Dopo lunghi, terribili minuti di attesa, giunse finalmente il medico. La donna dai capelli bianchi fece di tutto per consolare Umegat, il quale si aggrappò alle sue mani con improvvisa speranza, quasi ostacolandolo nello svolgimento del suo lavoro. Con calma, il medico gli spiegò che molti uomini e donne colpiti da paralisi miglioravano nell’arco di pochi giorni; sostenne di aver visto pazienti che, dopo essere stati trasportati a braccia all’ospedale, ne erano usciti con le loro gambe in pochissimi giorni… Grazie a quelle parole, Umegat gradualmente si calmò. Recuperare una certa compostezza richiese peraltro tutta la sua forza di volontà: ulteriori controlli effettuati dal medico, dopo aver inviato un Devoto di passaggio a prelevare alcuni volumi nella biblioteca dell’Ordine, rivelarono infatti che non era più in grado di leggere neppure il roknari o il darthacano, e che le sue mani avevano perso la capacità di usare la penna per tracciare parole in qualsiasi lingua.
Lasciando cadere la penna dalle dita, Umegat si nascose di nuovo il volto tra le mani. «Sono stato punito», gemette. «La mia gioia e il mio rifugio mi sono stati tolti.»
«Le persone possono reimparare cose che hanno dimenticato», suggerì il medico, in tono un po’ esitante. «Inoltre, non hai perso la capacità di capire le parole che ti vengono dette, e neppure quella di riconoscere le persone a te note. Sono cose che ho visto succedere ad alcuni pazienti. Comunque qualcuno potrebbe leggerti i libri ad alta voce…»
Lo sguardo di Umegat incontrò quello dello stalliere, fermo in disparte col libro di Ordol in mano. Premendosi un pugno sulla bocca, il vecchio emise uno strano verso di gola, una sorta di gemito di pura disperazione, e le lacrime presero a colargli lungo le guance segnate. Sbuffando, Umegat scosse il capo. Vedendo il proprio dolore riflesso in quel volto, si protese a stringere la mano dello stalliere nella propria e si fece coraggio. «Avanti, calmati. Non trovi che adesso facciamo proprio una bella coppia?» sospirò, accasciandosi di nuovo contro i cuscini. «Non si può certo dire che il Bastardo non abbia senso dell’umorismo…» Infine chiuse gli occhi, forse per la stanchezza o forse per il desiderio di escludere il mondo intero.
Guardandolo, Cazaril si disse che non poteva certo porgli la domanda che tanto lo opprimeva: Umegat, cosa dobbiamo fare? Il roknari non era in condizione di fare nulla, tantomeno di fornirgli indicazioni o di pregare. Non si azzardò neppure a chiedergli di pregare per Teidez.
A poco a poco, il respiro di Umegat si fece più profondo e regolare, e lui scivolò in un sonno irrequieto. Badando a non fare rumore, l’anziano stalliere depose il necessario per la rasatura sul comodino e si dispose ad attendere che Umegat si svegliasse; quanto al medico, dopo aver preso qualche annotazione lasciò la stanza, e Cazaril lo seguì nella galleria sovrastante il cortile; a causa del gelo, la fontana che lo decorava non buttava acqua e il poco liquido sul fondo appariva scuro e sporco nella grigia luce invernale.
«È stato davvero punito?» domandò infine.
«Come faccio a saperlo?» ribatté la donna, massaggiandosi il collo con un gesto pieno di stanchezza. «Le ferite alla testa sono le più strane di tutte. Una volta, una donna, i cui occhi parevano del tutto sani, è diventata cieca per un colpo alla nuca. Ho visto persone perdere l’uso della parola, il controllo di soltanto una metà del corpo… Si è trattato di una punizione?
Se sì, ciò significa che gli Dei sono malvagi, ma io non posso crederlo. No, secondo me si tratta del caso.»
Io invece credo che gli Dei trucchino i dadi, pensò Cazaril. Avrebbe voluto incitarla a prendersi la massima cura di Umegat, ma era evidente che lo stava già facendo, e lui non voleva dare l’impressione di dubitare del suo talento o della sua dedizione. Si congedò con un saluto cortese e andò in cerca dell’Arcidivino, per renderlo edotto della ferita di Teidez.
