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CAPITOLO SECONDO

Il mattino dopo, svegliandosi, Cordelia scoprì che Vorkosigan era già uscito, e si trovò così alle prese col suo primo giorno su Barrayar senza il supporto e la compagnia del marito. Decise che lo avrebbe occupato facendo gli acquisti che le erano venuti in mente il pomeriggio precedente vedendo Koudelka arrancare su per le scale. E aveva idea che Droushnakovi sarebbe stata la guida indigena ideale per quel programma.

Sì vestì e uscì in cerca della sua guardia del corpo. Trovarla non fu difficile: Droushnakovi era seduta in corridoio, proprio davanti alla porta della camera da letto, e alzandosi per darle il buongiorno aveva l’aria di aver ascoltato e analizzato i suoi passi fin da quando s’era infilata le pantofole per andare in bagno. La ragazza, rifletté Cordelia, sembrava proprio aver bisogno di un’uniforme. Malgrado il suo metro e ottantacinque di statura era così robusta che in quel vestito appariva tozza. Cordelia si domandò se, come consorte del Reggente, avrebbe potuto permettersi personale con una sua livrea, e durante la colazione si divertì a disegnare mentalmente il tipo di uniforme che avrebbe potuto dare un aspetto più elegante a quella valchiria.

— Sai, tu sei la prima guardia del corpo di sesso femminile che io abbia visto su Barrayar — commentò Cordelia mentre il cameriere le serviva un uovo sodo, il caffè e quelli che sembravano fiocchi d’avena indigeni conditi col burro, evidentemente la colazione standard nella dimora cittadina dei Vorkosigan. — Come mai ti sei trovata a fare un lavoro di questo genere?

— Be’, io non sono una vera guardia del corpo, come gli uomini che avete qui, in livrea…

Ah, di nuovo la magia delle uniformi.

— … ma mio padre e i miei tre fratelli sono tutti nel Servizio. Questo era il lavoro più vicino a quello del militare che potessi fare.

Innamorata dell’esercito, come tutti su Barrayar. Cordelia la incoraggiò a proseguire con un cenno del capo.

— Io studiavo il Judo, per sport, da ragazzina. Ma ero già troppo robusta per i corsi femminili di autodifesa. Non c’era un’insegnante o un’allieva con cui potessi addestrarmi davvero, e fare da sola era una noia e serviva a poco. I miei fratelli cominciarono a portarmi con loro ai corsi per uomini, e poi… una cosa tira l’altra. I primi due anni partecipai ai campionati femminili e vinsi il titolo mondiale tutte e due le volte. La Federazione era d’accordo, perché il Judo è questione di abilità e non di forza. Ma l’anno dopo scelsi di partecipare solo per esibizione. Poi, tre anni fa, un uomo del capitano Negri parlò con mio padre e disse che aveva un lavoro per me. Fu allora che cominciai l’addestramento con le armi. Mi dissero che la Principessa chiedeva da anni una guardia del corpo femmina, ma che non erano mai riusciti a trovarne una capace di passare tutti i test. Anche se… — Scrollò le spalle, con un sorrisetto di autodeprecazione, — la donna che ha ucciso l’ammiraglio Vorrutyer non ha certo bisogno d’essere protetta da una semplice… voglio dire, lei è una vera militare, un’ufficialessa.

Cordelia represse l’impulso di dirle la verità. — Mmh. Sono stata fortunata. Comunque, ora devo tenermi lontana dagli sforzi fisici. La gravidanza, sai.

— Sì, milady. L’ho letto in uno dei…

— Rapporti del capitano Negri — finì Cordelia all’unisono con lei. — Non mi stupisce. Probabilmente lui lo sapeva prima di me.

— Sì, milady.

— Quando eri bambina qualcuno incoraggiava la tua passione per lo sport?

— Fino ai dieci o undici anni, sì. Poi… non proprio. Tutti pensavano che io fossi un po’ strana. — Droushnakovi si accigliò, e Cordelia ebbe l’impressione di aver risvegliato ricordi dolorosi.

Guardò la ragazza, pensosamente. — I tuoi fratelli sono più anziani di te?

Negli occhi azzurri della bionda ci fu un’ombra. — Sì, milady. Ma loro capivano. Per loro era normale che la sorella volesse… imitarli.

