Con aria turbata Bel accennò un gesto di scusa, come per ammettere che lui aveva ragione, e continuò a camminare.

– E quella povera ragazza intrappolata nella sua bolla… ho avuto una sola possibilità di parlarle e l'ho rovinata… l'ho distrutta…

– Succede ai migliori fra noi – commentò Miles, pensando che decisamente quella ragazza aveva l'effetto di far emergere la componente maschile di Thorne, e abbassò lo sguardo sulla tazza di caffè con un sorriso che però si mutò subito in un'espressione accigliata… no, meglio non incoraggiare l'interesse di Thorne nei confronti della quaddie. Era chiaro che lei non era soltanto uno dei servitori di Fell, e indipendentemente dal fatto che loro avevano a disposizione una sola nave con un equipaggio di venti persone, Miles avrebbe esitato ad offendere il Barone Fell sul suo territorio anche se avesse potuto usufruire dell'intera flotta dendarii, perché avevano una missione da assolvere. Questo pensiero lo indusse a chiedersi dove fosse andato a finire il dannato passeggero che dovevano prelevare. Perché non li aveva già contattati come prestabilito?

In quel momento l'intercom inserito nella parete trillò e Bel lo raggiunse in un paio di lunghi passi.

– Parla Thorne – disse.

– Qui il Caporale Nout, di stanza al portello di accesso ai moli. C'è… una donna che chiede di vederla.

Thorne e Miles si scambiarono un'occhiata perplessa e sorpresa.

– Come si chiama? – chiese quindi Thorne.

– Dice che il suo nome è Nicol – replicò il caporale, dopo aver scambiato qualche parola con la visitatrice.

– Molto bene – rispose Thorne, con un grugnito di sorpresa, – la faccia scortare nella sala ufficiali.

– Sì, capitano – replicò il caporale, e nel girarsi tardò a disattivare l'intercom quanto bastava perché il suo successivo commento arrivasse fino a Thorne: – … se si resta abbastanza a lungo con questa gente si finisce per vedere di tutto…

Nicol apparve sulla soglia bilanciata su una fluttuante poltrona antigravitazionale, una tazza tubolare dipinta di un azzurro identico a quello dei suoi occhi che si librava nell'aria dando l'impressione di cercare il suo piattino. Nicol la fece passare attraverso la porta con la stessa facilità con cui una donna umana avrebbe fatto ondeggiare i fianchi e la mandò ad arrestarsi davanti al tavolo di Miles, regolandone l'altezza da terra in modo da accostarsi ad esso come una persona normalmente seduta. I comandi erano controllati dalle sue mani inferiori, cosa che le lasciava del tutto liberi gli arti superiori, e il supporto su cui poggiava la parte inferiore del suo corpo doveva essere stato costruito su misura per lei. Miles seguì l'intera manovra con estremo interesse, perché fino a quel momento aveva dubitato che la ragazza potesse vivere all'esterno della bolla priva di gravità e si era aspettato che fuori di essa apparisse molto debole. Nicol però non sembrava debole e fissò Thorne con un'espressione determinata nello sguardo.

– Nicol – la salutò questi, il cui umore appariva notevolmente migliorato, – mi fa davvero piacere vederla di nuovo.

– Capitano Thorne, Ammiraglio Naismith – replicò lei, con un breve cenno del capo, poi lasciò scorrere lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi interlocutori, fissandolo infine su Thorne.

Seguendo la scena, Miles ebbe l'impressione di intuire il perché di quella manovra, ma si limitò a sorseggiare il suo caffè attendendo gli sviluppi della situazione.

– Capitano Thorne, lei è un mercenario, vero? – domandò la ragazza.

– Sì…

– E… mi scusi se ho frainteso, ma mi è parso che lei dimostrasse una certa… empatia nei confronti della mia situazione, che comprendesse la difficoltà della mia posizione.

– Ho capito che si trova sospesa sull'orlo di un baratro – ammise Thorne, rivolgendole un piccolo, stupido inchino.

Nicol serrò le labbra e annuì in silenzio.

– È lei che si è messa in questa situazione – interloquì Miles.

– Ed intendo uscirne – ribatté Nicol, sollevando di scatto il mento.

