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Una volta accesa la luce, lo spazio si ridusse a dimensioni da claustrofobia. Diedi uno sguardo a Prof. Sembrava morto. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi fissi nel vuoto.

Trovai il tempo di riflettere e anche di sentire lo stimolo della sete. Bevvi una mezza sorsata, non di più, perché non volevo trovarmi a sei gravità con lo stomaco pieno d’acqua.

Quando il viaggio stava per finire, decisi che un’altra dose di droga avrebbe fatto bene a Prof prima dell’accelerazione finale, poi, entrati nell’orbita di parcheggio, gli somministrai uno stimolante cardiaco che certamente non gli avrebbe potuto far male.

Impiegai tre ore per decidermi se prendere anch’io una droga per l’atterraggio. Decisi di no. La droga che mi avevano iniettato alla partenza, al momento di essere scagliato nello spazio dalla catapulta, aveva avuto il solo effetto di farmi vivere un secolo di incubi invece che un minuto e mezzo di dolore e due giorni di noia… E inoltre, se i pochi minuti in cui avvenivano le manovre di atterraggio dovevano essere gli ultimi della mia vita, preferivo rimanere cosciente. Per quanto dolorosi, erano pur sempre una parte della mia vita e non volevo rinunciarvi.

Furono orribili. Sei gravità non furono meglio delle dieci iniziali: mi parvero anzi più insopportabili. La situazione non migliorò quando passammo a quattro gravità. Sentii una scossa violenta, poi, all’improvviso, riprendemmo per pochi secondi la caduta libera. Infine venne l’urto, che non fu affatto dolce e che prendemmo dalla parte delle cinghie invece che contro l’imbottitura, dato che precipitammo a testa in giù. Per di più, e non credo che Mike se ne sia reso conto, dopo la prima caduta e relativo urto, rimbalzammo di nuovo in alto e ricademmo con un altro duro tonfo. Poi la chiatta galleggiò immobile nell’acqua.

Il mio stomaco avrebbe dovuto essere vuoto. Ma riempii ugualmente il casco col più amaro e disgustoso liquido che si possa immaginare. Poi la chiatta si girò mandandomi a gambe all’aria e mi ritrovai quel liquido sui capelli, negli occhi, perfino nel naso. È quello che i Terrestri chiamano mal di mare, ed è uno dei tanti orrori che loro danno per scontato.

Non sto a raccontare del lungo periodo necessario per rimorchiarci in porto. Dirò soltanto che, oltre al mal di mare, le bombole di ossigeno si stavano esaurendo: ognuna conteneva la riserva necessaria per dodici ore e fra tutte erano più che sufficienti per un viaggio di cinquanta ore, soprattutto calcolando che ero rimasto per molto tempo in stato di incoscienza e che non avevo fatto nessuno sforzo fisico; ma non furono sufficienti a far fronte alle lunghe ore che perdemmo nelle operazioni di rimorchio. Quando finalmente la chiatta giunse a destinazione, ero troppo debole per preoccuparmi di saltare fuori.

Per fortuna, Stu LaJoie era stato informato del nostro arrivo. Mi svegliai in mezzo a decine di persone, poi persi di nuovo conoscenza e rinvenni in un letto d’ospedale, adagiato sulla schiena e con un senso di oppressione sul petto; tutti i muscoli mi sembravano pesanti e inerti, ma non stavo male, ero solo stanco, ammaccato, svuotato di ogni volontà e avevo fame e sete. Una tenda di plastica trasparente sopra il letto spiegava il fatto che riuscivo a respirare senza alcuna fatica.

All’improvviso, alcune figure mi apparvero intorno: una piccola infermiera indiana da una parte, Stuart LaJoie dall’altra. Stu mi sorrise: — Salve, vecchio mio! Come ti senti?

— Uhm… sto bene. Ma accidenti! Che maniera di viaggiare!

— Prof dice che è il modo migliore. È un tipo in gamba, lui!

— Un momento! Prof dice? Ma se è morto!

— Neanche per sogno. Non è in perfette condizioni… lo abbiamo messo in un letto pneumatico, sorvegliato giorno e notte, e gli abbiamo applicato tanti di quegli strumenti che non riusciresti nemmeno a vederlo. Ma è vivo e potrà svolgere la sua missione. Si è addormentato in un ospedale e si è svegliato in un altro. Pensavo che avesse avuto torto a rifiutare l’astronave che volevo mandarvi sulla Luna, ma ha avuto ragione lui: la pubblicità è stata immensa!