— Lo immagino. — «Per loro» significava «soltanto per loro.» E io che temevo Barrayar per ciò che fa ai suoi figli. Non c’è da stupirsi che avessero difficoltà a trovarne una capace di superare i test. - Così sei addestrata all’uso delle armi. Benissimo. Oggi andrò a fare spese e potrai farmi da guida.

Droushnakovi sbatté le palpebre. — Sì, milady. In centro ci sono dei negozi dove vendono articoli di lusso… non che io ci sia mai entrata, ma li conosco. Quale genere di abiti desidera acquistare? — domandò educatamente, senza riuscire a celare del tutto il suo disappunto per gli interessi della «vera militare».

— Dove si può trovare un buon bastone-spada? Non intendo un bastone animato, ma uno da passeggio che sia un fodero per la spada.

L’espressione delusa scomparve. — Oh, conosco io il posto adatto. So dove si servono gli ufficiali Vor e i Conti per rifornire il loro personale. Cioè… neppure lì sono mai entrata. La mia famiglia non è Vor, così non ci è permesso di tenere armi, salvo che durante il servizio. È il negozio più fornito della capitale.

Una delle guardie in livrea del Conte Vorkosigan fece loro da autista fino in centro. Cordelia si rilassò e lasciò vagare lo sguardo sugli edifici e sul traffico. Droushnakovi, in servizio, stava allerta e osservava sia i veicoli che i pedoni. Cordelia ebbe l’impressione che sapesse dove guardare e cosa cercare. Ogni tanto la ragazza si toccava distrattamente il bolero ricamato, sotto cui era nascosto uno storditore.

L’auto svoltò in una traversa stretta ma ben tenuta, chiusa fra antichi edifici di pietra. Sull’insegna del negozio d’armi c’era scritto solo Siegling, in discrete lettere dorate. Chiaramente, chi arrivava lì senza sapere dov’era non avrebbe dovuto essere lì. L’uomo in livrea attese fuori, e Cordelia e Droushnakovi entrarono. Il negozio, pavimentato in soffice moquette, aveva una tappezzeria in pannelli di legno scuro e nell’aria stagnava un odore che a Cordelia ricordò quello dell’armeria della sua nave della Sorveglianza Astronomica; un odore di casa, singolare in un posto straniero. Guardò i pannelli di legno e mentalmente calcolò il loro valore in dollari betani. Una bella cifra. Ma il legno sembrava comune come la plastica lì, e nessuno ci faceva caso. Le armi portatili il cui acquisto e uso era legale per i membri della classe superiore erano elegantemente in mostra in vetrinette a muro. Oltre agli storditori e alle armi da caccia c’era un’impressionante varietà di spade e coltelli. Evidentemente l’editto imperiale contro i duelli proibiva il loro uso, ma non il loro possesso.

Il commesso, un uomo anziano dagli occhi stretti e dai gesti morbidi, venne subito loro incontro. — Buongiorno, signore. In cosa possiamo servirle? — Non era affatto sorpreso. Cordelia si disse che le donne di classe Vor venivano lì spesso, a comprare regali per i loro amici o amanti. Ma con lo stesso tono l’uomo avrebbe potuto dire: Allora, bambini, avete visto in vetrina qualcosa che vi piace? Le stava mettendo al loro posto con una sorta di linguaggio non scritto? Be’, meglio non farci caso.

— Vorrei vedere un bastone-spada, adatto a un uomo sul metro e ottantacinque. Con l’impugnatura a… uh, circa questa altezza dal suolo — disse Cordelia, calcolando a occhio e croce la lunghezza del braccio di Koudelka. — Robusto, ma elegante. Da passeggio.

— Sì, signora. — Il commesso scomparve nel retro e ritornò quasi subito con un esempio, in legno leggero ed elaboratamente intarsiato a mano.

— Mi sembra un po’… non saprei. — Troppo sgargiante? - Come funziona?

Il commesso le mostrò il meccanismo dell’impugnatura. Il fodero di legno si sfilò sulla spinta di una molla interna, lasciando emergere una lama lunga e sottile. Cordelia allungò una mano e l’uomo, con una certa riluttanza, le consegnò l’arma.

Lei la soppesò, passò un dito sulla lama, poi la porse alla sua guardia del corpo. — Che ne pensi?