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L’Accolita rispose con un silenzioso sorriso pieno di comprensione e con un lieve cenno del capo.

Lasciata Clara a vegliare su Umegat, l’Arcidivino annunciò la sua intenzione di recarsi presso il Roya Orico e, con timida diffidenza, invitò Cazaril ad accompagnarlo fino allo Zangre. Grato per l’offerta, Cazaril lo seguì, scoprendo che l’ira e il terrore si erano da tempo esauriti, lasciandolo spossato e debole, al punto che, nello scendere le scale della galleria, le ginocchia gli cedettero e lui riuscì a impedire una rovinosa caduta soltanto aggrappandosi alla ringhiera. Con suo estremo imbarazzo, Mendenal insistette allora per farlo trasportare in cima alla collina sulla propria portantina, retta da quattro robusti Devoti, procedendo a piedi accanto a lui. Per tutto il tragitto, Cazaril si sentì uno stupido, e gli parve di attirare l’attenzione generale, ma dovette ammettere di provare anche un immenso senso di gratitudine.

Il colloquio che Cazaril aveva maggiormente temuto ebbe luogo soltanto dopo cena. Convocato tramite un paggio, salì con riluttanza nel salotto della Royesse, dove Iselle lo attendeva con aria tesa, insieme con Betriz. Neppure tutte le candele che ardevano nei supporti a specchio appesi alle pareti riuscivano a dissipare l’ombra scura che la circondava.

«Come sta Orico?» chiese Cazaril alle due dame, in tono ansioso, nel prendere posto sullo sgabello indicatogli da Iselle. Sapeva che non erano scese a cenare nella sala dei banchetti, rimanendo in compagnia della Royina e del malato Roya.

«Stasera pareva più calmo, soprattutto quando ha scoperto di non essere del tutto cieco… con l’occhio destro riesce a vedere la fiamma di una candela», rispose Betriz. «Peraltro non sta urinando adeguatamente e il suo medico pensa che ci sia il rischio d’idropisia. Senza dubbio, appare terribilmente gonfio.»

«Siete riuscita a vedere Teidez?» domandò ancora Cazaril, accennando col capo in direzione della Royesse.

«Sì, dopo che il Cancelliere dy Jironal lo ha strigliato per bene», sospirò Iselle. «Teidez era troppo sconvolto per essere razionale… Se fosse più giovane lo avrei accusato di essere soltanto capriccioso. Mi dispiace che ormai sia troppo cresciuto per poterlo prendere a schiaffi. Rifiuta di mangiare, scaglia oggetti, contro i servitori e, ora che ha il permesso di lasciare le sue camere, rifiuta di uscire. Quando si comporta così, bisogna lasciarlo stare. Domattina sarà senza dubbio più calmo.» Fissò Cazaril con occhi socchiusi. «Ora ditemi, mio signore… Da quanto tempo sapete di questa nera maledizione che aleggia su Orico?»

«Sara ve ne ha parlato…»

«Sì.»

«Cosa vi ha detto, esattamente?»

Iselle narrò in modo abbastanza preciso la storia di Fonsa e del Generale Dorato e parlò dell’eredità di sfortuna causata da essa, un’eredità passata a Ias e poi a Orico. Tuttavia non accennò a se stessa o a Teidez.

«In tal caso, conoscete una metà dei fatti», commentò Cazaril.

«Questa faccenda della metà non mi piace. Il mondo si aspetta che io prenda decisioni valide senza avere informazioni, salvo poi attribuire gli errori che commetto alla mia verginità, come se essa fosse la causa della mia ignoranza. L’ignoranza non è stupidità, ma può benissimo diventarlo, e a me non piace sentirmi stupida», dichiarò risolutamente Iselle.

Cazaril chinò il capo in un silenzioso gesto di scusa. Al pensiero di ciò che stava per perdere, gli salirono le lacrime agli occhi. Se aveva taciuto tanto a lungo non era stato per proteggere la verginale innocenza di Iselle o di Betriz, e neppure per timore di essere arrestato… No, lo aveva fatto per paura di perdere la beatitudine che gli derivava dalla loro stima, temendo l’orrore di apparire disgustoso ai loro occhi. Avanti, vigliacco, parla e falla finita, s’ingiunse. «Ho saputo per la prima volta dell’esistenza della maledizione la notte successiva alla morte di Dondo. A parlarmene è stato lo stalliere Umegat… che non è affatto uno stalliere, ma un Divino del Bastardo. Era altresì il santo che ospitava il miracolo del serraglio creato per Orico.»