Chiesi lentamente: — Prof ha rifiutato un’astronave?

— Sarebbe meglio dire che la rifiutò il Presidente Selene. Non hai visto lo scambio di messaggi, Mannie?

— No. — Ormai era troppo tardi per scatenare una battaglia su quell’argomento. — Negli ultimi giorni sono stato molto occupato.

— Non stento a crederlo. Anche qui. Non mi ricordo nemmeno da quanto tempo non mi faccio una bella notte di sonno.

— Mi sembri un Lunare.

— Sono un Lunare, Mannie, non dubitarne mai. Ma l’infermiera mi sta guardando come se volesse fulminarmi. — Stu sollevò la ragazza fra le braccia e la fece piroettare. Pensai che non fosse ancora diventato un vero Lunare. Ma l’infermiera non se la prese. — Vai a giocare da qualche altra parte, tesoro, tra pochi minuti ti restituirò il tuo paziente… ancora caldo. — Chiuse la porta alle spalle dell’infermiera e tornò accanto al letto.

— In realtà, Adam aveva ragione. Non solo per la splendida pubblicità che vi siete fatti, ma era anche il sistema più sicuro.

— Pubblicità, forse, lo ammetto. Ma la sicurezza? Lasciamo perdere!

— Sicurezza, certo, vecchio mio. Non vi hanno sparato addosso. Eppure hanno avuto due ore a disposizione, durante le quali sapevano in ogni istante dove si trovava la vostra chiatta. Non sapevano decidersi. Non hanno ancora stabilito una linea di condotta. Eravate un magnifico bersaglio ma non hanno avuto il coraggio di sparare. Non hanno nemmeno osato ritardare l’atterraggio, agenzie di stampa e giornali non parlavano che di voi e io mi ero dato molto da fare per soffiare sul fuoco. Adesso non possono più torcervi un capello, siete eroi popolari. Se invece avessi noleggiato un’astronave per venirvi a prendere… ecco, non so come sarebbe andata a finire. Probabilmente ci avrebbero ordinato di rimanere in orbita di parcheggio e sarebbero poi venuti ad arrestarci, voi due certamente e forse anche me. Nessun Comandante di astronave ha voglia di assaggiare un missile, quale che sia la somma che gli offri.

"Ed eccoti ora la vostra situazione: siete entrambi cittadini della Repubblica Popolare del Ciad, è quanto di meglio sono riuscito a organizzare in così poco tempo. Il Ciad ha riconosciuto il nuovo governo della Luna. Ho dovuto comprare un Primo Ministro, due generali, alcuni capi tribù e un ministro delle Finanze… Un affare abbastanza a buon mercato per essere stato fatto all’ultimo istante. Non sono riuscito a farvi ottenere l’immunità diplomatica, ma spero di farcela prima che lasciate l’ospedale. Per il momento non hanno osato dichiararvi in arresto: non riescono a immaginare quale colpa attribuirvi. Ci sono guardie all’ingresso dell’ospedale, ma solo per proteggervi. Ed è stata una buona idea altrimenti sareste circondati da uno sciame di giornalisti, che vi metterebbero decine di microfoni sotto il naso."

— Ma che colpa potremmo aver commesso? Voglio dire, che cosa pensano di escogitare? Immigrazione illegale?

— Nemmeno questo, Mannie. Tu sei stato deportato e hai conservato la cittadinanza Pan-Africana grazie a uno dei tuoi nonni. Per il Professor de la Paz abbiamo scoperto un documento che dimostra come sia cittadino del Ciad da quarant’anni: abbiamo lasciato asciugare l’inchiostro e abbiamo fatto sventolare il documento sotto il naso delle autorità. Non siete nemmeno entrati illegalmente qui in India: non solo sono state le autorità indiane a farvi atterrare, sapendo che vi trovavate sulla chiatta, ma un funzionario del controllo astronautico, molto cortesemente e abbastanza a buon mercato, ha apposto un timbro sui vostri passaporti nuovi di zecca: Inoltre, la sentenza che ha esiliato il Professore non ha più valore legale, in quanto il governo che lo ha cacciato non esiste più. Ne ha preso atto una Corte internazionale competente… Questo ci è venuto a costare molto di più.