«Siete un acuto osservatore, Royse», temporeggiò Cazaril.
«Anche la morte di Lord Dondo è stata inquietante. Io credo che queste cose siano collegate.»
E ragazzo sta cominciando a riflettere. Bene! «Dovreste esporre le vostre osservazioni a vostro fratello Orico», suggerì Cazaril. «Lui è l’autorità più adeguata a fornirvi spiegazioni.» Provò a immaginare Teidez nell’atto di ricevere una risposta diretta e coerente da Orico, e sospirò. Se Iselle, con tutta la sua appassionata forza di persuasione, non era riuscita a ottenere da lui un comportamento sensato, quali speranze poteva avere Teidez, la cui dialettica era molto più limitata? Orico avrebbe trovato il modo per non rispondere, posto che non riuscisse a mettersi in anticipo nell’impossibilità di farlo.
Tocca forse a me l’onere d’informare il Royse della situazione? No. Non gli era stata concessa l’autorità di rivelare quello che era in effetti un segreto di Stato, e per di più si supponeva che lui stesso ne fosse all’oscuro. Inoltre la notizia dell’esistenza della maledizione del Generale Dorato doveva giungere a Teidez direttamente dal Roya, non suo malgrado o a sua insaputa, onde evitare che la cosa assumesse l’aria di una cospirazione. D’un tratto, Teidez si protese in avanti sul tavolo e lo fissò con occhi socchiusi. Cazaril si rese conto di essere rimasto troppo a lungo in silenzio.
«Lord Cazaril, che cosa sapete?» sibilò il giovane.
So che non possiamo lasciarti nell’ignoranza ancora per molto, pensò lui. E ciò valeva anche per Iselle. «Ve lo spiegherò in seguito, Royse», replicò. «Questa è una cosa di cui non posso parlare stanotte.»
Teidez serrò le labbra e si passò una mano tra i riccioli dorati in un gesto pieno d’impazienza, lo sguardo pervaso d’incertezza, di diffidenza e, così parve a Cazaril, di una strana solitudine. «Capisco», disse soltanto, poi girò sui tacchi e uscì a passo spedito. Quando già si trovava nel corridoio, borbottò: «A quanto pare dovrò provvedere da solo…»
Aveva forse intenzione di parlare con Orico? Be’, in tal caso, Cazaril lo avrebbe preceduto. E, se necessario, avrebbe chiesto il sostegno di Umegat. Deposte le penne nel loro contenitore, chiuse i registri e si alzò, traendo un profondo respiro per resistere alla fitta di dolore causata da quel movimento improvviso.
Un colloquio con Orico era più facile da decidere che da ottenere. Credendo che lui fosse un ambasciatore inviato da Iselle per insistere con la sua proposta di matrimonio ibrana, il Roya prese a evitare Cazaril e incaricò il suo maggiordomo personale di allontanarlo adducendo una dozzina di scuse diverse. La cosa venne poi resa ancora più difficile dalla necessità che quella conversazione si svolgesse in privato, soltanto tra loro due, e senza interruzioni. Di conseguenza, dopo cena, Cazaril stava percorrendo il corridoio, proveniente dalla sala dei banchetti e intento a riflettere sul modo migliore per intrappolare la sua regale preda quando un colpo battutogli sulla spalla lo fece girare parzialmente su se stesso.
Nel sollevare lo sguardo, Cazaril sentì morirgli sulle labbra le parole di scusa con cui era stato sul punto di giustificare la propria goffa distrazione, quando vide che la persona contro cui era andato a sbattere era Ser dy Joal, uno dei bravacci al servizio di Dondo, ora rimasto privo d’impiego… il che lo indusse a chiedersi cosa stessero facendo ultimamente quei loschi figuri per guadagnarsi da vivere, e se fossero passati al servizio del fratello di Dondo. Notando che dy Joal era accompagnato da uno dei suoi compari, sogghignante in volto, e da Ser dy Maroc, che appariva invece accigliato e a disagio, Cazaril corresse poi la propria impressione iniziale, rendendosi conto che era stato dy Joal, i cui occhi scintillavano ora di un bagliore guardingo alla luce delle candele appese alle pareti, a urtare lui e non viceversa.
«Goffo bue!» ringhiò dy Joal, in tono un po’ troppo fasullo. «Come osi spintonarmi per passare per primo dalla porta?»