Trovò l’Arcidivino Mendenal nel Tempio, vicino all’altare della Madre, intento a celebrare una cerimonia di benedizione per la moglie e la figlia neonata di un ricco mercante, e fu costretto ad attendere che la famiglia avesse consegnato un’offerta di ringraziamento e fosse uscita, prima di potersi avvicinare e riferirgli la notizia. Impallidendo, Mendenal si avviò immediatamente alla volta dello Zangre.
Di recente, Cazaril aveva sviluppato una nuova, sconvolgente concezione riguardo all’efficacia e alla pericolosità della preghiera, ma si prostrò comunque sulla pietra, davanti all’altare della Madre, pensando a Ista… Se esisteva una speranza di misericordia per Teidez, indotto a un violento sacrilegio da Dondo, la Madre di certo poteva dimostrare un po’ di compassione per sua madre Ista. Dopotutto, il messaggio che la Dea gli aveva inviato, il giorno precedente, tramite il sogno della sua Accolita, era parso misericordioso. Certo, poteva anche trattarsi di una semplice e brutale indicazione pratica, tuttavia… Prostrato sul pavimento lucido, Cazaril avvertiva con chiarezza la massa letale presente nel suo ventre, uno sgradevole nodulo che pareva grosso quanto due dei suoi pugni.
Quando infine si decise a rialzarsi, si recò all’antico, angusto Palazzo Yarrin in cerca di Palli. Un servitore lo accompagnò in una stanza sul retro, dove Palli era seduto a un piccolo tavolo, intento a tracciare annotazioni su un registro. All’ingresso di Cazaril, però, lui si affrettò a posare la penna e a segnalargli di accomodarsi sulla sedia di fronte alla sua.
Non appena il servitore chiuse la porta, Cazaril si protese in avanti. «Palli… In caso di necessità, potresti recarti in segreto a Ibra, come corriere per conto della Royesse Iselle?»
«Quando?» domandò l’altro, inarcando le sopracciglia.
«Presto.»
«Se con ’presto’ intendi ’adesso’, temo di non poterlo fare», replicò Palli, scuotendo il capo. «Sono molto preso dai miei doveri di Lord Devoto e ho promesso a dy Yarrin la mia voce e il mio voto, in seno al consiglio.»
«Potresti affidare la delega col tuo voto per dy Yarrin a un compagno fidato», suggerì Cazaril.
Palli si limitò ad accarezzarsi il mento rasato, emettendo un borbottio di perplessità.
Per un momento, Cazaril pensò di proclamare la propria condizione di santo della Figlia e di far valere la propria autorità su Palli, dy Yarrin e l’intero Ordine militare della Figlia. Una cosa del genere avrebbe però richiesto complicate spiegazioni, rendendo altresì necessario divulgare il segreto della maledizione di Fonsa. Inoltre lo avrebbe costretto non solo ad ammettere la sua… particolare malattia, ma anche a spiegarne le cause: era stato toccato dagli Dei, anzi devastato dagli Dei… E quello lo avrebbe fatto sembrare anche più folle di Ista. «Credo che questo possa riguardare la Figlia», mormorò allora.
«Come fai a dirlo?» domandò Palli, incredulo.
«Lo so e basta.»
«Ebbene, io non lo so.»
«Aspetta, ho trovato la soluzione. Stanotte, prima di dormire, prega che ti. venga fornita una guida nel decidere.»
«Io? Perché non lo fai tu?»
«Le mie notti sono già… impegnate.»
«E da quando in qua credi nei sogni profetici? Ho sempre pensato che li considerassi vere assurdità, un modo per ingannare se stessi o per credersi importanti.»
«Si tratta di una conversione recente. Ascoltami, Palli, prova a farlo, a titolo di esperimento… per compiacere me, se non altro.»
«Per te, posso farlo», si arrese Palli, poi assunse un’espressione accigliata, e proseguì: «Quanto al resto… Andare a Ibra? E a chi dovrei tenere segreto il mio viaggio, già che ci siamo?»
«Soprattutto a dy Jironal.»
«Davvero? La cosa potrebbe interessare a dy Yarrin. Ritieni che gliene possa derivare qualche vantaggio?»
«Non in modo diretto… La cosa dovrà essere tenuta segreta anche a Orico.»
Palli si appoggiò allo schienale della sedia e inclinò il capo di lato. «Astuto Caz», disse poi, abbassando la voce. «Quale sorta di cappio ti stai offrendo di porre intorno al mio collo? Si tratta di un tradimento?»