«Oh…» mormorò Betriz, sgranando gli occhi. «Mi era simpatico. Come sta?»

«Male», rispose Cazaril, con un gesto che indicava un equilibrio precario. «È ancora privo di sensi, ma la cosa peggiore…» Esitando, deglutì, consapevole di essere arrivato al punto cruciale del discorso. «La cosa peggiore è che ha smesso di risplendere.»

«Ha smesso di risplendere?» ripeté Iselle, interdetta. «Non mi ero mai accorta che emanasse luce.»

«Sì, lo so, voi non potete vederlo. C’è una cosa che non vi ho detto, riguardo all’assassinio di Dondo… Sono stato io a sacrificare il corvo e il ratto, e a pregare il Bastardo per la morte di Dondo.»

«Ah! Lo avevo sospettato!» esclamò Betriz, sedendosi più eretta sulla sua sedia.

«Sì, ma… ciò che non sapete è che il miracolo mi è stato concesso. Quella notte, nella Torre di Fonsa, io dovevo morire, però sono intervenute le preghiere di qualcun altro… credo quelle di Iselle», precisò, accennando col capo in direzione della Royesse.

«Ho pregato la Figlia perché mi salvasse da Dondo», ammise Iselle, portandosi una mano al seno.

«Voi avete pregato… e la Figlia ha risparmiato me», ribatté Cazaril. «A quanto pare, però, non mi ha risparmiato da Dondo. Avete visto come, durante il funerale, tutti gli Dei abbiano rifiutato di prendere in consegna la sua anima?»

«Sì. In questo modo lui è stato escluso, condannato, intrappolato in questo mondo», annuì Iselle. «Metà della corte ha temuto che il suo spirito circolasse a Cardegoss, e si è munita di ogni sorta di talismani per proteggersi.»

«È a Cardegoss, certo… ma non è libero. La maggior parte degli spettri è vincolata al luogo della morte, mentre lui è vincolato alla persona che lo ha ucciso. Avete presente il mio tumore?» Cazaril chiuse gli occhi perché non sopportava di vedere l’espressione inorridita delle due dame. «Non è un tumore o, per meglio dire, non è soltanto un tumore: l’anima di Dondo è intrappolata dentro di me, pare insieme col demone della morte che, se non altro, è del tutto silenzioso. Dondo invece non vuole stare zitto, e di notte mi inveisce contro.» Riaprì gli occhi, senza però alzare lo sguardo. «Tutta questa… attività divina mi ha fornito una sorta di seconda vista. Umegat ne è dotato, come pure una piccola santa della Madre, che vive in città. E adesso la possiedo anch’io. Umegat risplende di un chiarore bianco, Madre Clara emette una tenue luce verde; quanto a me, entrambi mi hanno detto che la mia luce è prevalentemente bianca e azzurra, di un’intensità abbagliante.» Si costrinse a incontrare lo sguardo di Iselle. «Inoltre adesso posso vedere il manifestarsi della maledizione di Orico, che mi appare come un’ombra scura. Ascoltatemi bene, Iselle, perché ritengo che questa sia una cosa importante, ignorata perfino da Sara: l’ombra non grava soltanto su Orico, ma anche su di voi e su Teidez. A quanto pare, tutti i discendenti di Fonsa sono avvolti da questo miasma nero.»

«In un certo modo, ha senso che sia così», si limitò ad affermare Iselle, dopo una breve pausa di silenzio, rimanendo seduta.

Consapevole che Betriz lo stava guardando, Cazaril si sentì d’un tratto simile a un mostro, pur sapendo benissimo, a causa della tensione costante della sua cintura, che il tumore non era aumentato. Piegandosi leggermente su se stesso, le rivolse un incerto sorriso.

«Ma come potete liberarvi di questo… spettro?» domandò Betriz, scandendo le parole.

«Ecco… Da quello che ho capito, se dovessi essere ucciso, la mia anima perderebbe il suo ancoraggio all’interno del corpo e il demone della morte sarebbe libero di finire il suo compito… almeno credo. Ma ho paura che il demone possa ingannarmi o tradirmi per spingermi incontro alla morte, se gli sarà possibile, perché sembra alquanto determinato e vuole tornare a casa. D’altro canto, se la mano della Signora dovesse aprirsi, il demone sarà libero d’impossessarsi della mia anima e di portarla comunque via insieme con quella di Dondo», concluse, decidendo che non era il caso di affliggere le due dame anche con la teoria di Rojeras.