«Chiedo scusa, Ser dy Joal», rispose Cazaril. «Ero assorto nei miei pensieri.»
Poi accennò un inchino e fece per aggirare il giovane bravaccio, ma dy Joal fu pronto a spostarsi di lato per bloccargli il passo, spingendo indietro al contempo la sopravveste in modo da esporre l’impugnatura della spada. «Io dico che mi avete spintonato. Adesso intendete anche darmi del bugiardo?»
Ah, si tratta di un’imboscata, pensò Cazaril, immobilizzandosi. «Cosa volete, dy Joal?» domandò, in tono stanco.
«Siete testimoni!» esclamò dy Joal, indicando verso il suo compare e dy Maroc. «Mi ha spintonato.»
«Sì, l’ho visto», fu pronto a rispondere il suo amico, mentre dy Maroc si mostrò assai più incerto riguardo al comportamento da tenere.
«Intendo sfidarvi a duello per il vostro affronto, Lord Cazaril!» continuò dy Joal.
«Questo lo vedo da me», ribatté seccamente Cazaril, chiedendosi se si trattasse soltanto di stupidità indotta dal troppo vino bevuto, o invece della forma di assassinio più semplice che esistesse al mondo. Un duello al primo sangue, pratica approvata e sfogo per i bollori ardenti delle giovani teste calde che frequentavano la corte, seguito da un: «La spada mi è sfuggita al controllo, lo giuro sul mio onore! Si è infilzato da sé», il tutto appoggiato da quanti più testimoni la persona in questione poteva permettersi di pagare.
«Intendo avere tre gocce del vostro sangue per cancellare quest’offesa», insistette dy Joal, pronunciando l’abituale formula di sfida.
«Io invece vi consiglio di andare a immergere la testa in un secchio d’acqua e di tornare sobrio. Non faccio duelli», dichiarò Cazaril, sollevando per un momento le braccia in modo da far allargare la sopravveste e mostrare che non aveva con sé la spada. «Lasciatemi passare.»
«Urrac, presta la tua spada a questo vigliacco! Dal momento che abbiamo i due testimoni richiesti, sbrigheremo questa faccenda fuori, immediatamente», ingiunse dy Joal, indicando col capo le porte in fondo al corridoio, che si aprivano sul cortile principale.
Il suo compare si slacciò la cintura con la spada e, sempre sogghignando, la gettò a Cazaril. Questi inarcò un sopracciglio ma non accennò a muovere le mani, lasciando cadere l’arma ai propri piedi e spingendola con un calcio verso il suo proprietario.
«Non faccio duelli», ribadì.
«Devo allora darvi apertamente del vigliacco?» domandò dy Joal, con le labbra socchiuse e il respiro reso un po’ affannoso dall’esaltazione per l’anticipazione dello scontro imminente. Con la coda dell’occhio, Cazaril vide un paio di altri uomini, attratti dai toni di voce sempre più alti, avvicinarsi con curiosità lungo il corridoio.
«Definitemi come preferite, a seconda di quanto desiderate fare la figura dell’idiota. Le vostre parole non sono nulla per me», sospirò Cazaril, facendo del proprio meglio per sfoggiare un atteggiamento annoiato, anche se in realtà il sangue gli stava pulsando sempre più in fretta nelle orecchie, non per il timore, ma per la furia…
«Avete il titolo di Lord, ma non ne possedete l’onore.»
Un angolo della bocca di Cazaril si sollevò in un sorriso privo di umorismo. «Quella forma di confusione mentale che definite onore è una malattia, per la quale i capi vogatori dei roknari possiedono una cura infallibile.»
«Constatato che non avete onore, non potete comunque rifiutarmi tre gocce di sangue per lavare l’onta dal mio onore!»
«Avete ragione», annuì Cazaril, la cui voce si era fatta stranamente calma, con uno strano sorriso sulle labbra. I battiti del suo cuore rallentarono, mentre ripeteva: «Avete proprio ragione…»
Protese la mano sinistra col palmo verso l’alto e, con la destra, estrasse di scatto il coltello da cintura, che aveva usato a cena per tagliare il pane; colto di sorpresa, dy Joal contrasse spasmodicamente la mano sull’impugnatura della spada, e arrivò quasi a snudarla.