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Iselle accettò la sua richiesta con un lento cenno di assenso e gli permise di tornare nell’anticamera. Ma Cazaril non riuscì a concentrarsi di nuovo sui libri mastri. Per ben tre volte — la prima su richiesta della Royesse e le altre due di propria iniziativa -, Lady Betriz entrò in punta di piedi per chiedergli se aveva bisogno di qualcosa. Infine Cazaril reagì, annunciando che avrebbe tenuto una lezione di grammatica, materia troppo a lungo trascurata. Se le due dame non intendevano lasciarlo in pace, allora avrebbe sfruttato nel modo migliore la loro volontà di tenergli compagnia. Per tutto il pomeriggio, le sue allieve furono quanto mai composte, obbedienti e disciplinate… Tutte cose che Cazaril aveva sempre incoraggiato e che tuttavia, in quel giorno, non apprezzò affatto. Anzi sperò che si trattasse di un fenomeno passeggero.

Le due ragazze se la cavarono comunque piuttosto bene, anche quando lui le sottopose a una lunga esercitazione sui modi grammaticali del roknari di corte. L’atteggiamento deciso del Castillar rese evidente il suo desiderio di non diventare oggetto di compassione da parte delle due dame, un desiderio che le giovani avevano comunque già intuito. Entro la fine del pomeriggio, ripresero a trattarlo in maniera quasi normale, proprio come lui voleva, anche se Betriz continuò a mantenere un’espressione cupa.

Alla fine, Iselle si alzò e si mise a passeggiare per la stanza, soffermandosi a contemplare dalla finestra la gelida nebbia invernale che riempiva il burrone sottostante le mura dello Zangre. «Il lavanda non è colore che mi si addica», commentò in tono lamentoso, sfregandosi distrattamente una manica. «Sembra la tinta di un livido. C’è troppa morte a Cardegoss… vorrei non essere mai venuta qui.»

Ritenendo poco diplomatico assentire, Cazaril si limitò a inchinarsi e si congedò, andando a prepararsi per la cena.

Quella settimana, i primi fiocchi di neve caddero sulle strade e sulle mura di Cardegoss, ma si sciolsero subito nel tepore pomeridiano. Palli continuò a tenere informato Cazaril sull’arrivo degli altri Lord Devoti, che si stavano infiltrando in città l’uno dopo l’altro, e si fece ragguagliare da lui in merito ai pettegolezzi che circolavano nel castello. Quel loro comportamento era di reciproco aiuto e di fiducia reciproca, ma, secondo Cazaril, creava anche una doppia breccia nelle mura che entrambi, in teoria, contribuivano a difendere. D’altro canto, se avesse dovuto scegliere con chi schierarsi, se col Tempio o col castello, lui sapeva che ne sarebbe uscito comunque sconfitto.

Dy Jironal, accompagnato da Teidez, tornò nella capitale

sulle ali di un freddo vento di sud-est, che rovesciò sulla città una sgradita tempesta di nevischio. Tornò a mani vuote, con notevole sollievo di Cazaril, apparentemente frustrato nel suo tentativo di portare a termine quell’impresa di giustizia e di vendetta. A giudicare dall’espressione indecifrabile del suo volto, però, era impossibile stabilire se dy Jironal fosse rientrato perché disperava di coronare la sua caccia con un successo oppure perché le sue spie si erano affrettate a raggiungerlo per riferirgli che in città si stavano radunando forze che non erano state da lui convocate.

Teidez fece ritorno al suo alloggio con aria stanca, cupa e infelice, cosa che non sorprese affatto Cazaril. Individuare ogni decesso verificatosi nelle circostanti tre province durante la notte in cui era morto Dondo era stato di certo un compito sinistro, reso ancor più sgradevole dal clima invernale.

Nel periodo in cui era stato abbagliato dalle attenzioni di cui Dondo lo aveva fatto oggetto, Teidez aveva trascurato la compagnia della sorella maggiore, ma quel pomeriggio, quando si recò in visita nelle sue stanze, accettò e ricambiò il suo abbraccio, mostrandosi più desideroso di parlare con lei di quanto lo fosse stato da parecchio tempo. Ritiratosi nell’anticamera per discrezione, Cazaril sedette alla scrivania coi libri mastri aperti davanti a sé, giocherellando con la penna su cui l’inchiostro si stava asciugando. Da quando Orico aveva assegnato a Iselle la rendita di sei città come dono di nozze — dono che non era stato revocato allorché il matrimonio era stato sostituito da un funerale -, la contabilità e la corrispondenza di cui Cazaril si occupava erano diventate molto più complesse.

