Per i cinque Dei, Caz, lui è la speranza della sua Casa. Cosa ne sarà di Chalion, se non dovesse farcela? E proprio adesso che anche Orico è malato!»
«Orico… Non stava bene già da tempo, ma sono certo che dy Jironal non avrebbe mai immaginato che tutti e due potessero trovarsi in un simile stato contemporaneamente… Puoi far notare a dy Yarrin che nei prossimi giorni il nostro Cancelliere sarà assai impegnato: se i Lord Devoti vogliono agire alle sue spalle e avvicinare Orico per fargli firmare qualcosa, questa potrebbe essere la loro migliore occasione.»
Cazaril riuscì a sottrarsi alla pioggia di considerazioni riversatagli addosso da Palli, ma non al suo ordine di prendere con sé i fratelli dy Gura come scorta. Mentre risaliva con passo stanco la collina, le sue riflessioni su come salvare Iselle dalla rovina della sua Casa maledetta si trasformarono nella pura e semplice determinazione a non crollare al suolo davanti a quei due giovani, compunti ufficiali, finendo per essere trascinato al castello con le braccia intorno alle loro spalle.
Il corridoio del terzo piano del corpo principale del castello era affollato di medici dalla veste verde e di Accoliti che fungevano loro da assistenti; al loro via vai, si aggiungeva quello dei servitori che portavano acqua, lenzuola, coperte e strane bevande in brocche d’argento. Mentre Cazaril indugiava, dubitando di potersi rendere utile, l’Arcidivino emerse dall’anticamera e si avviò lungo il corridoio.
«Vostra Reverenza, come sta il ragazzo?» domandò Cazaril, posando una mano sulla manica a cinque colori del prelato.
«Ah, Lord Cazaril», mormorò l’Arcidivino. «Il Cancelliere e la Royesse mi hanno fatto cospicue elargizioni allo scopo di ottenere preghiere per la sua salute, e sto andando a provvedere.»
«Credete che le preghiere serviranno a qualcosa?»
«La preghiera è sempre uno strumento positivo», dichiarò Mendenal.
No, non è vero, avrebbe voluto ribattere Cazaril, ma preferì tacere.
«E le vostre preghiere potrebbero essere di particolare utilità», continuò Mendenal, abbassando la voce.
«Vostra Reverenza, in tutto il mondo non c’è uomo che io odi abbastanza da volergli infliggere le conseguenze delle mie preghiere», replicò Cazaril.
«Ah», commentò Mendenal, a disagio, poi si sforzò di sorridere e si congedò.
In quel momento, la Royesse Iselle uscì nel corridoio. Guardandosi intorno, scorse Cazaril e gli fece cenno di raggiungerla.
«Royesse?» salutò lui, inchinandosi.
«Si parla di amputazione», mormorò la giovane. Sembrava che quel giorno tutti fossero inclini a sussurrare. «Potreste… Sareste disposto… a tenerlo fermo, se si dovesse arrivare a questo? Ho ragione di pensare che questa procedura non vi sia ignota, vero?»
«Senza dubbio, Royesse», annuì Cazaril, sentendo affiorare ricordi terribili. Negli ospedali da campo, aveva spesso cercato invano di stabilire se, per gli assistenti, fosse più difficile tenere fermi gli uomini che affrontavano l’amputazione con coraggio o invece quelli che cedevano al terrore. «Riferite ai medici che sono al loro servizio, e a quello del Royse Teidez.»
Appoggiatosi al muro dell’anticamera, in attesa di un’eventuale convocazione, sentì formulare la proposta a Teidez. Il ragazzo entrò di diritto nella categoria dei pazienti atterriti: si mise a urlare, tuonando che non si sarebbe lasciato trasformare in uno storpio da una massa di traditori e d’idioti e prese a scagliare oggetti da tutte le parti. Il suo crescente isterismo si placò soltanto quando un secondo medico gli comunicò che l’infezione non era segno della cancrena — una diagnosi che Cazaril condivise, sebbene si basasse solo sul suo olfatto -, ma piuttosto di un avvelenamento del sangue, per cui un’amputazione avrebbe causato più danno che beneficio. Si procedette quindi a una semplice incisione della ferita, anche se, a giudicare dagli strilli e dalle contorsioni di Teidez, sembrò proprio che gli stessero tagliando la gamba. Ma la febbre del ragazzo continuò a salire. Allora, sistemata nel salotto una tinozza di rame piena di acqua fredda, toccò ai medici costringere Teidez a immergersi.
Dal momento che tra medici, Accoliti e servitori parevano esserci mani a sufficienza per assolvere quei compiti pratici, Cazaril si ritirò per qualche tempo nel proprio studio, al piano superiore, dove cercò di svagarsi scrivendo lettere taglienti a quei consigli cittadini che erano in ritardo col pagamento delle rendite dovute alla Royesse, e cioè ai consigli di tutte e sei le città a lei assegnate. Invece del denaro, erano infatti giunte lettere di scusa nelle quali, a pretesto di quel ritardo, si adducevano la scarsità dei raccolti, il banditismo, la peste, il clima ostile e la corruzione degli esattori. Cazaril si chiese se Orico non avesse approfittato del dono di nozze per rifilare alla sorella e a Dondo le sei città che più gli davano grattacapi, o se invece tutta Chalion non versasse nello scompiglio.
Dopo un po’, Iselle e Betriz rientrarono nei loro alloggi. «Non ho mai visto mio fratello stare così male», confidò Iselle a Cazaril. «Intendiamo approntare il mio altare privato e pregare prima di cena… anche se forse dovremmo corroborare la preghiera col digiuno.»
«Non c’è bisogno di preghiere di altre persone, ma di quelle dello stesso Teidez… E lui non dovrebbe chiedere la guarigione, bensì il perdono», dichiarò lui.
«Teidez si rifiuta di pregare», replicò Iselle, scuotendo il capo. «Dice che non è stata colpa sua, ma di Dondo, il che è senza dubbio vero, almeno fino a un certo punto. Sostiene di non aver mai voluto fare del male a Orico e aggiunge che, se qualcuno lo sostiene, è un calunniatore.»
«Qualcuno sta sostenendo una cosa del genere?»
«Nessuno osa dirlo davanti alla Royesse, ma, secondo Nan, tra i servitori circolano strane voci», interloquì Betriz.
«Cazaril… È possibile che sia vero?» chiese Iselle, accigliandosi.
«Penso che non lo sia, da parte di Teidez», replicò Cazaril, appoggiando i gomiti sul tavolo e massaggiandosi la fronte dolente. «Quando afferma che è stata un’idea di Dondo, credo sia sincero… Sul conto di Dondo sarei pronto a credere a qualsiasi cosa. Provate a esaminare la cosa dal suo punto di vista: lui sposa la sorella di Teidez, poi organizza le cose in modo che Teidez salga al trono quand’è ancora minorenne. Dopotutto, osservando suo fratello, Dondo doveva essersi reso conto di quanto potere derivasse dal godere del favore del Roya. Non so in che modo avesse intenzione di liberarsi di Martou, ma sono certo che mirava a diventare Cancelliere o reggente di Chalion o addirittura Roya, a seconda del genere d’incidenti che sarebbero capitati a Teidez.»