Miles replicò con un silenzioso cenno della mano e tornò a concentrarsi sul caffè mentre Nicol regolava di nuovo la posizione della sua sedia, un gesto nervoso che si concluse più o meno alla stessa altezza da terra a cui aveva avuto inizio.

– Il Barone Fell mi sembra un formidabile protettore – osservò ancora Miles, – e finché sarà lui a comandare dubito che lei abbia qualcosa da temere dall'interesse… carnale che Ryoval ha dimostrato nei suoi confronti.

– Il Barone Fell sta morendo – spiegò Nicol, scuotendo il capo, – o almeno lui ritiene che sia così.

– Lo avevo dedotto anch'io. Perché non si fa approntare un clone?

– Lo ha fatto ed ha preso tutti i necessari accordi con la Casa Bharaputra. Il clone aveva quattordici anni ed era pienamente sviluppato, ma un paio di mesi fa qualcuno lo ha assassinato. Il barone non ha ancora scoperto chi sia stato, anche se ha una piccola lista di indiziati, in cima alla quale spicca il suo fratellastro.

– In questo modo lo hanno intrappolato in un corpo che sta invecchiando. Una manovra tattica davvero affascinante – rifletté Miles. – Mi chiedo cosa farà adesso questo ignoto nemico. Si limiterà ad aspettare?

– Non lo so – ammise Nicol. – Il barone ha fatto avviare un altro clone, ma per ora non è neppure uscito dal replicatore e anche ricorrendo agli acceleratori di crescita dovranno passare anni prima che sia abbastanza maturo perché si possa effettuare il trapianto. E poi… mi sono resa conto che ci sono molti altri modi in cui il barone potrebbe morire prima di allora, a parte il deteriorarsi della sua salute.

– Una situazione instabile – convenne Miles.

– Voglio andarmene. Voglio pagarmi un passaggio per lasciare il pianeta.

– Allora – ribatté Miles, in tono secco, – perché non va a spendere il suo denaro presso gli uffici di una delle tre linee passeggeri galattiche che attraccano qui e non si compra un biglietto?

– È a causa del mio contratto – spiegò Nicol. – Quando l'ho firmato, sulla Terra, non mi sono resa conto di cosa questo avrebbe significato una volta che fossi arrivata sul Gruppo Jackson. Adesso non posso neppure pagare per interromperlo a meno che il barone non decida di lasciarmi andare. E inoltre… in qualche modo sembra che vivere qui mi stia costando sempre di più. Ho effettuato qualche calcolo e mi sono resa conto che la situazione andrà peggiorando ulteriormente prima che il tempo del contratto si esaurisca.

– Quanto tempo? – intervenne Thorne.

– Altri cinque anni.

– Accidenti! – esclamò il Betano, in tono comprensivo.

– Quindi lei vorrebbe che noi l'aiutassimo a… a infrangere un contratto con il Sindacato – riassunse Miles, disegnando piccoli cerchi umidi sul tavolo con il fondo della tazza di caffè. – Suppongo che si aspetti che la contrabbandiamo in segreto fuori di qui.

– Posso pagare, e posso pagare adesso più di quanto sarei in grado di darvi l'anno prossimo. Questo non è stato il colpo grosso che immaginavo di fare quando sono venuta qui: si era parlato anche di registrare una dimostrazione video, ma non è mai stata effettuata e credo che non lo sarà mai. Se voglio pagarmi il viaggio per tornare a casa, dalla mia gente, devo poter raggiungere un pubblico più vasto, e voglio andare via di qui prima di precipitare in quel pozzo gravitazionale – concluse, accennando con un pollice nella direzione in cui si trovava il pianeta intorno a cui stavano orbitando. – Le persone che vengono mandate laggiù non tornano mai indietro.

Fece una pausa, scrutando i suoi interlocutori.

– Avete paura del Barone Fell? – chiese infine.

– No! – esclamò Thorne, mentre Miles rispondeva invece in senso affermativo. I due si scambiarono un'occhiata sardonica e il Betano cedette la parola al suo superiore.

– Siamo inclini ad usare cautela con il Barone Fell – affermò Miles, e Thorne scrollò le spalle in un gesto di assenso.