Mentre rifletteva, Cazaril ascoltò distrattamente, attraverso la porta aperta, le giovani voci dei due fratelli. Teidez descriveva il proprio viaggio a beneficio della sorella, interessata a ogni dettaglio; parlava delle strade fangose, dei cavalli affaticati, degli uomini tesi e irritabili, del cibo scadente e degli alloggi gelidi. Iselle gli fece notare come quell’esperienza costituisse un’eccellente esercitazione per future campagne militari invernali e, nella sua voce, c’era una nota più d’invidia che di compassione. Nessuno dei due, tuttavia, fece cenno al motivo di quel viaggio. Teidez era ancora sconcertato e offeso per la veemenza con cui Iselle aveva respinto il suo defunto eroe; Iselle sembrava riluttante a esporre al fratello i particolari più grotteschi su cui si fondava la sua avversione.

Oltre a essere rimasto sconvolto dall’improvviso e orribile assassinio di Lord Dondo, Teidez probabilmente era stato uno dei pochi che aveva pianto sinceramente la sua morte… E perché mai non avrebbe dovuto, considerato che Dondo lo aveva adulato e lusingato, facendolo sentire più importante di quanto non fosse? Dondo lo aveva ricoperto di doni e gli aveva offerto ogni genere d’intrattenimento… Certo, alcuni di quegli svaghi erano tragicamente inadatti alla sua età, ma Teidez, giovane com’era, come poteva rendersi conto che i vizi degli adulti non avevano nulla a che vedere con gli onori a essi tributati?

In confronto a Dondo, il maggiore dei due fratelli dy Jironal era probabilmente sembrato a Teidez un compagno freddo e indifferente. La spedizione si era lasciata alle spalle una scia rovinosa, generata dalla progressiva frustrazione di dy Jironal. Le indagini si erano fatte via via sempre più affrettate e brutali. La cosa peggiore, però, era un’altra: dy Jironal, pur avendo un bisogno disperato di Teidez, non era riuscito a nascondere la scarsa simpatia nei suoi confronti e lo aveva affidato ai suoi guardiani — il segretario-tutore, le guardie e i servitori -, trattandolo come un’appendice piuttosto che come un luogotenente. Da ciò che Teidez diceva, era chiaro che quell’avversione era ormai reciproca, ma fondata su una serie di motivi sbagliati. Nel suo racconto, poi, si capiva che il nuovo segretario-tutore non aveva ripreso a curare la sua istruzione dal punto in cui dy Sanda si era interrotto.

Fu Nan dy Vrit a porre fine alla visita, avvertendo i due giovani che era ora di prepararsi per la cena. A passo lento, Teidez attraversò l’anticamera, contemplandosi gli stivali con aria accigliata; ultimamente, il giovane Royse si era fatto alto quasi come il fratellastro Orico e, sebbene il suo corpo fosse ancora muscoloso, il volto rotondo lasciava supporre che potesse diventare altrettanto grasso. Voltate a casaccio le pagine del libro mastro che aveva davanti, Cazaril tornò a intingere la penna nell’inchiostro e sollevò lo sguardo con un sorriso esitante. «Come state, mio signore?» domandò.

Teidez rispose con una scrollata di spalle, ma, arrivato a metà della stanza, si girò di scatto e tornò verso la scrivania di Cazaril, con un’espressione stanca e turbata. Tamburellando sul piano di legno, il giovane abbassò lo sguardo sui mucchi di registri e di documenti. Cazaril incrociò le mani e gli scoccò un’occhiata interrogativa, per incoraggiarlo a parlare.

«A Cardegoss c’è qualcosa che non va, vero?» chiese infine Teidez.

Le cose che non andavano, a Cardegoss, erano così tante che Cazaril non seppe come interpretare quelle parole. «Cosa v’induce a pensarlo?» replicò quindi, con cautela.

«Orico è malato, e non governa come dovrebbe», precisò Teidez, abbozzando uno strano, piccolo gesto troncato sul nascere. «Dorme troppo, quanto un vecchio, ma non è così anziano. Inoltre tutti dicono che ha perso la sua…» Arrossendo, Teidez fece un gesto ancora più vago del precedente. «Be’, sapete cosa intendo… Non si può comportare con una donna come un uomo dovrebbe fare. Non vi è mai venuto da pensare che ci sia qualcosa d’inquietante, in questa sua strana malattia?»